mercoledì 28 aprile 2010

Santa Caterina patrona d'Italia e d'Europa

 Ricorre oggi l'anniversario della morte di Santa   Caterina da Siena avvenuta a    Roma il 29 aprile 1380.
 Per onorare questa santa pubblico uno degli scritti più importanti tratto dal "Dialogo della Divina Provvidenza" che rappresenta uno dei migliori esempi    della prosa italiana del Trecento e appare di straordinaria attualità. 
Cap. XV

(...) come Dio promette di fare misericordia al mondo e a la sancta Chiesa col mezzo dell’orazione e del patire de’ servi suoi.
(...)

Uno rimedio ci ha, col quale Io placarò l’ira mia:

cioè col mezzo de’ servi miei, se solliciti saranno di costrignermi

con la lagrima e legarmi col legame del desiderio.

Tu vedi che con questo legame tu m’hai legato;

il quale legame Io ti diei perché

volevo fare misericordia al mondo.

E però do Io fame e desiderio ne’ servi miei

verso l’onore di me e la salute de l’anime,

acciò che, costretto da le lagrime loro,

mitighi el furore della divina mia giustizia.

Tu dunque e gli altri servi miei

traete della fontana della divina

mia carità le vostre lagrime e i vostri sudori

e con essi lavate la faccia della mia Sposa mia,

ché Io ti prometto che con questo mezzo le sarà resa la bellezza sua.

Non con coltello né con guerra né con crudeltá riavarà la bellezza sua;

ma con la pace ed umili e continue orazioni, sudori e lagrime,

gittate con anxietato desiderio de’ servi miei.

E cosí adempirò el desiderio tuo con molto sostenere,

gictando lume la pazienzia vostra nella tenebre

degl’iniqui uomini del mondo.

E non temete perché ‘l mondo vi perseguiti, ché Io sarò per voi,

e in veruna cosa vi mancarà la mia providenzia.










domenica 25 aprile 2010

IV domenica di Pasqua

Vangelo Gv 10,27-30

Alle mie pecore io do la vita eterna.

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Commento
Le poche righe  che la liturgia di questa domenica ci propone sono contenute nel capitolo 10 del Vangelo di Giovanni che ci presenta Gesù come il Buon Pastore. L'immagine di Dio come pastore e del popolo come gregge era presente già nell'Antico Testamento e il salmo 23 (di Davide) lo esprime chiaramente: Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acqua tranquille mi conduce...
In questo brano di Giovanni Gesù riprende l'immagine del pastore per dire che il Padre ha concesso a Lui di manifestare chi è Dio. Il Padre ama profondamente l'uomo e questo amore lo manifesta attraverso la vita del  Figlio. Gesù si identifica come il Buon Pastore, cioè come Colui che è amabile, bello, desiderabile perchè dà la vita per le pecore. Ma chi sono queste pecore? Sono coloro che ascoltano la Sua voce e lo seguono perchè tra il pastore e il gregge c'è sintonia: chi incontra Gesù nella sua vita, stabilisce con Lui un rapporto d'amore e  si fa condurre. E  c'è di mezzo un'offerta alla quale chi conosce Gesù non può dire di no:  quella di una vita piena d'amore che dà la possibilità alla vita dell'uomo di diventare eterna. E nessuno di chi ha scelto di seguire Gesù andrà perduto perché  nessuno sarà strappato dalla sua mano essendo  unita a quella  del Padre che è il più grande di tutti nell'amore. Un amore di cui Gesù è la massima espressione perché Lui è una cosa sola con il Padre: un unico progetto di salvezza  che lo ha portato  a dare la sua vita  sulla croce. 
Ogni volta che leggo questo brano mi commuovo perchè nelle parole di Gesù avverto tutta la tenerezza e l'amore che  Dio Padre riversa su tutti noi che siamo suoi figli e sento anche una grande gioia, la gioia di essere al sicuro da ogni male. Invito tutti voi a meditare questo Vangelo durante tutta la settimana e spero che possiate provare la stessa emozione e gioia che scaturiscono dal mio cuore.
Buona settimana a tutti e che il Signore vi accompagni!

giovedì 22 aprile 2010

Il senso della festa

Pubblico una  significativa riflessione tratta dal settimanale "Emmaus" della mia Diocesi  che ci può aiutare a vivere nel modo giusto il giorno del Signore e a comprendere meglio il senso della Celebrazione Eucaristica.


