martedì 28 settembre 2010

Che Cristo ci tenda la mano…

Assolutamente da leggere

Da lo Straniero - Il blog di Antonio Socci


24 settembre 2010 / In Articoli

“Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me in questo modo doloroso e umiliante, anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché, nonostante tutto, continua a essere una realtà illusoria da cui non riesco a liberarmi?”.

Questo è il grido lanciato da Antonius Block, il cavaliere medievale protagonista del celebre film di Ingmar Bergman, “Il settimo sigillo”. E’ il cavaliere la cui condizione esistenziale sta tutta in quella famosa partita a scacchi con la Morte, giocata in riva al mare, per protrarre la sua vita.

La sua disillusione e la sua angoscia, al ritorno dalle crociate, quindi con un passato cristiano alle spalle (Bergman era figlio di un pastore protestante), sono il perfetto ritratto della condizione dei moderni che hanno spazzato via Dio dal mondo e dalla loro vita, ma che non riescono a sradicarlo da se stessi perché il bisogno di Lui, il desiderio di infinito, di eternità, di significato, di amore – cioè il desiderio di Dio – grida nelle proprie stesse carni, nel profondo del cuore, nell’anima che si sente orfana.
Proprio queste parole vengono in mente di fronte a quanto è successo in Gran Bretagna durante la visita di Benedetto XVI. “Un evento storico”. Così ieri il Papa ha commentato con entusiasmo il suo recente viaggio.
Ratzinger non è tipo che usa le parole a vanvera. Non intendeva usare un’espressione enfatica per esaltare semplicemente il significato storico della visita del Pontefice romano nel Paese più laico d’Europa, il più storicamente “antipapista”.
Ha spiegato che è stato un evento storico anzitutto perché ha rovesciato tutte le previsioni. Tutti avevano annunciato che il Successore di Pietro sarebbe stato accolto da ostilità laica, contestazioni, gelo anglicano, formalismo delle autorità e indifferenza della gente comune.
Invece è accaduto l’opposto e perfino i giornali britannici, solitamente acidi con la Chiesa di Roma hanno riconosciuto di essersi sbagliati e hanno sottolineato la sorpresa che è stata la scoperta di questo Papa, umile, buono e sapiente. In fin dei conti hanno ammesso il grande fascino del cattolicesimo che parla loro dalle proprie stesse radici, dai secoli della loro grande storia cattolica.
Infatti ieri, il Papa, all’udienza del mercoledì, ha detto: “nelle quattro intense e bellissime giornate trascorse in quella nobile terra ho avuto la grande gioia di parlare al cuore degli abitanti del Regno Unito, ed essi hanno parlato al mio, specialmente con la loro presenza e con la testimonianza della loro fede. Ho potuto infatti constatare quanto l’eredità cristiana sia ancora forte e tuttora attiva in ogni strato della vita sociale. Il cuore dei britannici e la loro esistenza sono aperti alla realtà di Dio e vi sono numerose espressioni di religiosità che questa mia visita ha posto ancora più in evidenza”.
Poi è sceso nel dettaglio per sottolineare come tutti abbiano accolto con “grande calore ed entusiasmo” lui e ciò che rappresenta: dalle autorità agli esponenti delle altre confessioni, dai giovani a tanta gente comune.
Ha concluso: “Nel rivolgermi ai cittadini di quel Paese, crocevia della cultura e dell’economia mondiale, ho tenuto presente l’intero Occidente, dialogando con le ragioni di questa civiltà e comunicando l’intramontabile novità del Vangelo, di cui essa è impregnata. Questo viaggio apostolico ha confermato in me una profonda convinzione: le antiche nazioni dell’Europa hanno un’anima cristiana, che costituisce un tutt’uno col ‘genio’ e la storia dei rispettivi popoli, e la Chiesa non cessa di lavorare per mantenere continuamente desta questa tradizione spirituale e culturale”.
Dunque non si tratta solo dell’inestirpabile e generico desiderio di Dio, che grida in tutti gli esseri umani anche nel secolo che ha preteso di uccidere Dio. Ma è proprio l’antica anima cristiana, un’attesa di Cristo vivo, quella che si agita nel cuore dei popoli europei, degli uomini e delle donne del nostro tempo (perfino in tanti intellettuali che si proclamano laici).
Perché quando si è conosciuto Gesù Cristo – e chiunque sia nato in Europa ne ha visto il volto per il fatto stesso di essere stato battezzato – quando si è vista la luce, in qualunque notte poi ci ritroviamo la nostalgia di quella Luce non si estirpa più. Prima o poi ti riprende perché col battesimo gli apparteniamo.
Come racconta un grande scrittore cattolico inglese, Graham Greene nel romanzo “La fine dell’avventura”, una storia d’amore ambientata nella Londra devastata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale (è stato ristampato ora col titolo “Fine di una storia”).
Una storia che fa vedere come Gesù Cristo non si lascia rapire nessuno che gli sia stato dato nelle mani.
Il Papa in Gran Bretagna ha parlato di questa nostalgia di un amore perduto, dell’Amore perduto. A questa nostalgia cristiana, a questo desiderio della grazia, del rivelarsi di Dio nella carne della vita quotidiana, Bergman di nuovo dava espressione in quel film con queste parole del cavaliere: “il mio cuore è vuoto. Il vuoto è uno specchio che mi guarda. Vi vedo riflessa la mia immagine e provo disgusto e paura”.
Questa esperienza di sé diventa domanda, grido, preghiera che il Salvatore gli si faccia tangibilmente incontro: “E’ così crudelmente impensabile percepire Dio con i propri sensi? Perché deve nascondersi in una nebbia di mezze promesse e di miracoli che nessuno ha visto? (…). Io voglio sapere. Non credere. Non supporre. Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la mano, che mi sveli il suo volto, mi parli” (Antonius Blok).
E’ precisamente questo Dio che si è fatto uomo e tende la mano a ciascuno di noi, è questa la notizia che Benedetto XVI è andato a far conoscere: “Il Verbo si è fatto carne ed abita in mezzo a noi” (Gv 1,14).
Con umiltà – come ha sottolineato il papa – risuona nel mondo questo annuncio: “ciò che noi abbiamo visto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (…), noi lo annunziamo anche a voi” (1Gv 1-3).
Il risuonare di questa notizia, nella laica Londra, “la città preda del tempo”, ha commosso i cuori. E’ un segno di tempi nuovi?
Antonio Socci

lunedì 27 settembre 2010

San Vincenzo de' Paoli


Ricorre oggi il trecentocinquantesimo anniversario della morte di san Vincenzo de Paoli.

Ieri il Papa, all'Angelus, ha ricordato questo santo portandolo come grande esempio di carità cristiana e  patrono delle organizzazioni caritative cattoliche. "Nella Francia del 1600 - ha detto - egli tocco' con mano proprio il forte contrasto tra i piu' ricchi e i piu' poveri. Infatti, come sacerdote, ebbe modo di frequentare sia gli ambienti aristocratici, sia le campagne, come pure i bassifondi di Parigi. Spinto dall'amore di Cristo, Vincenzo de' Paoli seppe organizzare forme stabili di servizio alle persone emarginate, dando vita alle cosiddette Charites, cioe' gruppi di donne che mettevano il loro tempo e i loro beni a disposizione dei piu' emarginati. Tra queste volontarie, alcune scelsero di consacrarsi totalmente a Dio e ai poveri, e cosi', insieme con santa Luisa di Marillac, san Vincenzo fondo' le Figlie della Carita', prima congregazione femminile a vivere la consacrazione nel mondo, in mezzo alla gente, con i malati e i bisognosi".




