martedì 29 giugno 2010

«Le infedeltà al Vangelo minacciano seriamente la Chiesa»


Carissimi amici, in occasione della SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO
ritengo assolutamente importante proporre alla vostra attenzione anche il testo integrale del discorso del santo Padre che  ci invita  ad essere fedeli al Vangelo  per essere liberati da ogni male che indebolisce tutta la Santa Chiesa.

Cari fratelli e sorelle!

I testi biblici di questa Liturgia eucaristica della solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo, nella loro grande ricchezza, mettono in risalto un tema che si potrebbe riassumere così: Dio è vicino ai suoi fedeli servitori e li libera da ogni male, e libera la Chiesa dalle potenze negative. E’ il tema della libertà della Chiesa, che presenta un aspetto storico e un altro più profondamente spirituale.
Questa tematica attraversa tutta l’odierna Liturgia della Parola. La prima e la seconda Lettura parlano, rispettivamente, di san Pietro e di san Paolo sottolineando proprio l’azione liberatrice di Dio nei loro confronti. Specialmente il testo degli Atti degli Apostoli descrive con abbondanza di particolari l’intervento dell’angelo del Signore, che scioglie Pietro dalle catene e lo conduce fuori dal carcere di Gerusalemme, dove lo aveva fatto rinchiudere, sotto stretta sorveglianza, il re Erode (cfr At 12,1-11). Paolo, invece, scrivendo a Timoteo quando ormai sente vicina la fine della vita terrena, ne fa un bilancio consuntivo da cui emerge che il Signore gli è stato sempre vicino, lo ha liberato da tanti pericoli e ancora lo libererà introducendolo nel suo Regno eterno (cfr 2 Tm 4, 6-8.17-18). Il tema è rafforzato dal Salmo responsoriale (Sal 33), e trova un particolare sviluppo anche nel brano evangelico della confessione di Pietro, là dove Cristo promette che le potenze degli inferi non prevarranno sulla sua Chiesa (cfr Mt 16,18).
Osservando bene si nota, riguardo a questa tematica, una certa progressione. Nella prima Lettura viene narrato un episodio specifico che mostra l’intervento del Signore per liberare Pietro dalla prigione; nella seconda Paolo, sulla base della sua straordinaria esperienza apostolica, si dice convinto che il Signore, che già lo ha liberato "dalla bocca del leone", lo libererà "da ogni male" aprendogli le porte del Cielo; nel Vangelo invece non si parla più dei singoli Apostoli, ma della Chiesa nel suo insieme e della sua sicurezza rispetto alle forze del male, intese in senso ampio e profondo. In tal modo vediamo che la promessa di Gesù – "le potenze degli inferi non prevarranno" sulla Chiesa – comprende sì le esperienze storiche di persecuzione subite da Pietro e Paolo e dagli altri testimoni del Vangelo, ma va oltre, volendo assicurare la protezione soprattutto contro le minacce di ordine spirituale; secondo quanto Paolo stesso scrive nella Lettera agli Efesini: "La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti" (Ef 6,12).
In effetti, se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che – come aveva preannunciato il Signore Gesù (cfr Mt 10,16-33) – non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. Queste, però, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto. Questa realtà è attestata già dall’epistolario paolino. La Prima Lettera ai Corinzi, ad esempio, risponde proprio ad alcuni problemi di divisioni, di incoerenze, di infedeltà al Vangelo che minacciano seriamente la Chiesa. Ma anche la Seconda Lettera a Timoteo – di cui abbiamo ascoltato un brano – parla dei pericoli degli "ultimi tempi", identificandoli con atteggiamenti negativi che appartengono al mondo e che possono contagiare la comunità cristiana: egoismo, vanità, orgoglio, attaccamento al denaro, eccetera (cfr 3,1-5). La conclusione dell’Apostolo è rassicurante: gli uomini che operano il male – scrive – "non andranno molto lontano, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti" (3,9). Vi è dunque una garanzia di libertà assicurata da Dio alla Chiesa, libertà sia dai lacci materiali che cercano di impedirne o coartarne la missione, sia dai mali spirituali e morali, che possono intaccarne l’autenticità e la credibilità.
Il tema della libertà della Chiesa, garantita da Cristo a Pietro, ha anche una specifica attinenza con il rito dell’imposizione del Pallio, che oggi rinnoviamo per trentotto Arcivescovi Metropoliti, ai quali rivolgo il mio più cordiale saluto, estendendolo con affetto a quanti hanno voluto accompagnarli in questo pellegrinaggio. La comunione con Pietro e i suoi successori, infatti, è garanzia di libertà per i Pastori della Chiesa e per le stesse Comunità loro affidate. Lo è su entrambi i piani messi in luce nelle riflessioni precedenti. Sul piano storico, l’unione con la Sede Apostolica assicura alle Chiese particolari e alle Conferenze Episcopali la libertà rispetto a poteri locali, nazionali o sovranazionali, che possono in certi casi ostacolare la missione ecclesiale. Inoltre, e più essenzialmente, il ministero petrino è garanzia di libertà nel senso della piena adesione alla verità, all’autentica tradizione, così che il Popolo di Dio sia preservato da errori concernenti la fede e la morale. Il fatto dunque che, ogni anno, i nuovi Metropoliti vengano a Roma a ricevere il Pallio dalle mani del Papa va compreso nel suo significato proprio, come gesto di comunione, e il tema della libertà della Chiesa ce ne offre una chiave di lettura particolarmente importante. Questo appare evidente nel caso di Chiese segnate da persecuzioni, oppure sottoposte a ingerenze politiche o ad altre dure prove. Ma ciò non è meno rilevante nel caso di Comunità che patiscono l’influenza di dottrine fuorvianti, o di tendenze ideologiche e pratiche contrarie al Vangelo. Il Pallio dunque diventa, in questo senso, un pegno di libertà, analogamente al "giogo" di Gesù, che Egli invita a prendere, ciascuno sulle proprie spalle (cfr Mt 11,29-30). Come il comandamento di Cristo – pur esigente – è "dolce e leggero" e, invece di pesare su chi lo porta, lo solleva, così il vincolo con la Sede Apostolica – pur impegnativo – sostiene il Pastore e la porzione di Chiesa affidata alle sue cure, rendendoli più liberi e più forti.
Un’ultima indicazione vorrei trarre dalla Parola di Dio, in particolare dalla promessa di Cristo che le potenze degli inferi non prevarranno sulla sua Chiesa. Queste parole possono avere anche una significativa valenza ecumenica, dal momento che, come accennavo poc’anzi, uno degli effetti tipici dell’azione del Maligno è proprio la divisione all’interno della Comunità ecclesiale. Le divisioni, infatti, sono sintomi della forza del peccato, che continua ad agire nei membri della Chiesa anche dopo la redenzione. Ma la parola di Cristo è chiara: "Non praevalebunt – non prevarranno" (Mt 16,18). L’unità della Chiesa è radicata nella sua unione con Cristo, e la causa della piena unità dei cristiani – sempre da ricercare e da rinnovare, di generazione in generazione – è pure sostenuta dalla sua preghiera e dalla sua promessa. Nella lotta contro lo spirito del male, Dio ci ha donato in Gesù l’"Avvocato" difensore, e, dopo la sua Pasqua, "un altro Paraclito" (cfr Gv 14,16), lo Spirito Santo, che rimane con noi per sempre e conduce la Chiesa verso la pienezza della verità (cfr Gv 14,16; 16,13), che è anche la pienezza della carità e dell’unità. Con questi sentimenti di fiduciosa speranza, sono lieto di salutare la Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, che, secondo la bella consuetudine delle visite reciproche, partecipa alle celebrazioni dei Santi Patroni di Roma. Insieme rendiamo grazie a Dio per i progressi nelle relazioni ecumeniche tra cattolici ed ortodossi, e rinnoviamo l’impegno di corrispondere generosamente alla grazia di Dio, che ci conduce alla piena comunione.
Cari amici, saluto cordialmente ciascuno di voi: Signori Cardinali, Fratelli nell’Episcopato, Signori Ambasciatori e Autorità civili, in particolare il Sindaco di Roma, sacerdoti, religiosi e fedeli laici. Vi ringrazio per la vostra presenza. I santi Apostoli Pietro e Paolo vi ottengano di amare sempre più la santa Chiesa, corpo mistico di Cristo Signore e messaggera di unità e di pace per tutti gli uomini. Vi ottengano anche di offrire con letizia per la sua santità e la sua missione le fatiche e le sofferenze sopportate per la fedeltà al Vangelo. La Vergine Maria, Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa, vegli sempre su di voi, in particolare sul ministero degli Arcivescovi Metropoliti. Col suo celeste aiuto possiate vivere e agire sempre in quella libertà, che Cristo ci ha guadagnato. Amen.
Fonte: Avvenire

SANTI PIETRO E PAOLO, APOSTOLI



La solennità odierna è antichissima: è stata inserita nel Santorale romano molto prima di quella di Natale. Nei secolo IV si celebravano già tre messe: una in san Pietro in Vaticano, l’altra in san Paolo fuori le mura, la terza alle catacombe di san Sebastiano dove furono probabilmente nascosti per un certo tempo, all’epoca delle invasioni, i corpi dei due apostoli.