Riscoprire il giorno del Signore



Sempre più spesso ci si augura “ buon fine settimana” e non “buona domenica”. Perché Giovanni Paolo II, nel documento “il giorno del Signore”, afferma che quando la domenica perde il significato originario e si riduce a pura conclusione della settimana, può capitare che l’uomo rimanga chiuso in un orizzonte tanto stretto che non gli consente più di vedere il cielo. Ma qual è il significato originario da recuperare? La domenica è il giorno del Signore, il giorno della Risurrezione, la festa delle feste, il momento della speranza e della gioia. Per chi crede in Gesù Risorto, la domenica è la Pasqua settimanale, il giorno in cui la Chiesa si sente convocata e rivive l’esperienza di sentirsi portata dalle tenebre alla luce, dalla schiavitù alla libertà e alla vita senza fine. la domenica, per il cristiano, è tempo opportuno per riscoprire il dono del battesimo, che apre a quella vita “bella” di cui tanto si avverte la mancanza. Nella Celebrazione Eucaristica, Gesù risorto si dona nella Parola e nel Pane, permettendoci di vivere la Sua stessa vita, inseriti con Lui nella storia, aperti al bello e al buono, costruttori di rapporti fraterni, in cammino verso la patria celeste. La domenica è anche il giorno dell’uomo, tempo donato per compiere gesti semplici di solidarietà e di condivisione. Perché la domenica ritorni ad essere significativa, occorre un cambiamento di mentalità: il passaggio dalla routine al desiderio di questo giorno, come esigenza vitale. E’ questa l’esperienza testimoniata, all’inizio del IV secolo d.C., dai cristiani di abitene (Tunisia), che vanno incontro alla morte, piuttosto che rinunciare a celebrare il giorno del Signore, perché senza domenica non possono vovere. Oggi c’è bisogno di testimoni di gioia vera, di feste che siano incontri di volti e non evasione e sballo. La comunità cristiana annuncia perché si fa festa e chi è il festeggiato. Se, invece di chiudersi in sogni nostalgici, ascolterà gli uomini del nostro tempo, potrà poi testimoniare loro la speranza che è capace di illuminare la vita. Sant’Agostino dice che chi ha tutto, ma non ha Dio nel cuore, non ha niente. la sfida da accogliere, dunque, consiste nel cominciare e vivere la domenica non come un peso ereditato, ma come una scelta desiderata, creata, rinnovata ogni giorno.

Santa Cioci 

domenica 18 aprile 2010

III domenica di Pasqua

VANGELO (Gv 21,1-19)

Le tre domande di Gesù a Pietro: così Dio abita il cuore dell'uomo

+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e! ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
Parola del Signore.