San Vincenzo de' Paoli

Sacerdote e fondatore
(Alcuni cenni biografici)

Vincenzo, al secolo Vincent de Paul, nacque a Pouy, un borgo contadino presso Dax (FR), il 25 aprile 1581. Benché dotato di acuta intelligenza, fino ai 15 anni, non fece altro che lavorare nei campi e badare ai porci per aiutare la modestissima famiglia contadina.
Nel 1595 lasciò Pouy per andare a studiare nel collegio francescano di Dax, grazie al sostegno finanziario di un avvocato della regione che, colpito dal suo acume, convinse i genitori a lasciarlo studiare; il che, allora, equivaleva avviarsi alla carriera ecclesiastica.
Vincenzo ricevette la tonsura e gli Ordini minori il 20 dicembre 1596, poi, con l'aiuto del suo mecenate, poté iscriversi all'Università di Tolosa per i corsi di teologia; il 23 settembre 1600, a soli 19 anni, fu ordinato sacerdote dall'anziano vescovo di Périgueux (in Francia non erano ancora attive le disposizioni in materia del Concilio di Trento), poi continuò gli studi di teologia a Tolosa, laureandosi nell'ottobre 1604.
Nel 1605, mentre viaggiava su una nave da Marsiglia a Narbona, venne catturato dai pirati turchi e venduto come schiavo a Tunisi: venne liberato due anni dopo dal padrone, che era riuscito a convertire al cristianesimo. Da questa esperienza nacque in lui il desiderio di recare sollievo materiale e spirituale ai galeotti, cioè agli uomini tolti dalle prigioni e condannati a remare sulle galee.
Entrò a corte come cappellano ed elemosiniere di Margherita di Valois; fu poi curato a Clichy, dove mise da parte le preoccupazioni materiali e di carriera e si dedicò intensamente all'insegnamento del catechismo e soprattutto all'aiuto agli infermi ed ai poveri: fondamentale per la sua maturazione spirituale fu il suo incontro con Francesco di Sales.
Nel 1613 entrò come precettore al servizio dei marchesi di Gondi (il marchese era governatore generale delle galere): grazie al sostegno economico dei suoi protettori, Vincenzo de' Paoli riuscì a moltiplicare le iniziative caritatevoli a favore dei diseredati e dei bambini abbandonati.
Tra il 1617 e il 1633 nascono quattro tra le principali istituzioni da lui fondate:
1. « Serve dei poveri », il 20 agosto 1617 (in tre mesi l'Istituzione ebbe un suo regolamento approvato dal vescovo di Lione). La Carità organizzata si basava sul concetto che tutto deve partire da quell'amore, che in ogni povero fa vedere la viva presenza di Gesù, e dall'organizzazione, perché i cristiani sono tali solo se si muovono coscienti di essere un sol corpo, come già avvenne nella prima comunità di Gerusalemme.
2. « Dame della carità »: Vincenzo de' Paoli, vivendo a Parigi, si rese conto che la povertà era presente, in forma ancora più dolorosa, anche nelle città e quindi fondò anche a Parigi le «Carità»; qui nel 1629 le « Suore dei poveri » presero il nome di « Dame della Carità ».
Nell'associazione confluirono anche le nobildonne, che poterono dare un valore aggiunto alla loro vita spesso piena di vanità; ciò permise alla nobiltà parigina di contribuire economicamente alle iniziative fondate da « monsieur Vincent ».
3. « Preti della Missione » o « Lazzaristi ». Diceva ai sacerdoti di S. Lazzaro : « Amiamo Dio, fratelli miei, ma amiamolo a nostre spese, con la fatica delle nostre braccia, col sudore del nostro volto ».
4. « Figlie della Carità » : la feconda predicazione nei villaggi, suscitò la vocazione all'apostolato attivo, prima nelle numerose ragazze delle campagne poi in quelle delle città; desiderose di lavorare nelle Carità al servizio dei bisognosi, ma anche consacrandosi totalmente. Vincenzo de' Paoli intuì la grande opportunità di estendere la sua opera assistenziale, lì dove le « Dame della Carità », per la loro posizione sociale, non potevano arrivare personalmente. Era il 29 novembre 1633 quando affidò il primo gruppo, per la loro formazione, ad una donna eccezionale S. Luisa de Marillac (1591-1660).
Nel 1643, Vincenzo de' Paoli fu chiamato a far parte del Consiglio della Coscienza o Congregazione degli Affari Ecclesiastici, dalla reggente Anna d'Austria; presieduto dal card. Giulio Mazzarino, il compito del Consiglio era la scelta dei vescovi ed il rilascio di benefici ecclesiastici. Il potente Primo Ministro faceva scelte di opportunità politica, soprassedendo sulle qualità morali e religiose. Era inevitabile lo scontro fra i due per cui Vincenzo gli si oppose apertamente, anche criticandolo nelle sue scelte di politica interna, specie nei giorni oscuri della Fronda, quando Mazzarino tentò di mettere alla fame Parigi in rivolta; Vincenzo, allora, organizzò una mensa popolare a S. Lazzaro dando da mangiare a 2000 affamati al giorno.
Nel 1649 chiese alla regina l'allontanamento del Mazzarino per il bene della Francia; la richiesta non poté aver seguito e, quindi, Vincenzo de' Paoli cadde in disgrazia e definitivamente allontanato dal Consiglio di Coscienza nel 1652.
Tra il 1645 e il 1661, Vincenzo de' Paoli e i suoi Missionari, liberarono non meno di 1200 schiavi cristiani in mano ai Turchi musulmani.
Il grande apostolo della Carità, si spense a Parigi la mattina del 27 settembre 1660 a 79 anni; ai suoi funerali partecipò una folla immensa di tutti i ceti sociali.
Fu proclamato Beato da Pp Benedetto XIII (Pietro Francesco Orsini, 1724-1730) il 13 agosto 1729 e canonizzato da Pp Clemente XII (Lorenzo Corsini, 1730-1740) il 16 giugno 1737.
I suoi resti mortali, rivestiti dai paramenti sacerdotali, sono venerati nella Cappella della Casa Madre dei Vincenziani a Parigi.
È patrono del Madagascar, dei bambini abbandonati, degli orfani, degli infermieri, degli schiavi, dei forzati, dei prigionieri.
Pp Leone XIII (Gioacchino Pecci, 1878-1903) il 12 maggio 1885 lo proclamò patrono delle Associazioni cattoliche di carità.
In San Pietro in Vaticano, una gigantesca statua, opera dello scultore Pietro Bracci, è collocata nella basilica dal 1754, rappresentante il "padre dei poveri".
La sua opera ispirò Giuseppe Benedetto Cottolengo, fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza.
Fino al 1969, la memoria liturgica di S. Vincenzo de' Paoli era celebrata il 19 luglio; il Servo di Dio Pp Paolo VI (Giovanni Battista Montini, 1963-1978) la spostò al 27 settembre.
Significato del nome Vincenzo : "che vince, destinato a vincere" (latino).