San Pietro

Simone era un pescatore di Betsaida (Lc 5,3; Gv 1,44), che si era più tardi stabilito a Cafarnao (Mc 1,2 1.29). Il fratello Andrea lo introduce al seguito di Gesù (Gv 1,42); ma probabilmente Simone era stato preparato a questo incontro da Giovanni Battista. Il Cristo gli cambia nome e lo chiama «Pietra» (Mt 16,17-19; Gv 21,15-17), per realizzare nella sua persona il tema della pietra fondamentale. Simon Pietro è uno dei primi testimoni che vede la tomba vuota (Gv 20,6) ed ha una speciale apparizione di Gesù risorto (Lc 24,34).
Dopo l’ascensione egli prende la direzione della comunità cristiana (At 1,15; 15,7), enuncia le linee programmatiche della Buona Novella (At 2,14-41) e, per diretto intervento dello Spirito Santo, è il primo a prendere coscienza della necessità di aprire la Chiesa ai pagani (At 10—11).
Questa missione spirituale non lo libera dalla condizione umana, né dalle deficienze dei suo temperamento (cf, ad es.: Mt 14,30; Gv 13,6; 18,10).
Paolo non esita a contraddirlo nella famosa discussione di Antiochia (At 15; Gal 2,11-14), per invitarlo a liberarsi dalle pratiche ebraiche. Pare infatti che su questo punto Pietro abbia tardato ad aprire lo spirito e che egli tendesse a considerare i cristiani di origine pagana come una comunità inferiore a quella dei cristiani di origine ebraica (At 6,1-2). Quando viene a Roma, Pietro diviene l’apostolo di tutti. Allora egli compie pienamente la sua missione di «pietra angolare», riunendo in un solo «edificio» i Giudei ed i pagani e suggella questa missione con il suo sangue

San Paolo

Paolo, dopo la conversione sulla strada di Damasco, percorre, in quattro o cinque viaggi, il Mediterraneo. Fa il primo viaggio in compagnia di Barnaba (At 13—14): partono da Antiochia, si fermano nell’isola di Cipro e poi percorrono l’Asia Minore, l’attuale Turchia. Dopo il convegno degli apostoli a Gerusalemme, Paolo inizia un secondo viaggio, questa volta espressamente quale «inviato» dei «Dodici» (At 15,36—18,22). Riattraversa l’Asia Minore, evangelizza la Frigia e la Galazia ove si ammala (Gal 4,13). Passa poi in Europa assieme a Luca e fonda la comunità di Filippi (Grecia settentrionale). Dopo un periodo di prigionia evangelizza la Grecia: ad Atene la sua missione si incaglia davanti ai filosofi; a Corinto fonda la comunità che gli dà più fastidi. Poi rientra ad Antiochia.

Un terzo viaggio (At 18,23—21,17) lo riporta alle Chiese fondate nella attuale Turchia, specialmente a Efeso, poi in Grecia e a Corinto. Di passaggio a Mileto, annuncia agli anziani le sue prove imminenti. Infatti, poco dopo il suo ritorno a Gerusalemme, è arrestato dagli Ebrei e imprigionato (At 21). Essendo cittadino romano, Paolo si appella a Roma.
Intraprende così un quarto viaggio, verso Roma, ma non più in stato di libertà (At 21—28). Raggiunge Roma verso l’anno 60 o 61; è trattenuto in prigione fin verso il 63; intanto, approfittando di alcune facilitazioni, entra in frequente contatto con i cristiani della città e scrive le « lettere della prigionia ».
Liberato dalla prigione nel 63, compie, probabilmente, un ultimo viaggio in Spagna (Rm 15,24-28) o verso le comunità dirette da Timoteo e da Tito, ai quali scrive delle lettere che lasciano intravedere la sua prossima fine. Arrestato e di nuovo imprigionato, Paolo subisce il martirio intorno all’anno 67.

Pietro e Paolo: due nomi che lungo i secoli hanno personificato la Chiesa intera nella sua ininterrotta Tradizione; con la loro predicazione infatti il Signore ha «dato alla Chiesa le primizie della fede cristiana» (cf le due collette). Ai due primi maestri della fede si è giunti anche a «confessare» i peccati nel Confiteor, proprio riconoscendo in essi la Chiesa storica. Anche per gli Orientali i due «fratelli» sono sinonimo di tutto il collegio apostolico, come pietre fondamentali della fede.
Ancora oggi il Papa invoca l’autorità dei santi apostoli Pietro e Paolo quando nei suoi atti ufficiali intende riferire la Tradizione alla sua sorgente: la parola di Dio. Solo dall’ascolto di tale parola nello Spirito la Chiesa può essere «resa perfetta nell’amore in unione con il Papa, con i Vescovi e tutto l’ordine sacerdotale».

Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato

Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo (Disc. 295, 1-2. 4. 7-8; PL 38, 1348-1352)

Il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Noi non parliamo di martiri poco conosciuti; infatti «per tutta la terra si diffonde la loro voce ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 5). Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Hanno seguito la giustizia. Hanno testimoniato la verità e sono morti per essa.
Il beato Pietro, il primo degli apostoli, dotato di un ardente amore verso Cristo, ha avuto la grazia di sentirsi dire da lui: «E io ti dico: Tu sei Pietro» (Mt 16, 18). E precedentemente Pietro si era rivolto a Gesù dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16). E Gesù aveva affermato come risposta: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Su questa pietra stabilirò la fede che tu professi. Fonderò la mia chiesa sulla tua affermazione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Tu infatti sei Pietro. Pietro deriva da pietra e non pietra da Pietro. Pietro deriva da pietra, come cristiano da Cristo.
Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l'incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l'intera Chiesa. Ed è stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l'intera Chiesa. Da questo fatto deriva la grandezza di Pietro, perché egli è la personificazione dell'universalità e dell'unità della Chiesa. «A te darò» quello che è stato affidato a tutti. E' ciò che intende dire Cristo. E perché sappiate che è stata la Chiesa a ricevere le chiavi del regno dei cieli, ponete attenzione a quello che il Signore dice in un'altra circostanza: «Ricevete lo Spirito Santo» e subito aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).
Giustamente anche dopo la risurrezione il Signore affidò allo stesso Pietro l'incombenza di pascere il suo gregge. E questo non perché meritò egli solo, tra i discepoli, un tale compito, ma perché quando Cristo si rivolge ad uno vuole esprimere l'unità. Si rivolge da principio a Pietro, perché Pietro è il primo degli apostoli.
Non rattristarti, o apostolo. Rispondi una prima, una seconda, una terza volta. Vinca tre volte nell'amore la testimonianza, come la presunzione è stata vinta tre volte dal timore. Deve essere sciolto tre volte ciò che hai legato tre volte. Sciogli per mezzo dell'amore ciò che avevi legato per timore.
E così il Signore una prima, una seconda, una terza volta affidò le sue pecorelle a Pietro.
Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch'essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli.
Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione
Fonte: maranatha

sabato 26 giugno 2010

XIII domenica del Tempo Ordinario, anno C


Prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme. Ti seguirò ovunque tu vada.

+ Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,51-62) 

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Parola del Signore

Commento di  Mons. Roberto Brunelli

"Prese la ferma decisione"

Tre mini-storie di incontri con Gesù costituiscono il centro del passo evangelico odierno, tre casi di uomini che in vario modo si rapportano con lui, tre atteggiamenti in cui si possono leggere situazioni senza età. Senza età, nel doppio significato che si verificano ad ogni generazione e in ogni stagione della vita.

Primo caso. "Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: ‘Ti seguirò dovunque tu vada'. E Gesù gli rispose: ‘Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo'". Càpita; qualche frase che colpisce, un incontro illuminante, ed ecco accendersi l'entusiasmo, lo slancio del cuore: ti seguirò dovunque, sempre. Ma la risposta di Gesù mette in guardia dalle decisioni repentine; il cuore deve essere sempre accompagnato da occhi bene aperti, dalla riflessione, dalla consapevolezza. Seguire Gesù non è una passeggiata; in particolare egli avverte: se vieni con me, non aspettarti una vita facile e comoda, e men che meno onori o ricchezze. Due domeniche fa', ordinando un gruppo di nuovi preti, il papa ha ricordato loro che preti non si diventa per farsi una posizione nel mondo, per acquisire potere o altri vantaggi terreni; ma altrettanto direbbe a qualunque cristiano pensasse di professare la fede per trarne profitto. Vale sempre, e per tutti, l'antico motto "Servire la Chiesa e non servirsene"; si è cristiani per servire il prossimo, non per approfittare di lui; si è cristiani perché è cosa buona e giusta, non perché conviene.

Il secondo e il terzo caso sono tra loro simili. All'invito di Gesù, uno risponde: "Permettimi prima di andare a seppellire mio padre" e un altro: "Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia". Le risposte ad entrambi, pur tenendo conto che sono formulate nel paradossale e colorito linguaggio orientale, a prima vista sconcertano: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio"; "Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio". La durezza di queste parole, tuttavia, si attenua assai se si considera che i due cui sono rivolte non chiedono solo un'ora o un giorno per dare corso agli affetti domestici. Andare a seppellire il padre, in quel momento magari ancor vivo e vegeto, significava prendersi tutto il tempo occorrente ad assisterlo sino a quando avesse chiuso gli occhi; congedarsi da quelli di casa significava prima sistemare gli affari, risolvere questioni in sospeso, provvedere al futuro dei familiari. Insomma, dilazionare la decisione, dando la precedenza a pur rispettabili questioni terrene, mentre le risposte di Gesù non intendono certo annullare i legittimi affetti: vogliono anzitutto affermare il primato di Dio. Niente e nessuno è più importante di lui; "chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me" ha detto un'altra volta.

Egli stesso, del resto, ne ha dato l'esempio. Il brano odierno si apre con un'annotazione che fa riflettere. Il vangelo secondo Luca ordina la vita pubblica di Gesù, raccontando dapprima quanto ha fatto in Galilea, da dove poi ha dato inizio al viaggio che si sarebbe concluso a Gerusalemme, con la sua morte e risurrezione. Egli sapeva bene (l'aveva preannunciato più volte) a che cosa sarebbe andato incontro; avrebbe potuto sottrarvisi; e invece, ecco l'annotazione accennata: "Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme". Prese la ferma decisione: per questo era venuto, questo era il piano di Dio per salvare l'umanità. Prese la ferma decisione: Dio prima di tutto, Dio prima di ogni calcolo di personale convenienza.



lunedì 21 giugno 2010

Il Papa all'Angelus



Cari fratelli e sorelle!


Questa mattina nella Basilica di San Pietro ho conferito l’ordine presbiterale a quattordici diaconi della Diocesi di Roma - per questo sono in ritardo per l'Angelus. Il sacramento dell’Ordine manifesta, da parte di Dio, la sua premurosa vicinanza agli uomini e, da parte di chi lo riceve, la piena disponibilità a diventare strumento di questa vicinanza, con un amore radicale a Cristo e alla Chiesa. Nel Vangelo dell’odierna domenica, il Signore domanda ai suoi Discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Lc 9,20). A questo interrogativo l’apostolo Pietro risponde prontamente: «Tu sei il Cristo di Dio, il Messia di Dio» (cfr Iibid.), superando, così, tutte le opinioni terrene che ritenevano Gesù uno dei profeti. Secondo sant’Ambrogio, con questa professione di fede, Pietro «ha abbracciato insieme tutte le cose, perché ha espresso la natura e il nome» del Messia (Exp. in Lucam VI, 93, CCL 14, 207). E Gesù, di fronte a questa professione di fede rinnova a Pietro e agli altri discepoli l’invito a seguirlo sulla strada impegnativa dell’amore fino alla Croce. Anche a noi, che possiamo conoscere il Signore mediante la fede nella sua Parola e nei Sacramenti, Gesù rivolge la proposta di seguirlo ogni giorno e anche a noi ricorda che per essere suoi discepoli è necessario appropriarci del potere della sua Croce, vertice dei nostri beni e corona della nostra speranza.
San Massimo il Confessore osserva che «il segno distintivo del potere del nostro Signore Gesù Cristo è la croce, che egli ha portato sulle spalle» (Ambiguum 32, PG 91, 1284 C). Infatti, «a tutti diceva: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua"» (Lc 9,23). Prendere la croce significa impegnarsi per sconfiggere il peccato che intralcia il cammino verso Dio, accogliere quotidianamente la volontà del Signore, accrescere la fede soprattutto dinanzi ai problemi, alle difficoltà, alla sofferenza. La santa carmelitana Edith Stein ce lo ha testimoniato in un tempo di persecuzione. Scriveva così dal Carmelo di Colonia nel 1938: «Oggi capisco … che cosa voglia dire essere sposa del Signore nel segno della croce, benché per intero non lo si comprenderà mai, giacché è un mistero… Più si fa buio intorno a noi e più dobbiamo aprire il cuore alla luce che viene dall’alto». (La scelta di Dio. Lettere (1917-1942), Roma 1973, 132-133). Anche nell’epoca attuale molti sono i cristiani nel mondo che, animati dall’amore per Dio, assumono ogni giorno la croce, sia quella delle prove quotidiane, sia quella procurata dalla barbarie umana, che talvolta richiede il coraggio dell’estremo sacrificio. Il Signore doni a ciascuno di noi di riporre sempre la nostra solida speranza in Lui, certi che, seguendolo portando la nostra croce, giungeremo con Lui alla luce della Risurrezione.
Affidiamo alla materna protezione della Vergine Maria i nuovi sacerdoti oggi ordinati che si aggiungono alla schiera di quanti il Signore ha chiamato per nome: siano sempre fedeli discepoli, coraggiosi annunciatori della Parola di Dio e amministratori dei suoi Doni di salvezza.

Dopo l'Angelus

Desidero rivolgere un pressante appello perché la pace e la sicurezza siano presto ristabilite nel Kyrgyzstan meridionale, in seguito ai gravi scontri verificatisi nei giorni scorsi. Ai parenti delle vittime e a quanti soffrono per questa tragedia esprimo la mia commossa vicinanza ed assicuro la mia preghiera. Invito, inoltre, tutte le comunità etniche del Paese a rinunziare a qualsiasi provocazione o violenza e chiedo alla comunità internazionale di adoperarsi perché gli aiuti umanitari possano raggiungere prontamente le popolazioni colpite.
Oggi l’Organizzazione delle Nazioni Unite celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, per richiamare l’attenzione ai problemi di quanti hanno lasciato forzatamente la propria terra e le consuetudini familiari, giungendo in ambienti che, spesso, sono profondamente diversi. I rifugiati desiderano trovare accoglienza ed essere riconosciuti nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali; in pari tempo, intendono offrire il loro contributo alla società che li accoglie. Preghiamo perché, in una giusta reciprocità, si risponda in modo adeguato a tale aspettativa ed essi mostrino il rispetto che nutrono per l’identità delle comunità che li ricevono.
[ Saluti in varie lingue - Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que se unen a esta plegaria mariana, también a través de la radio y la televisión. La liturgia de hoy nos llega con la pregunta de Jesús a sus discípulos: ¿Quién decís que soy yo? A ella se puede dar una respuesta acertada sólo tras haberla aprendido de Él, escuchando su palabra, imitando su vida, encontrándolo personalmente en los sacramentos y en la oración. Que la Virgen María nos ayude en esta apasionante búsqueda para descubrir a quien es nuestra alegría y nuestra salvación. Feliz Domingo.]
Saluto infine i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli delle parrocchie Santa Paola Romana in Roma, SS.mo Redentore in Casette d’Ete, Santa Maria Assunta e San Bartolomeo in Frassinelle Polesine; come pure agli automobilisti del Ferrari Club Italia. A tutti auguro una buona domenica.

