sabato 9 maggio 2009

Il Vangelo della domenica

V domenica di Pasqua

Letture: At 9,26-31; Salmo 21; 1Gv 3,18-24
Vangelo Gv 15,1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Commento
Il messaggio fondamentale di questa liturgia lo possiamo trovare nella prima lettera di Giovanni che abbiamo ascoltato nella seconda lettura.“Chi osserva i suoi comandamenti dimora Dio ed egli in lui”. Il verbo dimorare-rimanere rimanda nel suo valore originale alla fedeltà, alla comunione, all’intimità. Anzi, il dimorare ha come caratteristica la relazione, il dialogo, la reciprocità. Per noi dimorare significa credere nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e di amarci gli uni gli altri. Questa comunione di Dio con ciascuno di noi, con noi comunità cristiane viene esplicitata nella stupenda parabola del Vangelo. Gesù identificandosi con la vite dice che i tralci siamo noi, la Chiesa. Una Chiesa che contiene tralci fruttuosi e tralci secchi, una Chiesa costretta da persecuzioni a ritrovarsi con alcuni dei suoi tralci abbattuti. Diviene perciò importante dimorare in Dio, dimorare in colui che è la vite, perché anche se alcuni tralci per costrizione o per scelta abbandonano la vite, questa vite non possa venire meno. La vite simbolo della prosperità, della gioia, è destinata ad arrivare a tutti, è destinata a portare frutti sempre e dovunque. Cristo risorto vuole essere testimoniato dai suoi discepoli perché molti uomini, tutti gli uomini, possano incontrarlo, possano aprire il loro cuore all’ascolto del Padre e così portare frutto nella vita. Ed ancora una volta l’Eucaristia e la preghiera che ci permette di vivere, di dimorare, rimanere attaccati alla vite della vita, della speranza, dell’amore. Siamo invitati perciò a rinvigorire questo legame con Dio, tenendo presente anche la potatura. Noi siamo già puri, cioè potati, però è indispensabile una continua purificazione. La vigna infatti, una volta potata, ritorna allo splendore di prima.Così noi, se impoveriamo il nostro rapporto con Dio, se diventiamo tralci secchi, uomini paurosi, delusi, egoisti, con la purificazione ritorniamo a vivere la stessa esperienza di Cristo, perché siamo stati coltivati dall’agricoltore che è il Padre. Le mani di Dio sono mani ora di grazia ora di dolore, ma sono sempre mani d’amore. Dimorare, rimanere legati alla vera vite, diviene un simbolo di amore e di dolore, ma non in forma antitetica, perché la sofferenza può nascere dall’amore e produrre amore. Da sempre la Chiesa ha visto nella vite l’immagine dell’Eucaristia che diviene ancora oggi motivo per un progetto di vita forse da aggiornare, da ricercare nei cassetti del nostro cuore, per essere discepoli di Cristo, come richiede Egli stesso nel Vangelo, per essere testimoni nel mondo della bellezza, della gioia, di avere una vita, la nostra vita, non abbandonata a se stessa, ma legata a Colui che da esperto agricoltore sa curare le sue piantagioni, i suoi campi per produrre una quantità sempre più grande di frutti. Cerchiamo perciò nella nostra vita di trovare quali sono i tralci da potare, metterli davanti a Dio perché con la sua arte di buon agricoltore, sappia ricavare buoni frutti e coloro che ci circondano possano rivedere la loro vita e nel caso siano tralci secchi possano ritrovare la gioia di rimanere e dimorare in Dio. Essere cristiani ci richiede questo sforzo di testimoniare anche all’esterno di noi stessi la nostra vita con Dio. Le nostre famiglie, le nostre relazioni, il nostro modo di vivere, se legato alla vite ritrovano in pienezza il loro senso se legati alla vera vite. Io sono la vera vite dice Cristo, cerchiamo perciò di rimanere legati a lui per cercare il senso della nostra vita, il senso del nostro essere cristiani, la gioia di vivere la nostra esperienza di vita chiamata a basarsi su quella vissuta da Cristo.
Don Giorgio Zampini

1 commento:

  1. Tagliare e potare... due gesti simili ma così diversi nelle mani di un esperto... Ciao e buona settimana!

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