Fonte: santiebeati.it

venerdì 24 settembre 2010

XXVI domenica del tempo ordinario

Il Vangelo di domenica 26 settembre 2010

Il commento della XXVI Domenica del Tempo Ordinario è della teologa Ileana Mortari

Il dipinto 'Lazzaro ed il ricco epulone' di Jacopo Bassano (1554, Museum of Art - Cleveland)

Apparentemente, letta in modo superficiale, la parabola sembra dire "i ricchi vanno all'inferno e i poveri in paradiso", ma così sarebbe un invito per i poveri a sopportare passivamente la miseria perché dopo la morte avranno un posto in cielo. Invece il senso della parabola è molto più profondo perché ricchezza e povertà per Luca non sono semplicemente una condizione sociale, ma un modo di porsi di fronte a Dio, una dimensione religiosa e morale. Ad un certo punto della parabola si sottolinea la distanza incolmabile tra il ricco e Lazzaro, iniziata nel mondo e che continua dopo la morte; infatti la nostra condizione finale si costruisce mentre si è in vita. L'inferno o il paradiso, spesso, ce li scegliamo noi: non porsi mai questioni profonde, scansare i problemi e ciò che dà fastidio, non ascoltare le voci della propria anima o la sofferenza di chi s'incontra, vivere nella superficie e nell'apparenza, sono condotte che portano all'inferno perché si perde se stessi e l'incontro con Dio. Ciò che condanna il ricco della parabola non è la sua ricchezza, ma la sua indifferenza nei confronti del povero Lazzaro.

Dal Vangelo secondo Luca

Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: "C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi".

 COMMENTO 
 
 Hanno Mosè e i Profeti, ascoltino loro. La celebre parabola del ricco epulone (che significa ghiottone, crapulone) e del povero Lazzaro si trova solo nel vangelo di Luca, conclude un capitolo (il 16°) tutto imperniato sul tema dell'uso dei beni e si collega strettamente a quanto precede. Anzitutto essa è rivolta ai farisei, dei quali si era detto che, essendo "attaccati al denaro" (anzi letteralmente, essendo "amici del denaro"), si beffavano di quanto Gesù aveva prima affermato con la parabola dell'amministratore disonesto (vv.1-8) e le conseguenti considerazioni sulla ricchezza, concluse dal perentorio: "Non potete servire Dio e la ricchezza" (v.13). Dovevano infatti suonare molto strane alle loro orecchie le parole del Nazareno che definivano la ricchezza "disonesta" in sé (v.9), dal momento che nella mentalità giudaica essa era ritenuta al contrario un dono di Dio, segno del suo favore, ricompensa adeguata a chi adempiva scrupolosamente a tutti i doveri religiosi. "Se tu obbedirai fedelmente alla voce del Signore, mettendo in pratica tutti i suoi comandi, - dice il Deuteronomio al cap.28 - il Signore tuo Dio ti concederà abbondanza di beni"; e i farisei vedevano appunto nel benessere o addirittura nell'opulenza il segno del compiacimento di Dio per la loro impeccabile osservanza della Legge.
L'INDIFFERENZA UCCIDE. Ma il discorso di Gesù verte su un aspetto che va ben oltre questa equazione. Egli sottolinea nel ricco epulone non una forma di immoralità (non si dice affatto che quell'uomo si fosse arricchito in modo illecito e disonesto), bensì l'eccessivo attaccamento alla ricchezza stessa, al lusso e agli agi; egli è un esempio concreto di quell'essere "amici del denaro" con cui Luca aveva definito i farisei in questione: "vestiva di porpora e bisso e tutti i giorni banchettava lautamente" (v.19), tanto da meritarsi il nomignolo di "epulone", dal termine latino che indica il banchetto. Ora, qual è il risultato di questo indebito attaccamento ai beni materiali, di questo servire non a Dio, ma a Mammona, cioè al denaro visto come idolo? La parabola lo descrive con molta efficacia: non accorgersi più di niente altro, neanche di un disgraziato infelice, miserevole e affamato, che pure giace sulla porta di casa! Il peggior danno della ricchezza è proprio questo: spadroneggiare sulle anime al punto da renderle totalmente insensibili e quindi sempre meno capaci di ascoltare e mettere in pratica la Parola di Dio. Nella Scrittura, accanto ai passi analoghi a quello del Deuteronomio prima ricordato, ne troviamo - e in numero ben maggiore - molti altri che dicono: "ama il prossimo tuo come te stesso", "soccorri l'orfano e la vedova", "l'elemosina salva dalla morte", etc. L'applicazione alla situazione odierna è di immediata evidenza. Noi, abitanti del cosiddetto "mondo occidentale", per il solo fatto di appartenere ad una società opulenta, che storicamente è il frutto anche di colossali sfruttamenti e dilapidazioni di uomini e cose di altre parti della terra, siamo tutti in un certo senso "epuloni". La vicenda evangelica, esemplare per ogni tempo, ha ormai assunto dimensioni planetarie, se pensiamo che oggi il 20% della popolazione mondiale possiede e consuma l'80% delle risorse del pianeta, con il risultato che ogni anno c'è un olocausto di 30 milioni di morti per fame o cause ad essa connesse e almeno un miliardo di persone vive ai limiti della sopravvivenza o in modo assolutamente disumano.
LA PAROLA DI DIO SALVA. Come prosegue poi la parabola-insegnamento di Gesù? Mettendo chiaramente di fronte agli occhi dei farisei l'esito di chi non ha fatto come quell'amministratore che si è procurato amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa fosse venuta a mancare, lo accogliessero nelle dimore eterne (cfr. il v.9). Dopo l'ineluttabile momento della morte, che per un attimo li ha accomunati e che è la suprema rivelazione del senso della vita di ogni persona, il ricco epulone e il povero Lazzaro si ritrovano nell'aldilà in situazioni capovolte e peraltro già preannunciate da Gesù nel discorso della pianura: "Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati...guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame..." (Luca 6); e alla accorata richiesta del ricco perché almeno ai suoi fratelli venga risparmiata la sua terribile sorte, Abramo risponde: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro" (v. 29). Nelle incertezze e ambiguità proprie della condizione umana Dio ha fatto al suo popolo il dono straordinario della sua Parola, solido punto di riferimento per chi non ha il cuore appesantito dalla crapula o invaso dall'ansia del possesso ed è sinceramente disposto a percorrere un cammino di conversione. E' inutile chiedere segni straordinari, come del resto avevano fatto gli stessi farisei con Gesù, quando, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo (Luca 11, 16). Allora e sempre questo è solo un comodo alibi per evitare di mettersi in questione ed assumersi l'impegno concreto e quotidiano richiesto della fede evangelica.

Quella scia "luminosa" di fede


Verso la beatificazione di Chiara Luce Badano

Domani, 25 settembre, a Roma si svolgerà la cerimonia di beatificazione di Chiara Luce Badano, presso il Santuario della Madonna della Misericordia con celebrazione liturgica presieduta da Monsignor Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le cause dei santi.