Appello

Carissimi amici, quello che vi rivolgo è un appello per  mia nipote Cristina di soli 27 anni, che è stata operata poco più di una settimana fa perchè affetta da endometriosi ed ha subito l'asportazione di diverse cisti alle ovaie, due noduli al retto con un piccolo tratto d'intestino ed anche l'appendicite. Subito sembrava essere andato tutto bene ma da ieri sono sopraggiunte delle complicazioni con presenza di febbre altissima e questa mattina è stata di nuovo ricoverata in ospedale a Verona.
Confido nella vostra solidarietà e nelle vostre preghiere perchè il Signore accolga le nostre suppliche.
Aiutatemi a pregare e a far pregare, solo il Signore può tutto.
Grazie di cuore a tutti!

domenica 20 giugno 2010

È l'amore disarmato quello che salva




+ Dal Vangelo secondo Luca 9,18-24

Tu sei il Cristo. Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».
Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».
Parola del Signore

Commento di Ermes Ronchi

Le folle chi dicono che io sia? La risposta è bella e sbagliata. Dicono che sei un profeta: una creatura di fuoco e di luce, voce di Dio e suo respiro. La seconda domanda arriva diretta, esplicita: Ma voi chi dite che io sia? Preceduta da un «ma», come se i Dodici appartenessero ad un'altra logica. Scrive Cristina Campo: ci sono due mondi / noi siamo dell'altro. La terza domanda, sottintesa, è diretta a me: ma tu chi dici che io sia? Gesù non chiede una risposta astratta: «chi è Dio», o «chi sono io»; mette in questione ciascuno di noi: tu, con il tuo cuore, la tua fatica, il tuo peccato e la tua gioia, «Chi sono io per te?» Non è la definizione di Cristo che è in gioco, ma quanto di lui vive nella tua esistenza. Allora chiudere tutti i libri e aprire la vita. Gesù ci educa alla fede attraverso domande, perché niente è ovvio, né Dio né l'uomo, né il bene né il male. Non servono studi, letture, catechismi, ma fame di pane e di assoluto. Ciascuno, che ha Dio nel sangue, deve dare la sua risposta. Ed è una risposta in-finita, mai finita. Cristo non è ciò che dico di lui, ma ciò che vivo di lui; non è le mie parole ma la mia passione. La verità è ciò che arde. «Il Tuo nome brucia su tutte le labbra: Tu ardi» canta Efrem Siro. Se Cristo non è io non sono. Gesù stesso offre l'inizio della risposta: il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, venire ucciso e poi risorgere. Ecco chi è: un Crocifisso amore, dove non c'è inganno. Che inganno può nascondere uno che morirà di dolore e di amore per te? Disarmato amore che non è mai entrato nei palazzi dei potenti se non da prigioniero, che non ha assoldato guardie, che i nemici non li teme, li ama. Amore vincente. Pasqua è la prova che Dio procura vita a chi produce amore. Amore indissolubile, da cui «nulla mai ci separerà» (Rom 8,38). Nulla mai: due parole assolute, perfette, totali. Niente fra le cose, nessuno fra i giorni. Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua. Non è un invito alla rassegnazione, non occorreva Gesù per questo. La Croce è invece la sintesi della sua storia: scegli per te una vita che sia il riassunto della mia vita. Prendi su di te la tua porzione d'amore, altrimenti non vivi. Accetta la porzione di croce che ogni passione porta con sé, altrimenti non ami. Non un invito a patire di più, ma a far fiorire di più la zolla del cuore, a conquistare la sua infinita passione per Dio e per l'uomo, per tutto ciò che vive sotto il sole, e oltre il grande arco del sole. (Letture: Zaccaria 12,10-11;13,1; Salmo 62; Galati 3,26-29; Luca 9,18-24)

sabato 19 giugno 2010

L'EUCARESTIA FA LA CHIESA....




DISCORSO DEL SANTO PADRE ALL'APERTURA DEL CONVEGNO ECCLESIALE DELLA DIOCESI DI ROMA NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO


Il Papa: l’Eucaristia fa la Chiesa, diventiamo una cosa sola, il suo Corpo mistico. Fa della nostra azione apostolica testimonianza dell’amore di Dio

“La fede non può mai essere presupposta, perché ogni generazione ha bisogno di ricevere questo dono mediante l’annuncio del Vangelo e di conoscere la verità che Cristo ci ha rivelato. La Chiesa, pertanto, è sempre impegnata a proporre a tutti il deposito della fede; in esso è contenuta anche la dottrina sull’Eucaristia”, che “oggi purtroppo non è sufficientemente compresa nel suo valore profondo e nella sua importanza per l’esistenza dei credenti. Per questo è importante che una conoscenza più approfondita del mistero del Corpo e del Sangue del Signore sia avvertita come un’esigenza dalle diverse comunità cristiane di Roma”. Lo ha detto Benedetto XVI, aprendo i lavori, nella basilica di San Giovanni in Laterano, del convegno diocesano di Roma, che ha avrà per tema “Eucaristia domenicale e testimonianza della carità”. Al tempo stesso, ha aggiunto il Pontefice, “nello spirito missionario che vogliamo alimentare, è necessario che si diffonda l’impegno di annunciare tale fede eucaristica, perché ogni uomo incontri Gesù Cristo che ci ha rivelato il Dio ‘vicino’, amico dell’umanità, e di testimoniarla con una eloquente vita di carità”. Secondo il Papa, “la Santa Messa, celebrata nel rispetto delle norme liturgiche e con un’adeguata valorizzazione della ricchezza dei segni e dei gesti, favorisce e promuove la crescita della fede eucaristica”. Dal Papa poi un invito a “riscoprire la fecondità dell’adorazione eucaristica” per “portare molto frutto” ed “evitare che la nostra azione apostolica si riduca a uno sterile attivismo, ma sia invece testimonianza dell’amore di Dio”.

È l’Eucaristia, ha ricordato il Papa, che “trasforma un semplice gruppo di persone in comunità ecclesiale: l’Eucaristia fa la Chiesa”. È dunque “fondamentale che la celebrazione della Santa Messa sia effettivamente il culmine, la ‘struttura portante’ della vita di ogni comunità parrocchiale”. Nutrendoci di Cristo, ha osservato il Pontefice, “siamo liberati dai vincoli dell’individualismo e, per mezzo della comunione con Lui, diventiamo una cosa sola, il suo Corpo mistico. Vengono così superate le differenze dovute alla professione, al ceto, alla nazionalità, perché ci scopriamo membri di un’unica grande famiglia, quella dei figli di Dio, nella quale a ciascuno è donata una grazia particolare per l’utilità comune”. Per il Santo Padre, “il mondo e gli uomini non hanno bisogno di una ulteriore aggregazione sociale, ma della Chiesa, che è in Cristo come un sacramento, ‘cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano’, chiamata a far risplendere su tutte le genti la luce del Signore risorto”. “Quando riceviamo Cristo, l’amore di Dio si espande nel nostro intimo, modifica radicalmente il nostro cuore e ci rende capaci di gesti che, per la forza diffusiva del bene, possono trasformare la vita di coloro che ci sono accanto”. “La carità – ha spiegato - è in grado di generare un cambiamento autentico e permanente della società, agendo nei cuori e nelle menti degli uomini”. Dunque, “la testimonianza della carità per il discepolo di Gesù non è un sentimento passeggero, ma al contrario è ciò che plasma la vita in ogni circostanza”. Di qui l’incoraggiamento “a impegnarsi nel delicato e fondamentale campo dell’educazione alla carità, come dimensione permanente della vita personale e comunitaria”.