A cura di Renzo Allegri

Venticinque settembre: beatificazione di Chiara Luce Badano, una ragazza nata a Sassello, in provincia di Savona, nel 1971 e morta a Torino nel 1990, stroncata da un tumore. Non aveva ancora 19 anni. Un evento eccezionale, soprattutto perché fa parte dell'attualità. La Chiesa eleva alla gloria degli altari, una ragazza a noi contemporanea. In genere, quando sentiamo parlare di una giovane donna che è vissuta da santa, ci immginiamo una persona lontana dal tempo, timida e riservata, tutta presa da preghiere e opere pie, totalmente estranea alla vita normale della gente. In questo caso, invece, la santa è una ragazza del nostro tempo. Una di quelle che vediamo per la strada, all'uscita delle scuole, felici e chiassose. Se fosse viva, non avrebbe ancora quarant'anni.
Prima di essere colpita dalla malattia, era un terremoto di vitalità e uno schianto di bellezza. Sportiva scatenata, amava la montagna e il mare, il nuoto, il tennis, i pattini a rotelle, la musica, il ballo, le canzoni. Ma aveva dentro di sé un ideale misterioso, al quale uniformava un comportamento gioiosamente legato ai valori religiosi ricevuti in famiglia e nessuno riusciva a distrarla da quel suo ideale. "Chiara apparteneva ad una famiglia credente", racconta monsignor Giuseppe Maritano, il vescovo che la cresimò, la seguì spiritualmente nei momenti difficili della malattia e che fu il promotore della causa della sua beatificazione. "I suoi genitori erano persone semplici, il padre un camionista, la madre un'operaia", prosegue ancora mons. Maritano. " Dopo otto anni di matrimonio, non avevano figli e si rivolsero alla Madonna. Il padre si recò al Santuario delle Rocche a chiedere la grazia. E la madonna lo ascoltò. La loro bambina, arrivata come un dono dal cielo, crebbe in un'atmosfera dove le verità della fede erano vissute con la stessa concretezza e semplicità delle regole del vivere civile".
Quali furono i punti di forza della fede di Chiara Luce?
Quelli semplici e fondamentali: Dio è nostro Padre, e quindi il prossimo è costituito da nostri fratelli. Gesù ci ha amato all punto da morire in croce per la nostra salvezza eterna, ed è perciò l'amico più grande che possiamo immaginare. Fin da  bambina aveva imparato a dire, di fronte ad ogni difficoltà:"Gesù, se lo vuoi tu, lo voglio anch'io". Ed ebbe il coraggio di ripetere , con il sorriso sulle labbra, questa sua offerta d'amore a Dio anche quando i dolori erano lancinanti e lei sapeva che stava per morire.
 Chiara Luce era una ragazza molto bella, simpatica, attraente, addirittura "sexi", come si direbbe oggi ed aveva anche dei corteggiatori.
Il suo cuore di adolescente si infiammava, come quello di tutte le ragazze. Sentiva forte l'attrazione per qualche compagno. Dagli atti del processo risulta che ebbe dei piccoli flirt ma, trovandosi di fronte a vari comportamenti che contrastavano con le sue convinzioni morali, ebbe il coraggio, magari con le lacrime agli occhi, di troncare subito. Sognava il grande amore, il principe azzurro col quale formare una famiglia e avere figli.
Come reagì Chiara Luce di fronte alla malattia?
Il tumore si presentò all'improvviso quando aveva 17 anni. Tumore maligno alle ossa, uno dei peggiori che provocano dolori lancinanti. Da ciò che le accadeva intorno, capì che la cosa era gravissima. certamente si spaventò, ebbe momenti di tristezza, ma non vennero mai meno le sue convinzioni, la certezza che Dio la amava anche nel dolore. Anzi, scoprì che ora poteva imitare Gesù nella sofferenza più grande. Ed è a questo punto che venne a galla l'eroicità del suo amore per Dio. Abbracciò la propria croce e ripeteva:"Se lo vuoi Tu, Gesù, lo voglio anch'io". Affrontò interventi chirurgici, le varie fasi della malattia che progredendo la paralizzarono, rifiutava la morfina perché diceva che le toglieva lucidità e le impediva di parlare con Gesù.

Desidero dedicare questo post  ai tanti nostri giovani che vivono la loro vita in modo totalmente disorientato, con la speranza che possano trovare in Chiara Luce un grande esempio di vita da seguire e capire che la strada verso la santità non è preclusa a nessuno e non implica per forza un modo di vivere caratterizzato da eventi o segni straordinari, ma da cose semplici  vissute con la certezza che Dio ci è Padre sempre e ci ama in modo incondizionato.

martedì 21 settembre 2010

Il successo del Papa sta nella Presenza



Il viaggio del Santo Padre in Gran Bretagna si è concluso e, contro ad ogni aspettativa, con esito molto positivo.

Di Raffaele Iannuzzi da Il Tempo

Distante dall'idea clericale di religione Ratzinger afferma la verità e la fede in Gesù Cristo. Nel Regno Unito il Pontefice ha indicato la strada del Vangelo.

Un successo. Il viaggio del Papa nel Regno Unito è stato un successo. Il patinato The Times titolava a tutta pagina, venerdì 17 settembre: The battle over faith. Pope calls on Britain to embrace Christian values. La battaglia sulla fede. Il Papa chiama la Gran Bretagna ad abbracciare i valori cristiani. Perfetto. Operazione riuscita. Anzi, opera di Dio riuscita attraverso questo Papa, sempre più carismatico e sempre più icona trasparente di Gesù Cristo. L'«opus Dei» - l'opera di Dio - è riuscita. Benedetto XVI ha stigmatizzato l'ideologia multiculturalista, deficitaria e incapace di produrre la coesione sociale necessaria alle società occidentali postmoderne.
Un autore inglese, Matthew Fforde, ha preso di punta la società inglese come paradigma della destrutturazione nichilistica postmoderna, consegnando alla riflessione presente e futura un termine denso e chiaro: desocializzazione. Senza Cristo e i valori cristiani, la società si smembra e gli uomini diventano ciò che, per Hobbes, sono, nello stato di natura: «Homo homini lupus». Ma il multiculturalismo di Dio non ha bisogno di ideologie umane, ha già tutto quel che serve per affermarsi, quale via sicura alla felicità ed alla coesione sociale: Cristo. È impressionante la folla accalcatasi a Cofton Park per la Messa di beatificazione del Card. John Henry Newman. Un popolo. Non una massa, di quelle che hanno dovuto inserirsi nell'angolo visuale dello Stato leviatanico per esistere, no, un popolo vivo e creativo. Solo la fede genera un popolo. I fatti dimostrano che questo popolo, anche in Gran Bretagna, esiste e vive di fede ed opere. Uno striscione, a Cofton Park, campeggiava, tra i molti: «God bless you». «Dio ti benedica».
Il messaggio del popolo della fede, stretto attorno al Vicario di Cristo. In ciò si invera la verità annunciata da Cristo: «La fede vince il mondo». Abbiamo visto uomini e donne, corona del Rosario stretta attorno alla mano, avvicinarsi devotamente al Papa per la comunione: la visione di un cambiamento in diretta. Un mondo disgregato in cerca di Dio, con una crisi gigantesca, collettiva e spirituale, alle spalle. Tutti stretti attorno al Papa. L'uomo che ha parlato ai cuori e alle società. Senza nascondere gli accenti dolorosi della crisi mondiale, senza negare il peso del peccato, che opprime sia la società che la Chiesa. Solo chi afferma la verità di un Altro può essere così libero di fronte al peccato della Chiesa. Chiedete la stessa cosa a Trichet per la BCE, a Soros - che si crede un benefattore dell'umanità e non ciò che è, un cinico speculatore - o alle élites che comandano il mondo, e palperete concretamente la differenza. Cosa rende così palpabile questo successo? Due dati, innanzitutto.
Primo: non si tratta di un'Idea, ma di una Presenza. Il Papa è una Presenza, non un' Idea clericale di religione. Ciò spariglia le carte e mette in difficoltà intellettuali bruciati dentro come Amis, che, pur di negare l'evidenza, si convertono all'illuminismo continentale, sgradito alla cultura anglosassone, fondata sul contraltare della rivoluzione francese, l'illuminismo scozzese, pragmatico, non irreligioso. Ma Amis pensa per concetti, Benedetto XVI, pur così carico di teologia e filosofia, afferma una Presenza, la Presenza di un Altro: Cristo. Lo scandalo vero, ieri, oggi e domani.
Secondo: gli uomini oggi cercano realtà infallibili, in ogni campo, dalla vita privata all'economia. Sono già stati fregati dal fallibilismo popperiano e dal «cortotermismo», oggi reclamano attenzione e gratuità. Traduco: verità e fede. Nella libertà. Questa è l'eredità del Papa per la Gran Bretagna. «Cor ad cor loquitur», come il Card. Newman. La Via da seguire per far crescere gli uomini e le società. La Via corrispondente alla «porta stretta» indicata da Gesù nel Vangelo, l'unica strada per recuperare se stessi, il centro della propria identità di uomini e occidentali, figli di una storia tracciata per la liberazione universale dell'uomo. Una chance. Da cogliere, qui e ora.



domenica 19 settembre 2010

XXV domenica del tempo ordinario


VANGELO (Lc 16,1-13)

Non potete servire Dio e la ricchezza.

+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Parola del Signore.

Commento

Anche la Parola evangelica di questa domenica inizia con una parabola: l'amministratore disonesto. Dopo di essa vi è una serie di ammonimenti che spiegano e commentano la parabola stessa e cioè l'uso improprio che di solito si fa del denaro. Leggendo questo brano si ha subito l'impressione che il Signore lodi il comportamento disonesto dell'amminisratore, ma non è così, in realtà loda il  modo chiaro e sicuro di salvare una situazione complicata percorrendo l'unica strada possibile che gli si prospetta: farsi degli amici condonando loro parte del debito. Ma cosa  vuole veramente mettere in evidenza il Signore con questo esempio? Il messaggio è molto chiaro: spesso, in questo mondo, per uscire dai guai, per salvarci,  siamo capaci di  escogitare rimedi tra i più astuti.  Ai fini della  salvezza eterna facciamo altrettanto?  Gesù ci rimprovera proprio questo, di essere più pronti a salvarci dai mali di questo mondo  che dai tanti mali che mettono in pericolo  la  salvezza della nostra anima; Lui è venuto per questo, è morto in croce, è risorto perché avessimo la vita eterna.  E' necessario cambiare rotta, invertire direzione di marcia e presentare  i nostri peccati davanti a Dio, altrimenti  siamo perduti. Si, è vero che andiamo a Messa, ci confessiamo anche, ma uscendo dalla chiesa non ci sentiamo affatto diversi, l'incontro con il Signore non ci ha cambiato, ci ha lasciato come eravamo,  ma perchè succede questo? Il cambiamento deve avvenire dentro il nostro cuore che deve diventare più disponibile ad accogliere quella grazia che il Signore ci offre ogni volta che ci accostiamo al confessionale. Dobbiamo liberare il cuore dai tanti idoli che impediscono al Signore di occupare  il primo posto  e tra questi c'è il denaro. Infatti, un altro modo di verificare la nostra vita da cristiani è proprio l'uso del denaro di cui ci parla Oggi Gesù: la ricchezza in sé non è male, ma lo è la ricchezza come unico scopo della nostra vita. Gesù dice:" nessun servitore  può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza». Occorre scegliere: o servire il Signore riconoscendo che è l'Unico che ci può offrire una vita veramente vissuta nell'amore autentico, oppure rendersi schiavi della ricchezza ed usarla per il potere ed essere signori di se stessi per primeggiare...Ma Gesù ci indica anche che c'è un solo modo per liberarci dalla schiavitù del denaro: impegnarsi per una solidale condivisione con amici  bisognosi del nostro aiuto. Il cristiano è colui che amministra al meglio i tanti doni, sia materiali che spirituali  che il Signore gli ha fatto, non considerandoli teroro geloso ma rendendone parte anche  i propri fratelli. (Letture: Amos 8,4-7; Salmo 112; 1 Timoteo 2,1-8; Luca 16,1-13)
Buona e santa domenica a tutti voi!

sabato 18 settembre 2010

Il Papa in Gran Bretagna


“Vergogna” e “umiliazione” per gli abusi dei preti sui bambini



Le “immense sofferenze” delle vittime dei preti pedofili ricordate accanto a quelle di chi soffre discriminazioni e persecuzioni per la fede. Celebrando la messa nella cattedrale di Westminster, Benedetto XVI torna a sottolineare “il bisogno” che la Chiesa e la società hanno di “testimoni” di Cristo.

Londra (AsiaNews)

Le “immense sofferenze causate dall’abuso dei bambini, specialmente nella Chiesa e da parte dei suoi ministri” hanno causato “vergogna” e “umiliazione” in “tutti”: esse sono parte dei tanti dolori che quotidianamente i cristiani offrono a Dio, sia quando soffrono “discriminazioni e persecuzioni per la loro fede”, sia quando patiscono per mali del corpo, della mente o dello spirito. Al terzo giorno della sua visita in Gran Bretagna, celebrando messa nella cattedrale di Westminster, cuore dell’Inghilterra cattolica, Benedetto XVI ha affrontato così quello che è il tema più usato nelle polemiche e negli attacchi contro di lui e contro la Chiesa cattolica.

Attacchi e polemiche che appaiono in gran parte scemati. Si parla molto, oggi, dell’arresto dei sei magrebini sospettati di voler compiere un attentato contro Benedetto XVI. Che “è felice di questo viaggio ed è tranquillo” ha detto padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede. “Abbiamo piena fiducia – ha aggiunto - nelle operazioni delle forze di sicurezza per proteggere sia il Papa che il pubblico”. Il Papa, si commenta tra coloro che lo seguono “sta apprezzando la visita ed è stato accolto calorosamente dovunque”. C’è stata anche un’edizione speciale del Times, un tabloid interamente dedicato al viaggio papale che, tra l’altro, contiene un articolo di Lord Christopher Patten, l'incaricato del primo ministro per la visita, intitolato “Why this state visit is well worth its cost to British taxpaiers” (Perchè questa visita di Stato vale il suo costo per i contribuenti britannici). E, su questo piano, stamattina, prima di recarsi a Westminster, Benedetto XVI ha incontrato il premier, David Cameron, il vice-primo ministro, Nick Clegg, e l’Acting Leader dell’pposizione, Harriet Harman.

C’è calore anche intorno alla cattedrale di Westminster, al cui iinterno c’è anche l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams. Sul sagrato, alcune migliaia di giovani gridano il loro entusiasmo. “Pensate a tutto l’amore, per ricevere il quale il vostro cuore è stato creato e a tutto l’amore che esso è chiamato a donare”, dirà loro, in un saluto dopo la messa, citando poi Madre Teresa di Calcutta, “la grande Missionaria della Carità, ci ricordava che dare amore, amore puro e generoso, è il frutto di una decisione quotidiana. Ogni giorno dobbiamo scegliere di amare e ciò richiede un aiuto, l’aiuto che proviene da Cristo, dalla preghiera, dalla saggezza che si trova nella sua parola e dalla grazia che egli effonde su di noi nei sacramenti della sua Chiesa”.