Roma, ha affermato il Papa, “chiede ai discepoli di Gesù, con un rinnovato annuncio del Vangelo, una più chiara e limpida testimonianza della carità. È con il linguaggio dell’amore, desideroso del bene integrale dell’uomo, che la Chiesa parla agli abitanti di Roma”. Nella capitale sono vari i “luoghi dove la carità è vissuta in modo intenso”. Di qui la gratitudine per “quanti si impegnano nelle diverse strutture caritative, per la dedizione e la generosità con le quali servono i poveri e gli emarginati”. “I bisogni e le povertà di tanti uomini e donne ci interpellano profondamente: è Cristo stesso che ogni giorno, nei poveri, ci chiede di essere sfamato e dissetato, visitato negli ospedali e nelle carceri, accolto e vestito”. Così Benedetto XVI, stasera, al convegno diocesano di Roma. “L’Eucaristia celebrata – ha sostenuto - ci impone e al tempo stesso ci rende capaci di diventare a nostra volta pane spezzato per i fratelli, venendo incontro alle loro esigenze e donando noi stessi. Per questo una celebrazione eucaristica che non conduce ad incontrare gli uomini lì dove essi vivono, lavorano e soffrono, per portare loro l’amore di Dio non manifesta la verità che racchiude”. I gesti di condivisione “creano comunione, rinnovano il tessuto delle relazioni interpersonali, improntandole alla gratuità e al dono, e permettono la costruzione della civiltà dell’amore”. “In un tempo come il presente di crisi economica e sociale – è stata l’esortazione -, siamo solidali con coloro che vivono nell’indigenza per offrire a tutti la speranza di un domani migliore e degno dell’uomo”. Infine, un invito ai giovani a non aver paura di “scegliere l’amore come la regola suprema della vita”, sia “nel sacerdozio” sia nel “formare famiglie cristiane che vivono l’amore fedele, indissolubile e aperto alla vita!”.

Il testo integrale è riportato qui


venerdì 18 giugno 2010

«Si educa solo dentro ad una speranza»

Cardinale Camillo Ruini


di Francesca Fontana tratto da Tracce

 Al convegno dei Centri culturali cattolici, il cardinale Camillo Ruini ha affrontato l'emergenza educativa. Per trovare un punto da cui partire, davanti ad una libertà dell’uomo che «è sempre nuova»
Il cardinale Camillo Ruini: Solo dentro a una speranza si educa. È questo, in estrema sintesi, il messaggio della lectio magistralis tenuta dal cardinale Camillo Ruini a Milano sul tema della emergenza educativa. Un’analisi che va alla radice profonda del disorientamento che spesso tocca chi educa; disagio già denunciato da Benedetto XVI due anni fa, ed evidentemente molto avvertito, a giudicare dalla platea dell’Assolombarda affollata in occasione dell’annuale convegno dei Centri Culturali Cattolici della diocesi di Milano.
Cosa rende, oggi, tanto difficile educare? La lectio di Ruini inizia con l’analisi delle correnti che dominano la cultura attuale. Primo, naturalmente, quel relativismo sempre citato dal Papa, secondo il quale «lo stesso parlare di “verità” viene considerato pericoloso e autoritario». Secondo, la scomparsa di Dio dall’orizzonte culturale, come fu annunciata da Nietzsche, «alla radice della caduta di tutti i valori». Terzo, una tendenza che Ruini definisce “naturalismo”, intesa come quel pensiero che vorrebbe ridurre l’uomo a risultato di una evoluzione biologica, e non di un disegno. Concezione che, spiega il cardinale, non solo «contrasta radicalmente con l’idea ebraico - cristiana dell’uomo come immagine di Dio», ma «nega una insormontabile differenza ontologica dell’essere umano». E quindi collide con quel primato assoluto della persona per cui secondo Kant l’uomo deve essere sempre un fine, e mai un mezzo.
Viviamo dunque dentro una antropologia profondamente mutata; lo stesso concetto di “uomo” che è stato nostro fino al Novecento è alterato. L’analisi di Ruini coincide con quella di Francesco Botturi, ordinario di Filosofia morale alla Università Cattolica di Milano, che poco prima si era chiesto «che cosa ci rema oscuramente contro», nel tentativo di educare; e rimandando alla lettura della Caritas in veritate definiva il nostro tempo come avvolto in «un orizzonte tecnocratico, in cui siamo incapaci di trovare un senso che non sia prodotto da noi stessi».
Esiste poi una “volgata scientista”, spiega Ruini, che educa, attraverso i media e spesso la scuola, a questa modificata idea dell’uomo. Un uomo che non ammette una verità assoluta, né un creatore, e pretende di farsi creatore di se stesso.
E tuttavia, bisogna educare. Il cardinale indica alcune direzioni concrete. La prima base, naturalmente, l’amore e la vicinanza. Poi, l’apertura alle domande dei bambini, l’affrontare senza false neutralità i loro “perché”. (Dare, quindi, una propria ipotesi di interpretazione del reale). Inoltre, educare «è sempre incontro fra due libertà», e occorre allora «accettare il rischio della libertà, il rischio educativo di cui parlava don Giussani». Perché, aggiunge il cardinale riprendendo i concetti della enciclica Spe salvi, «la libertà dell’uomo è sempre nuova, e anche i più grandi valori del passato non possono essere semplicemente ereditati, ma vanno fatti nostri in una spesso sofferta scelta personale».
Ultima indicazione, dobbiamo riscoprire «il rapporto fra educazione e esperienza del dolore». «Nella mentalità comune il dolore è quell’aspetto oscuro della vita da cui in ogni caso bisogna preservare i giovani. Così però cresciamo persone fragili e poco generose. Occorre invece non censurare la sofferenza, e non lasciare senza risposta le domande che essa pone».
La lectio magistralis si conclude tornando alle radici della “emergenza educativa”. Occorre una base, un fondamento per educare. Ruini: «In termini laici si può dire che il nodo di fondo della questione educativa è la presenza, o l’assenza, di fiducia nella vita. In termini religiosi bisogna parlare della speranza cristiana, a cui Benedetto XVI ha dedicato non a caso la sua seconda enciclica. Quella speranza affidabile che, sola, può essere l’anima dell’educazione, come dell’intera vita».
Quella speranza che oggi vacilla in tanti, laici e anche credenti. Tanto che Habermas, ricorda il cardinale, ha descritto la perdita di fiducia nella salvezza come il carattere emergente dell’Occidente. Allora, dice Ruini, «un punto di partenza per rispondere alla sfida di oggi può essere nella verità contenuta nel nichilismo: è vero cioè che, senza Dio, tutto manca di fondamento». L’affronto dell'emergenza educativa è il tema del Progetto culturale e dei prossimi orientamenti pastorali della Cei, e di quella “alleanza educativa” che la Chiesa italiana intende proporre a tutti, laici e credenti, in uno sguardo che si preoccupi dei figli.


domenica 13 giugno 2010

XI domenica del tempo ordinario anno C


 Pubblico l'omelia di S.Em. il Cardinale Carlo Caffarra che ha celebrato la Santa Messa all'inizio del XXXII pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto, alla presenza di migliaia di pellegrini giunti da ogni parte d'Italia e dall'estero.

 Lc 7,36-8,3

"Cristo cambia l'uomo alla radice"

+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo.
Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».
Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco».
Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».
In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.
Parola del Signore.