Durante il rito, invece, Benedetto XVI prende spunto, nell’omelia, dal grande crocefisso che domina la cattedrale, dedicata al Preziosissimo Sangue, “sorgente di vita della Chiesa”. “Il grande crocifisso che qui ci sovrasta – ha detto - ci ricorda che Cristo, nostro eterno sommo sacerdote, unisce quotidianamente i nostri sacrifici, le nostre sofferenze, i nostri bisogni, speranze e aspirazioni agli infiniti meriti del suo sacrificio. Per lui, con lui ed in lui noi eleviamo i nostri corpi come un sacrificio santo e gradito a Dio (cfr Rm 12,1). In questo senso siamo presi nella sua eterna oblazione, completando, come afferma san Paolo, nella nostra carne ciò che manca alle sofferenze di Cristo a favore del suo corpo, che è la Chiesa (cfr Col 1,24). Nella vita della Chiesa, nelle sue prove e tribolazioni, Cristo continua, secondo l’incisiva espressione di Pascal, ad essere in agonia fino alla fine del mondo (Pensées, 553, éd. Brunschvicg)”.

“Vediamo rappresentato nella forma più eloquente - prosegue - questo aspetto del mistero del prezioso sangue di Cristo dai martiri di ogni tempo, che hanno bevuto al calice da cui Cristo stesso ha bevuto, ed il cui sangue, sparso in unione al suo sacrificio, dà nuova vita alla Chiesa. Ciò è anche riflesso nei nostri fratelli e sorelle nel mondo, che ancora oggi soffrono discriminazioni e persecuzioni per la loro fede cristiana. Ma è anche presente, spesso nascosto nelle sofferenze di tutti quei singoli cristiani che quotidianamente uniscono i loro sacrifici a quelli del Signore per la santificazione della Chiesa e la redenzione del mondo. Il mio pensiero va in modo particolare a tutti quelli che sono spiritualmente uniti a questa celebrazione Eucaristica, in particolare i malati, gli anziani, gli handicappati e coloro che soffrono nella mente e nello spirito. Qui penso anche alle immense sofferenze causate dall’abuso dei bambini, specialmente nella Chiesa e da parte dei suoi ministri. Esprimo soprattutto il mio profondo dolore alle vittime innocenti di questi inqualificabili crimini, insieme con la speranza che il potere della grazia di Cristo, il suo sacrificio di riconciliazione, porterà profonda guarigione e pace alle loro vite. Riconosco anche, con voi, la vergogna e l’umiliazione che tutti abbiamo sofferto a causa di questi peccati; vi invito a offrirle al Signore con la fiducia che questo castigo contribuirà alla guarigione delle vittime, alla purificazione della Chiesa ed al rinnovamento del suo secolare compito di formazione e cura dei giovani. Esprimo la mia gratitudine per gli sforzi fatti per affrontare questo problema responsabilmente, e chiedo a tutti voi di mostrare la vostra sollecitudine per le vittime e la solidarietà verso i vostri sacerdoti”.

Il Papa torna, infine, su quello che è il fil rouge di questa visita: l’affermazione del ruolo della religione anche nella società e la necessità che i cristiani diano testimonianza della loro fede. Una vera democrazia non emargina la religione, ma promuove la collaborazione tra fede e ragione, aveva detto ieri sera nel discorso a Westminister Hall, rivolto alla società civile britannica. “Quanto ha bisogno la società contemporanea di questa testimonianza! – ha detto oggi - Quanto abbiamo bisogno, nella Chiesa e nella società, di testimoni della bellezza della santità, testimoni dello splendore della verità, testimoni della gioia e libertà che nascono da una relazione viva con Cristo! Una delle più grandi sfide che oggi dobbiamo affrontare è come parlare in maniera convincente della sapienza e del potere liberante della parola di Dio ad un mondo che troppo spesso vede il Vangelo come un limite alla libertà umana, invece che come verità che libera le nostre menti e illumina i nostri sforzi per vivere in modo saggio e buono, sia come individui che come membri della società”.

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Il Passaggio di Benedetto smonta le proteste dal Sussidiario

domenica 12 settembre 2010

XXIV domenica del tempo ordinario




VANGELO (Lc 15,1-32)


Ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte.

+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te;! non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vit! a, era perduto ed è stato ritrovato”».
Parla del Signore.

Commento di P. Ermes Ronchi
Quel padre che difende la libertà

Si è persa una pecora, si perde una moneta, si perde un figlio. Si direbbero quasi delle sconfitte di Dio. E invece l'amore vince proprio perdendosi dietro a chi si era perduto. Il Dio di queste parabole è un Dio che và dietro anche a uno solo. Uno, uno solo di noi, e per di più sbandato, è sufficiente a mettere Dio in cammino. Un uomo aveva due figli. Questo inizio, semplicissimo e favoloso, apre la parabola più bella. Nessuna pagina al mondo raggiunge come questa il centro del nostro vivere, nessuna lascia trasparire come questa il cuore di Dio. Un Dio differente, diverso non solo da quello dei Farisei, ma anche dall'immagine che noi ancora ci portiamo in cuore: un Padre che non vuole una casa abitata da figli-servi, obbedienti e scontenti, ma da figli-liberi, gioiosi e amanti. Il suo dramma sono due figli entrambi insoddisfatti, forse perché si credono servi. Il più giovane se ne va, un giorno, in cerca di felicità. Questa crisi del ribelle l'abbiamo tutti vissuta, e spesso il gesto di rivolta non era che il preludio a una dichiarazione d'amore. Il Padre non si oppone, non è mai contro la libertà. Ma la storia ha una svolta drammatica: il figlio si trova a pascolare i porci. Il libero ribelle è diventato servo, affamato, «può rubare le ghiande ai porci, ma non può accontentarsi, come loro, delle sole ghiande. Crudeltà questa? No, Provvidenza» (Mazzolari). L'uomo nasce con il cuore malato di cose grandi e le piccole non saziano. Allora si ricorda del pane di casa, e si mette in cammino. Al padre non importa il motivo per cui il figlio ritorna, se per fame o per amore, se per paura o per pentimento, a lui basta che si metta in viaggio, e lo «vede quando è ancora lontano». Padre, non sono degno, trattami da servo. E lui lo interrompe, per convertirlo proprio dal suo cuore di servo, per restituirgli un cuore di figlio, un cuore in festa. Per questo non emana verdetti, né di condanna né di assoluzione, perché il primo sguardo di Dio non si posa mai sul peccato dell'uomo, ma sempre sulla sofferenza, per guarirla. Il fratello maggiore torna dai campi ed entra in crisi: «io ti ho sempre ubbidito, e tu non mi hai dato neanche un capretto». Ha misurato tutto sulla contabilità del dare e dell'avere, come un salariato. Il padre vuole salvare anche lui dal suo cuore di servo: «tu sei sempre con me, tutto ciò che è mio è tuo». Tutto! Avrà capito? Padre, non sono degno, ma mi prendo lo stesso il tuo abbraccio, la veste nuova, la festa. Sono l'eterno prodigo. Sono la tua agonia e la tua gioia. Sono il tuo figlio. Grazie di essere Padre a questo modo, un modo davvero divino. (Letture: Esodo 32,7-11.13-14; Salmo 50; 1 Timoteo 1,12-17; Luca 15,1-32)




mercoledì 8 settembre 2010

Natività della Beata Vergine Maria


La Chiesa in questo giorno celebra la festa della Natività della Beata Vergine Maria. Cogliendo questa bella occasione il mio carissimo amico Gianandrea del blog  Il pensiero Cristiano, ha pensato ad   un evento di preghiera rivolto alla Vergine Maria per la Cristianità intera, iniziando proprio da oggi e concludendo il 15 settembre, festa della B.V. Addolorata
 L'idea di questo evento è stata senz'altro suggerita dallo Spirito Santo che opera in coloro che sono docili alla sua azione...il momento che il mondo cristiano vive non è certo dei più facili, anzi, è proprio difficile e c'è il rischio che il nostro Credo sia soffocato dall'ideologia che l'ateismo sta cercando di divulgare, favorendo, anche se involontariamente, l'avanzare di altre confessioni religiose come l'islam, molto più fondamentaliste del nostro cristianesimo...
Si può comprendere allora l'urgenza di trovarsi tutti uniti in preghiera per scongiurare che l'identità dei cristiani sia disconosciuta.
La Madonna è la nostra ancora di salvezza e ricorrendo a lei si è certi che le nostre preghiere, se fatte con il cuore, non vanno perdute ma arrivano subito a destinazione...
Gesù come buon Figlio obbediente non può non accogliere ciò che gli chiede la propria Madre.
Ricordiamo Maria alle Nozze di Cana che chiamando i servi disse:" fate quello che Egli vi dirà". Perché non dovrebbe ancora avvenire la stessa cosa? Anche noi abbiamo finito il vino, anche il nostro cristianesimo si è annacquato, è necessario ridargli sapore e vigore...
Gesù ha ancora il potere di cambiare l'acqua in vino e lo fa ancora sull'invito di Sua madre...
Preghiamo con fede amici, i risultati ci saranno, crediamoci ed invitiamo altri a fare lo stesso.

Troverete QUI il programma per tale evento.

Propongo di iniziare meditando la Parola Evangelica di questo giorno

Vangelo (Mt 1,1-16.18-23)

Quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.

+ Dal Vangelo secondo Matteo

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadab, Aminadab generò Naasson, Naasson generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, Asaf generò Giosafat, Giosafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiud, Abiud generò Eliacim, Eliacim generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliud, Eliud generò Eleazar, Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.
Ecco poi come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati". Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: "Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele", che significa "Dio con noi".
Parola del Signore.

OMELIA
Spesso meditiamo l'annunciazione dell'angelo a Maria e la risposta di totale consenso alla parola di Dio: "Sia fatta la tua volontà". Raramente meditiamo l'annuncio fatto a Giuseppe, che la liturgia ci propone in questa festa della Natività della Vergine. Eppure le due annunciazioni, a Giuseppe e a Maria, riflessi di un'unica realtà, sono ugualmente importanti, per farci capire quale deve essere la vera fede. In un certo modo il Vangelo è una profezia di ciò che dobbiamo vivere a partire da ora, e di ciò che Cristo ci promette per il compimento della nostra vita e della storia degli uomini.
Qual è dunque il senso dell'annuncio fatto a Giuseppe? Il Vangelo secondo san Matteo comincia con una genealogia di Gesù. Essa termina così: "Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo". L'evangelista ci mostra allora come Giuseppe, uomo giusto, cioè santo, fedele a Dio, obbediente alla sua parola, osi accogliere questo dono della grazia che è la Vergine Maria, e in lei il bambino venuto dallo Spirito, l'Emanuele annunciato dai profeti. Poiché Giuseppe non vuole sposare la Vergine Maria per non appropriarsi del figlio che vive in lei e che viene da Dio, Giuseppe, il giusto, vive nel rispetto di Dio e nell'obbedienza. Come potrebbe essere suo figlio, il Figlio concepito dallo Spirito Santo? Poiché non siamo noi uomini che generiamo Dio. Non siamo noi uomini che offriamo la parola di Dio. Non siamo noi uomini che creiamo Dio a nostra immagine. Non siamo noi uomini che facciamo sbocciare la verità e la giustizia dalla terra: esse scendono dall'alto dei cieli. Dobbiamo sempre riconoscere il dono di Dio. Giuseppe non vuole impadronirsi di ciò che appartiene a Dio e a Dio solo, di questo tempio sacro che è la Vergine Maria, di questa dimora della gloria di Dio ancora nascosta nel segreto. È il motivo per cui l'angelo gli risponde: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà per te (dicono alcuni manoscritti) un figlio e tu lo chiamerai Gesù". La tua missione è di accogliere questo dono e di farlo tuo. Attraverso la bocca di Giuseppe, anche noi diamo a Gesù il suo
nome: "il Signore salva, Emanuele, Dio-con-noi" (Is 7,14), secondo la stessa espressione di Gesù prima di lasciare i suoi discepoli: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Dobbiamo accogliere il dono che Dio ci fa di suo Figlio. Ma vi sono molti modi di prenderlo. Il modo dei soldati, che arrestano Gesù e gli mettono le mani addosso. Il modo degli apostoli che lo seguono e l'abbandonano. Il modo dei poveri, dei malati, che tendono la mano supplicando: "Abbi
pietà di me, Signore... Se potessi toccarti!... Apri i miei occhi!". Il modo di quegli uomini e quelle donne dal cuore duro, che Cristo toccherà con il perdono. Il modo del bambino morto che egli prenderà per mano, per rimetterlo in piedi. E poi il modo di tutti coloro che prenderanno il suo corpo, come Cristo ci dice di fare: "Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo. Prendete e bevetene tutti: questo è il mio Sangue". Anche per noi ci sono molti modi di prendere: dal modo del ladro, che si
impadronisce con violenza e cupidigia, fino al modo di colui che accetta di essere amato e che, ricevendo questo dono d'amore, apre il suo cuore e ama a sua volta. Allora diventa un fratello nella famiglia dei figli di Dio.
È necessario dunque che Giuseppe accolga Maria, che accolga questo dono di Dio. Del bambino concepito dallo Spirito Santo Giuseppe deve fare suo figlio, il figlio di Davide, il figlio promesso dai profeti di Israele e donato a tutta l'umanità. Noi cantiamo a Natale, riprendendo le parole di Isaia: "Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Eterna è la sua forza". È così anche per noi, è necessario che anche noi l'accogliamo. Ecco il senso dell'annuncio a Giuseppe. Salaun, cioè Salomone, quest'uomo la cui vita leggendaria ha dato origine al perdono, quest'uomo troppo semplice che i suoi contemporanei non prendevano troppo sul serio, "il folle" che non sapeva dire che: "Ave Maria, Ave Maria, Ave Maria, O Maria, O Maria, O Maria!", quest'uomo aveva nel cuore la giusta
fede, che sa riconoscere il dono di Dio. Accogliendo Maria, egli accoglieva il dono di Dio in Maria. Accogliendo la Vergine, egli accoglieva la casa di Dio tra gli uomini, Cristo stesso.
Era della stirpe di Giuseppe, il Giusto, il vostro Salaun.


sabato 4 settembre 2010

XXIII domenica del tempo ordinario


Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

Dal vangelo secondo Luca 14, 25-33
 In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Commento