Omelia 
1. Cari fratelli e sorelle, che cosa è che mette in movimento tutto l’io della peccatrice da spingerla ad un'effusione quasi priva di controllo? Che cosa è che impedisce alla presenza di Cristo di rompere il nocciolo duro della mentalità del fariseo che invita Gesù a pranzo? La narrazione evangelica in realtà si regge tutta su questa differenza: l’io della peccatrice mosso, commosso, visceralmente direi, dalla Presenza; l’io del fariseo chiuso dentro ad una mentalità che non si lascia trafiggere dalla Presenza.
La risposta è Gesù stesso a darcela, inventando una breve parabola: «un creditore aveva due debitori …». È il perdono come atto divino che mette in movimento, che commuove tutto l’io, perché è l’atto che rigenera l’io alla radice. E l’epifania, la trasparenza di un’io rigenerato è l’amore, la recuperata capacità di amare: «le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece, quello a cui si perdona poco, ama poco».
Perché l’atto divino del perdono cambia l’io alla radice? Perché cambia in primo luogo l’identificazione del proprio io con i propri atti: «saprebbe chi è e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice». Il fariseo non comprende che proprio per il fatto che Cristo è “un profeta”, guarda quella donna non definendola, costringendola e identificandola con ciò che fa e ha fatto, ma come persona che ha alla fine un solo bisogno: amare ed essere amata. È questo sguardo di Gesù che rigenera l’io perché lo colloca nella sua verità.
È stato lo sguardo di Gesù a schiodare Pietro dal suo tradimento: «allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro … e [Pietro], uscito, pianse amaramente» [Lc 22,61-62]. La peccatrice «stando dietro, presso i suoi piedi, piangendo cominciò a bagnarli di lacrime».
Perché l’atto divino del perdono cambia l’io alla radice? Perché vedendosi amato, diventa capace di corrispondere all’amore, diventa capace di amare. Scrive Agostino: «non vi è … invito più efficace ad amare che essere primi nell’amore; e troppo duro è il cuore che , non avendo voluto spendersi nell’amare,  non voglia neppure contraccambiare l’amore» [Prima catechesi cristiana 4,7,2; NBA VII/2, pag. 193]. Nell’esperienza di Zaccheo tutto questo è ancor più evidente.
Come avrete notato ascoltando la pagina evangelica, accade nella peccatrice perdonata un fatto davvero straordinario. Possiamo narrarlo colle parole di Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me» [Gal 2,20]. Si opera un de-centramento dal proprio io al Tu di Cristo. La propria vita, il proprio sentire e pensare, le proprie scelte, tutto ciò che costruisce la propria persona non è più edificato sul proprio io ma in ordine ad in relazione a Cristo. «Nell’esperienza di un grande amore tutto si raccoglie, nell’esperienza io-tu, tutto ciò che accade diventa un avvenimento dentro quell’ambito» [R. Guardini]. L’asse dell’esistenza è il rapporto con Cristo vivente nella sua Chiesa.
2. Cari fratelli e sorelle, il grande pellegrinaggio che fra poco inizierà è una grande metafora dell’evento accaduto alla donna di cui parla il Vangelo, e che può accadere in ciascuno di noi mediante la celebrazione eucaristica. È ancora S. Paolo che ci aiuta a cogliere il legame profondo fra la Parola ascoltata, il Mistero celebrato, il pellegrinaggio a Loreto.
Scrivendo ai cristiani di Filippi, egli dopo aver narrato il suo incontro con Cristo come evento che cambia radicalmente il suo io, dice: «non che io … sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo … dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta» [cfr. Fil 3,12-13].
Cari amici, l’incontro con Cristo “mette in movimento l’io” verso non qualcosa d’altro all’infuori di Cristo stesso. «Cerchiamo col desiderio di trovare, e troviamo col desiderio di cercare ancora», dice S. Agostino.
Ma arriverà il momento questa notte in cui vi sentirete stanchi, vi faranno male i piedi. Così prima o poi accade anche nella sequela di Gesù. E allora sei tentato di fermarti.
Non ci riesco: mi fanno male i piedi, e quindi non riesco a camminare dietro di Lui. E pensi che non ce la fai più a portare la croce di una malattia o di una grave sofferenza; che non sopporti più i tuoi genitori; che stai consumando i tuoi giorni perché non ti impegni nel lavoro o nello studio; che non riesci a non avere rapporti sessuali colla tua ragazza/o prima del matrimonio.
Ascolta quanto scrisse uno che per anni avvertì queste stesse difficoltà, anche quando aveva già capito che solo seguendo Gesù avrebbe trovato la vera gioia. Si tratta di S. Agostino, che dice: «forse tenti di camminare, e ti dolgono i piedi e ti dolgono perché … hai percorso duri sentieri. Ma il Verbo di Dio è venuto a guarire anche gli storpi. Ecco, dici, io ho i piedi sani, ma non riesco a vedere la via. Ebbene, egli ha illuminato anche i ciechi» [Comm. al vangelo di Giov. 34,9; NBA XXIV, pag. 725].
Cari fratelli e sorelle: Cristo è tutto. È la via; è la meta; è la forza che ci fa camminare. Amen.





sabato 12 giugno 2010

XXXII Pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto

Carissimi, la festa del Cuore immacolato di Maria capita proprio nel giorno in cui, a Macerata, tanti pellegrini stanno giungendo da tutte le parti d'Italia ed alcuni anche d'Europa, per partecipare al consueto pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto. Quest'anno allo stadio Helvia Recina di Macerata Il Cardinal Caffarra celebrerà la Santa Messa che darà inizio a questo XXXII pellegrinaggio. Ci sarà anche un'importante testimonianza di Rose Busingye (dall'Uganda) del Meeting Point International, come anche quella di Claudia Koll, insieme al suo cast di 17 persone.

 Propongo , in anteprima, l'intervista a S.Em. Card. Carlo Caffarra.

L'amore non si ripete mai.
Che risposta può dare al mondo di oggi un pellegrinaggio a piedi di 30 km, compiuto di notte da oltre 80mila fedeli, tra cui molti giovani, in un gesto misto di fatica e di sacrificio?

Due sono le grandi metafore del vivere umano. Il pellegrinaggio e la girovaganza. L’uomo è un pellegrino o un girovago? Il primo ha una meta sperata e desiderata; il secondo non ha nessuna meta, e vaga senza senso. L’evento del pellegrinaggio Macerata-Loreto è la testimonianza che la vita è un cammino verso una meta: la casa dove il Verbo facendosi carne ci ha mostrato il volto di Dio. E questa è la nostra beatitudine.
Quale messaggio sente di poter lanciare a questo grande popolo della Macerata-Loreto che cresce di anno in anno e che riconosce nel cammino verso Maria una possibilità di speranza e di certezza nel futuro?

Il messaggio è quello che lancia continuamente Maria: guardate a Gesù e «fate tutto quello che Lui vi dirà». Lui è la via perché è la verità, che ci conduce alla vita vera.
Nel suo discorso di ringraziamento di fine anno a San Petronio a Bologna, ha parlato di sfida educativa. “Per poter cominciare ogni generazione deve avere un terreno su cui poggiare per iniziare il suo cammino”. In che modo un pellegrinaggio può costituire un’occasione forte e viva per affrontare in modo più incisivo questa sfida educativa?

Lo è in due modalità principali. La presenza massiccia di giovani è l’invocazione che essi lanciano a noi adulti di essere guidati sulla via che porta alle fonti della vita. Ed anche ma non dammeno, il pellegrinaggio ci dice che per arrivare alla meta bisogna seguire una via precisa, già tracciata. L’educazione è la grande narrazione della vita che è fatta di generazione in generazione.
 
In avvio di Quaresima ha avuto modo di dire che “non basta convertirsi alla verità di se stessi: bisogna riordinare, orientare di nuovo l’asse fondamentale della propria vita” e raddrizzarne “la direzione”, poiché “vivere soltanto per Iddio e riconoscere il suo primato è l’atto fondamentale della conversione di cui il Signore vuole farci dono in Quaresima”. Senza questo orientamento fondamentale”, manca “la condizione fondamentale per vivere una vita buona”. Un giovane di oggi, come può comprendere l’importanza del primato di Dio nella sua vita e come un pellegrinaggio può aiutarlo a scoprirlo?
Questa è La questione di oggi. La più grave insidia che grava sul futuro dei giovani è il tentativo che in Occidente si sta facendo di costruire un ethos, una dimora per l’uomo cioè, come se Dio non ci fosse. Come può un giovane di oggi comprendere che questa è un’impresa folle? In primo luogo prendendo coscienza della sua umanità; il cuore, pur fra tanti rumori, continua a mormorare: “ci hai fatti per te, Signore, ed io sono inquieto fin che non riposo in te”. Il pellegrinaggio è sempre stato la grande occasione per ritornare alle sorgenti della vita: il cuore che desidera la vera beatitudine.
Lei è chiamato a partecipare alla 32° edizione. Un pellegrinaggio che è ormai è una tradizione, che viene riproposto alla fine dell’anno scorso scolastico, nel secondo sabato di giugno. Un gesto ripetuto ogni anno, con lo stesso percorso, come può risultare sempre nuovo e determinante per la propria persona?
Anche l’amore dice sempre le stesse cose, ma non si ripete mai. Maria guarda all’amore che nutriamo per lei, e sono sicuro che nel gesto scopre il profondo affetto che nutriamo per la sua persona.