Il brano evangelico di questa domenica ci parla di una folla numerosa che andava dietro a Gesù attirata senz’altro dai suoi tanti prodigi. Gesù voltandosi indietro pronuncia parole molto dure:” Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”.
Nella precedente traduzione in questo brano di Luca veniva usato il verbo odiare che nel linguaggio semitico non ha lo stesso significato che diamo noi. Infatti, il verbo odiare sta proprio per “amare di meno”. Cosa voleva allora dire Gesù a quella folla numerosa e cosa vuole dire oggi ad ognuno di noi? Gesù invita tutti ad una scelta di vita radicale: a Dio spetta il primo posto.
Ma come facciamo ad arrivare a questo tipo di scelta se la nostra natura ci porta ad essere così attaccati ai nostri affetti e ai nostri averi? Non siamo così forti e virtuosi da riuscirci! La questione è tutta qui: non sarà certo con le nostre forze e per i nostri meriti che arriveremo a tanto. Mettere Dio al primo posto vuol dire abbandonarsi totalmente tra le braccia di un Padre che teneramente ama i suoi figli e si prende cura di loro. Noi dobbiamo dire solo il nostro SI, il resto è opera dello Spirito Santo, ma ciò non significa che non dobbiamo amare i nostri cari, anzi, l’amore che Dio riverserà nei nostri cuori sarà così grande che ci aiuterà ad amarli nel modo giusto e nella giusta misura. Solo attingendo alla Fonte dell’Amore possiamo essere capaci di vivere delle buone e sane realazioni umane, di ogni tipo. Gesù non vuole affatto sminuire l’amore umano, ma vuole dargli il giusto senso, ma per comprendere bene tutto ciò è necessario fare una considerazione che forse il più delle volte ci sfugge: se noi possiamo vivere da SALVATI non è certo per i meriti dei nostri affetti più cari, ma per quelli di Gesù Cristo che è morto in croce ed è risorto guadagnandoci la vita eterna. Dunque, tutto (persone e cose) deve essere immerso nella Parola di Dio, che è Parola d’amore e di salvezza, per essere trasformato. Non è certo facile, ma la proposta di Gesù:” Chi vuol venire dietro di me….” indica una scelta precisa e senza mezze misure,  che comporta anche una lotta, una battaglia, come quando si è in guerra…ma la vittoria è assicurata se si combatte con il giusto mezzo della FEDE in un Dio che sa solo amare.
(Letture: Sapienza 9,13-18; Salmo 89; Filèmone 1,9-10.12-17; Luca 14, 25-33).

Buona e santa domenica!

mercoledì 1 settembre 2010

Perché ci conviene stare con Cristo

Dall'editoriale samizdatOnline

Gheddafi show.
“La democrazia è soltanto il treno sul quale saliamo fino a quando saremo arrivati all’obiettivo. Le moschee sono le nostre caserme, i minareti le nostre baionette, le cupole i nostri elmi e i credenti i nostri soldati.” (Erdogan)

“Non abbiamo bisogno di spade o di bombe per diffondere l’Islam, per­ché abbiamo già 50 milioni di musulmani che, tra una decina di anni, trasformeranno l’Europa in un continente musulmano.” (Gheddafi)

… che differenza c’è? SamizdatOnLine

G'he ddafà

Quanto è giusto dare spazio a Gheddafi che dà spettacolo per i suoi fini? Considerarlo, riprendere il suo gesto?
E' "giusto" lasciarglielo fare?
Possiamo pensare che la sua provocazione si sarebbe dovuta stroncare. Si sarebbe dovuta impedire. Ma su che basi? Viviamo in uno stato di libertà conclamata. Ciò che permette quella libertà è quella stessa storia a cui, secondo il leader libico, dovremmo rinunciare.
Perché è la stessa storia del crocefisso: possiamo innalzare baluardi e steccati, ma se non è vero niente, se tutto è uguale, allora è tutto un abbaiare a vuoto, il difendere un nulla.
Sotto sotto lo sappiamo, lo vediamo che dove quella croce non c'è manca anche la libertà; ma o usiamo la libertà per aderire alla croce oppure per rinunciarvi, e quindi rinunciare anche alla libertà. E il fatto che quella frase sul futuro dell'Europa sia andata via così indica che mancano le persone che potrebbero impedirle di realizzarsi.
Posso scandalizzarmi che si trovino duecento ragazze che per soldi accettino di sorbirsi un sermoncino.
Poi mi pongo al loro posto e mi dico: cosa farei? Sputare su ottanta, cento euro? Per che cosa, per difendere ciò a cui in fondo non credo, ciò che magari mi fa schifo, che mi hanno insegnato essere oppio dei popoli e inutile superstizione? La scelta tra Dio e i soldi, quando il primo è solo un'idea e non un fatto, è facile.
Quello che personalmente mi dispiace è che nessuno dica perché ci convenga tenere Cristo. E, soprattutto, nessuno l'abbia detto a Gheddafi.

Berlicche socio di SamizdatOnLine

Personalmente, vorrei provare a dire perchè ci convinga  tenere Cristo...
Inizio con una precisazione: quello che sto per dire non è il frutto di nozioni che ho appreso o studi teologici che ho fatto né ricordi del catechismo, ma è il frutto dell'esperienza che il Signore Gesù mi ha portata a fare di Lui. Ma cosa significa fare esperienza del Signore? Significa conoscere intimamente la Sua Persona attraverso gli eventi della vita in cui Egli stesso si manifesta, si rende presente con segni concreti che ci fanno toccare con mano la grandezza del Suo amore. Ma questa conoscenza è possibile soltanto se è desiderata e  se nel profondo del proprio cuore c'è sete di Dio. Il Vangelo di Luca ci parla di Zaccheo che desiderava tanto vedere Gesù perchè ne  aveva tanto sentito parlare e ci dice anche che è stato Gesù stesso, che conosceva i suoi desideri,  a farsi incontrare da lui e la sua vita è cambiata...Il Vangelo di Giovanni ci parla della Samaritana che incontrando Gesù al pozzo di Giacobbe ha cambiato stile di vita...così è stato per l'adultera, per la Maddalena , così è stato per il cieco nato che ha recuperato la vista, per i tanti storpi guariti...così è stato per san Paolo sulla via di Damasco...Chiunque incontra la Persona di Gesù inizia una nuova vita: una vita da persona amata e amata in un modo unico, totale e definitivo da non desiderare nient'altro e nessun altro che Cristo...una vita da persona libera da condizionamenti e da schiavitù interiori. Ma soprattutto una vita da salvato che porta a fare esperienza della vita beata già qui in questa terra anche in presenza di prove difficili da superare...Gesù non è una semplice persona di cui la storia ci parla e che ha fatto tanto del bene, Gesù è il figlio di Dio che ha offerto la Sua vita per la salvezza di tutti gli uomini, Gesù è il SIGNORE, titolo che ha acquisito con la sua resurrezione...ed essere Signore significa essere Dio...e Dio ha potere sulla vita e sulla morte di ognuno di noi, anche su quella di Gheddafi e di ogni musulmano che se risorgerà non sarà per i meriti di Maometto ma per quelli di Cristo...ma ha ragione anche Gheddafi quando dice che tra una decina d'anni l'Europa sarà musulmana, e come potrebbe essere altrimenti se si cerca di fare di tutto per creare una società totalmente atea facendo passare la religione per oppio dei popoli? Ma è ora di capire che Gesù  Cristo non è una religione, ma una PERSONA viva e presente che fa ad ogni uomo e ad ogni donna una proposta d'amore per una vita beata senza fine. Credo proprio che convenga tenere Cristo!
Voi cosa ne dite?