Tratto da: Tracce

Le intenzioni di preghiera per il prossimo Pellegrinaggio


Come ogni anno al termine del Pellegrinaggio, sul sagrato della Basilica di Loreto, verranno raccolte le intenzioni di preghiera di ogni pellegrino, per essere bruciate come offerta alla Madonna.
Chi lo desidera o chi non potrà partecipare può inviare le sue richieste di grazia al Comitato cliccando qui. Le intenzioni pervenute, per quanto possibile, verranno ricordate lungo il cammino e bruciate insieme a quelle degli altri pellegrini.


Quest'anno anch'io mi unirò ai tanti pellegrini e marcerò nella notte verso la santa Casa di Loreto portando nel mio cuore anche i miei tanti amici del blog. In particolare, sento di dovere di ringraziare la Madonna per mia nipote Cristina che ha superato l'intervento a cui due giorni fa è stata sottoposta. Colgo l'occasione per ringraziare anche i tanti amici del blog che si sono prodigati a diffondere l'appello per la richiesta di preghiere: Stella, Gianandrea, Angel e tutti coloro che hanno accolto tale richiesta.

lunedì 7 giugno 2010

«Divorziati e risposati perché no alla Comunione»

Dal quotidiano   Avvenire  ecco a voi un articolo che, spero, aiuti molte coppie separate o divorziate a vivere meglio e nel giusto modo la loro condizione di vita.


Separati e divorziati possono fare la Comunione? E se no, perché? Sono le domande che molti si fanno di fronte a una norma della Chiesa cattolica che spesso ha suscitato, anche tra i credenti, non pochi dubbi e dolorose lacerazioni di coscienza. Quando poi alcuni casi di cronaca ripropongono il problema a dimensione mediatica, la questione torna di grande attualità.
Avvenire ha girato le domande più diffuse a monsignor Eugenio Zanetti, patrono stabile presso il Tribunale ecclesiastico regionale lombardo e responsabile del gruppo «La Casa», che nella diocesi di Bergamo fa accompagnamento spirituale e consulenza canonica per persone separate, divorziate o risposate.

Monsignor Zanetti, qual è esattamente la posizione dei separati e dei divorziati di fronte all’accesso ai sacramenti?

È quella descritta molto bene nel Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia e in altri documenti. Occorre distinguere fra coloro che si trovano in una situazione di «separazione», di «divorzio», di «nuova unione». Per i separati (che non hanno in corso una convivenza), soprattutto per chi ha subito la separazione, di per sé non ci sono impedimenti oggettivi ad accedere a Confessione e Comunione. Tuttavia, se un separato ha avuto grosse responsabilità e magari ha fatto del male all’altro coniuge o ai figli, questi per accedere fruttuosamente ai sacramenti dovrà fare un cammino di pentimento e, per quanto possibile, di riparazione del male fatto. Inoltre non vengono meno i suoi doveri nei confronti dei figli. Non bisogna dimenticare che i sacramenti non sono degli atti magici, ma comportano degli autentici cammini di conversione e di fede. Se una persona separata, pur non convivendo, vivesse dissolutamente, non sarebbe nelle condizioni di poter ricevere i sacramenti.

E per chi, dopo la separazione, si trova ora divorziato, che cosa succede?

Parliamo per ora dei divorziati che non hanno avviato una nuova convivenza o un matrimonio civile. Per la Chiesa il matrimonio, una volta celebrato in modo valido, è per sempre, cioè non può esser cancellato da nessuna potestà umana. Per questo, se in certe occasioni e a certe condizioni la Chiesa può riconoscere la legittimità della separazione per evitare mali maggiori, ritiene invece negativo il ricorso al divorzio. Quindi, se una persona è ricorsa al divorzio volendo cancellare definitivamente il suo matrimonio e magari, così facendo, ha causato ulteriore male e dolore all’altro coniuge o ai figli, per accedere ai sacramenti essa dovrà attestare un sincero pentimento e, per quanto possibile, attuare qualche gesto riparatore. Per chi, invece, ha subito il divorzio o ha dovuto accedervi per tutelare legittimi interessi propri o dei figli (senza tuttavia disprezzo verso il matrimonio, ritenuto comunque ancora in essere davanti a Dio e alla Chiesa), non vi sono impedimenti oggettivi per accedere ai sacramenti.

Dunque qual è l’impedimento effettivo: il divorzio in sé o la convivenza con altra persona successiva al divorzio?

Per separati o divorziati ciò che impedisce l’accesso ai sacramenti, oltre a eventuali condizioni morali soggettive non adeguate, è il fatto oggettivo di aver avviato una nuova convivenza o un matrimonio civile. È questa scelta, ulteriore rispetto alla separazione o al divorzio, che pone in una condizione in grave contrasto con il Vangelo del Signore riguardante l’amore fra un uomo e una donna sigillato con il matrimonio. L’insegnamento cristiano che la Chiesa cattolica continua a trasmettere propone agli uomini una scelta matrimoniale unica e indissolubile, fedele e aperta alla vita, per il bene dei coniugi e quello dei figli: un amore che riflette e testimonia la stessa qualità di amore che Dio ha verso gli uomini e che trova nel rapporto di Gesù con la Chiesa il suo riferimento e la sua mediazione ecclesiale. Il matrimonio religioso è una realtà incancellabile, proprio come incancellabile ed eterno è l’amore divino per l’umanità. Chi avvia una nuova unione contraddice con la sua scelta quanto indicato dal Signore e quindi si pone in una condizione oggettiva cosiddetta irregolare. Ed è proprio questa condizione irregolare che non pone i presupposti sufficienti per accedere ai sacramenti. Ciò però non significa emettere un giudizio sulle coscienze, dove solo Dio vede. Inoltre, il fatto di non poter accedere ai sacramenti non è assolutamente un indice di esclusione dalla vita della Chiesa; anche i divorziati risposati possono continuare a fare cammini di fede che li rendano partecipi e attivi nella comunità ecclesiale.
Qualcuno si chiede: perché non può comunicarsi neanche il coniuge che, pur non avendo alle spalle un matrimonio religioso, ha sposato civilmente una persona divorziata?L’impedimento per accedere ai sacramenti è, come già detto, la scelta di avviare un’unione di tipo coniugale non fondata sul matrimonio religioso. Quindi le persone non sposate che decidono di avviare una convivenza o un matrimonio civile con persona separata o divorziata sanno che il loro partner è già legato ad un matrimonio e che quindi non potranno realizzare con esso un matrimonio cristiano; e tuttavia decidono di avviare un’unione con lui. La Chiesa, posta davanti a questa decisione, pur rispettando le persone, deve tuttavia esercitare un servizio di verità, che è anche un atto di carità, nel richiamare queste persone alle conseguenze della loro scelta. Ma anche queste persone possono continuare a fare un cammino nella Chiesa.

Ma perché l’omicida pentito e regolarmente confessato può comunicarsi e il divorziato risposato che eventualmente si riveli ottimo marito e buon genitore non può farlo?

Il giudizio sul fatto che una persona sia nelle condizioni oggettive di accedere o meno ai sacramenti non è da intendersi come un giudizio sulla sua coscienza: giudizio questo che spetta solo a Dio. Perciò, soffermarsi a fare confronti con gli altri non giova; al contrario dovremmo sempre avere a cuore, oltre alla nostra salvezza, anche quella degli altri, come Gesù ci insegna.
Non dobbiamo allora scandalizzarci se un nostro fratello, che ha commesso anche gravi delitti come per esempio l’omicidio, compiendo un autentico cammino di pentimento, revisione e riparazione, riceve il perdono di Dio anche attraverso la Confessione. Anche a chi vive in una situazione matrimoniale irregolare Gesù propone un cammino di conversione; e certamente in questo cammino ha il suo valore un serio impegno nel voler bene alle persone vicine, nell’educare bene i figli, nel partecipare alla vita della comunità, nell’essere attivo nella carità e nell’impegno sociale.
Quanto poi ai mezzi spirituali che la Chiesa è chiamata ad amministrare, coloro che vivono in queste situazioni matrimoniali potranno usufruirne nella misura in cui le loro scelte di vita lo permettono. Se essi decidono di non modificare il loro stile di vita di indole coniugale, contrario quindi all’insegnamento cristiano, non potranno accedere ai sacramenti, poiché i sacramenti per essere ricevuti con frutto esigono appunto il proposito di vivere secondo tale insegnamento. Per loro però ci saranno altri mezzi e cammini penitenziali e di comunione che, sia pur non arrivando attualmente alla pienezza sacramentale, comunque tendono all’incontro con la misericordia e l’amore di Dio.

Che cosa succede se il divorziato risposato cessa la convivenza con la persona sposata in seconde nozze civili? Inoltre può accostarsi alla comunione una persona che pur trovandosi nelle condizioni della domanda precedente abbia notoriamente relazioni extraconiugali o si trovi in una situazione di notorietà personale tale da suscitare scandalo nella comunità ecclesiale?

Non dovremmo mai porci di fronte ai nostri fratelli con un atteggiamento giudicante o condannante; questo, anche perché dall’esterno non sempre è possibile conoscere e valutare la complessità della vita di una persona. Ciò non significa però lasciare tutto al giudizio e alle decisioni private o individualistiche; al contrario tutti devono confrontasi con l’insegnamento della Chiesa ed anche affidarsi all’accompagnamento di sapienti guide spirituali. Se quindi, a un certo punto chi vive una situazione matrimoniale irregolare decide di continuare a vivere insieme, ma astenendosi dai rapporti sessuali; o se cessa la convivenza, c’è separazione o divorzio dal matrimonio civile, o morte di uno dei partner, viene meno un impedimento oggettivo per accedere ai sacramenti.
Tuttavia, occorrerà valutare la globalità della vita morale e religiosa della persona, l’effettivo cammino di conversione in atto, così che l’essere riammessi ai sacramenti si inserisca in un autentico cammino di fede e in una rispettosa vita ecclesiale. In tutto ciò la Chiesa ha a cuore sia il singolo, sia l’attenzione ad evitare che il cammino di questi sia di scandalo per gli altri fedeli. Questo vale per tutti, anche (e forse con maggiore attenzione) per coloro che ricoprono un particolare ruolo pubblico.

Mimmo Muolo

domenica 6 giugno 2010

SOLENNITA' DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO

ANNO C
Dal Vangelo secondo Luca (9,11-17)

Tutti mangiarono a sazietà.

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

COMMENTO
Prendere per dare: In questa solennità la liturgia ci propone l'episodio della mol­tiplicazione dei pani che ha trovato nell'evangelista Luca una lettura che richiama all'Eucaristia. Troviamo in esso, infatti, le azioni del prendere, del benedire, dello spezzare e del dare: tutti gesti che ci riportano all'Ultima Cena e che sarà possibile ritro­vare anche nel celebre racconto dei discepoli di Emmaus. Meditazione - Gesù è in mezzo alla folla, insegna e guarisce: due "azioni" pro­prie della compassione, del riconoscere cioè nell'altro una debo­lezza che va incontrata, accolta, curata; compassione che è ben diversa dal semplice "sentire pena" perché, quando è vera, essa si trasforma in agire, in un impegno pratico e non si limita ad un vago sentimento di pietà. Gesù, infatti, continua a preoccu­parsi della gente anche quando i suoi stessi discepoli lo invitano a congedarla così che da sé si trovi altrove da mangiare e da dormire. Essi, come avremmo fatto anche noi, pensano che le per­sone siano troppe, che sia impossibile nutrirle, non si sentono all'altezza della situazione. Ma Gesù dà loro fiducia, gli dice che possono dare loro stessi da mangiare. Devono andare a vedere quello che hanno,, quello che possono mettere a disposizione. Il resto lo farà Lui. E, in fondo, quanto dobbiamo fare noi: avere più fiducia in noi stessi, considerare le nostre possibilità e capa­cità, non spaventarci dei nostri pochi mezzi, interiori ed esterio­ri, e non delegare. Se Cristo ci ha messo il suo Corpo tra le mani, se ci ha chiamati a sé e non vuole lasciarci andare, se ci ha affi­dato delle persone di cui prenderci cura, se si fida di noi, perché a volte scappiamo, ci deresponsabilizziamo? Cosa ci impedisce di andare a scrutare in noi stessi per capire cosa possiamo dare a Dio e al prossimo? Cosa ci blocca? Il non sentirci in grado, il non essere abbastanza preparati, la paura di sbagliare...? I mo­tivi possono essere tanti, ma devo chiedermi se sono motivi va­lidi, e se posso migliorare con un po' di impegno. Gesù non ha sostituito i Dodici in quello che potevano fare, li ha invece so­stenuti e "impiegati" per la distribuzione di quell'abbondanza che può venire solo dalle sue mani. Nessuno è rimasto a digiu­no: questo è l'obbiettivo di Cristo, sfamare tutti. Se allora que­sti "tutti" ci staranno a cuore, se la loro "fame" entrerà come una sana preoccupazione in noi, se ci daremo pensiero per loro, allora non ci sarà blocco o paura che potranno impedirci di con­siderare cosa noi possiamo mettere a disposizione.
Preghiera: lo sono in cammino, Signore, con tutto il tuo popo­lo. Tu mi doni Te stesso perché io possa farmi "tutto a tutti", possa offrire quello che sono e quello che ho. Fa' che nulla mi fermi nel donare; soprattutto la poca fiducia in me stesso. Agire: Nella mia preghiera durante la santa Messa metterò nelle mani di Dio quello che sono e posso fare, perché Lui mi "impieghi" come meglio crede.








martedì 1 giugno 2010

Giugno mese del Sacro Cuore

O Cuore divino, carne della carne immacolata della Vergine Santissima; Cuore ricco delle Sue virtù e delle potenze del Padre; Cuore, tesoro inesauribile di speranze, il cui fuoco proietta su tutti i cuori del mondo, di questo mondo così pieno di fango e di superbia, guardami: sono un povero peccatore.

Dolce Cuore, ricco di amore e di speranza, concedi carità a chi è freddo, a chi è tiepido, a chi dubita sulla Tua presenza, a chi adora altri dèi all’infuori di Te, unico e vero Dio.

Aiuta le sterili a partorire, le vedove a trovare un nuovo sposo fedele, ai separati e ai divorziati ad osservare la Tua legge affinché i figli siano formati dal proprio Padre e dalla propria Madre.

O Cuore adorabile di Gesù, effondi le fiamme del Tuo amore su quanti ancora non Ti conoscono e su quanti che, pur avendoTi conosciuto, Ti hanno abbandonato, sui passionali, sui vendicativi, sull’omicida e sul suicida. Abbi pietà quando li incontri a giudizio.

Manda la Tua potente benedizione sui capi del governo perché cambino la lotta nella pace. Soccorri, come un fratello amoroso, Figlio di una Madre misericordiosa, tutti quei figli e quelle figlie che si trovano in quelle terre invase dalla guerra e dalla distruzione. Ricevi quei figli ingiustamente colpiti dalla morte nella larghezza del Tuo Cuore con il perdono delle loro colpe.

O Cuore adorabile del mio Gesù, fa che Ti ami ogni giorno sempre di più. Dammi la Tua santa benedizione, e Tu, che tutto vedi e a tutto provvedi, risolvimi quello di cui ora ho tanto bisogno. Amen.