Commento a cura di Ermes Ronchi

Gesù e Pietro, uno dei dialoghi più affascinanti di tutta la letteratura. Tre domande, come nella sera dei tradimenti, attorno al fuoco nel cortile di Caifa, quando Cefa, la Roccia, ebbe paura di una serva. E da parte di Pietro tre dichiarazioni d'amore a ricomporre la sua innocenza, a guarirlo alla radice dai tre rinnegamenti. Gesù non rimprovera, non accusa, non chiede spiegazioni, non ricatta emotivamente; non gli interessa giudicare e neppure assolvere, per lui nessun uomo è il suo peccato, ognuno vale quanto vale il suo cuore: Pietro, mi ami tu, adesso? La nostra santità non consiste nel non avere mai tradito, ma nel rinnovare ogni giorno la nostra amicizia per Cristo. Le tre domande di Gesù sono sempre diverse, è lui che si pone in ascolto di Pietro. La prima domanda: Mi ami più di tutti? E Pietro risponde dicendo sì e no al tempo stesso. Non si misura con gli altri, ma non rimane neppure nei termini esatti della questione: infatti mentre Gesù usa un verbo raro, quello dell'agàpe, il verbo sublime dell'amore assoluto, Pietro risponde con il verbo umile, quotidiano, quello dell'amicizia e dell'affetto: ti voglio bene. Ed ecco la seconda domanda: Simone figlio di Giovanni, mi ami? Gesù ha capito la fatica di Pietro, e chiede di meno: non più il confronto con gli altri, ma rimane la richiesta dell'amore assoluto. Pietro risponde ancora di sì, ma lo fa come se non avesse capito bene, usando ancora il suo verbo, quello più rassicurante, così umano, così nostro: io ti sono amico, lo sai, ti voglio bene. Non osa parlare di amore, si aggrappa all'amicizia, all'affetto. Nella terza domanda, è Gesù a cambiare il verbo, abbassa quella esigenza alla quale Pietro non riesce a rispondere, si avvicina al suo cuore incerto, ne accetta il limite e adotta il suo verbo: Pietro, mi vuoi bene? Gli domanda l'affetto se l'amore è troppo; l'amicizia almeno, se l'amore mette paura; semplicemente un po' di bene. Gesù dimostra il suo amore abbassando per tre volte l'esigenze dell'amore, rallentando il suo passo sulla misura del discepolo, fino a che le esigenze di Pietro, la sua misura d'affetto, il ritmo del suo cuore diventano più importanti delle esigenze stesse di Gesù. L'umiltà di Dio. Solo così l'amore è vero. E io so che nell'ultimo giorno, se anche per mille volte avrò sbagliato, il Signore per mille volte mi chiederà solo questo: Mi vuoi bene? E io non dovrò fare altro che rispondere per mille volte: Ti voglio bene. (Letture: Atti degli Apostoli 5,27b-32.40b-41; Salmo 29; Apocalisse 5,11-14; Giovanni 21, 1-19)

venerdì 16 aprile 2010

Inno Akatisto 2

AUGURI SANTITA'


Domani, 17 aprile, è il compleanno del Santo Padre ed è mio desiderio rivolgere a Sua Santità un augurio sincero che nasce dal profondo del mio cuore.  Preghiamo lo Spirito Santo perché aiuti  papa Benedetto a portare il peso del difficile momento che la chiesa sta attraversando e perché gli dia quella luce necessaria per guidare tutti noi alla vera fede.

Per  l'occasione preghiamo con altre strofe dell'inno Akatisto.

KONDAKIO 2 (seconda parte di strofe)
Sotto l'apparenza di lingue di fuoco, nella luce e nel soffio possente, lo Spirito Santo è disceso sugli apostoli, portando una gioia. Allora gli antichi pescatori, avvolti dalla sua fiamma, chiamarono il mondo intero nella Chiesa del Cristo, sopportando nella gioia traversie sulla terra e sul mare, sfidando senza timore la morte violenta. E per tutta la terra si è diffuso il messaggio del loro inno di lode divina: Alleluya!

IKOS 2 (terza parte di strofe)
Coppa che riversa fuoco e rugiada sugli apostoli nella camera alta di Sion, noi Ti cantiamo, noi Ti benediciamo, Dio Santo Spirito! Riversa anche su di noi la coppa della tua saggezza:

Vieni santificatore e protettore della Chiesa.
Vieni a dare ai tuoi fedeli un solo cuore in una sola anima.
Vieni ad abbracciare la nostra pietà sterile e glaciale.
Vieni a dissipare le tenebre dell'ateismo e dell'empietà che si vanno diffondendo sulla terra.
Vieni a condurre il mondo sulla via della vita retta.
Vieni ad istruirci sulla verità tutta intera.
Vieni, saggezza inaccessibile e salvaci per le vie che Tu conosci:
Spirito Santo Consolatore vieni e dimora in noi!



giovedì 15 aprile 2010

Inno Akatisto

Carissimi amici, in un tempo così difficile per la Chiesa e per tutta la cristianità propongo di unirci in preghiera con un'invocazione particolare e potente allo Spirito Santo.

Inno Akatisto allo Spirito Santo


(Preghiera tratta dai Padri della Chiesa)


L'inno «akatisto» (o «akafist» in russo) è una forma di preghiera molto usata dai cristiani di rito bizantino (russi, ucraini, greci, romeni, bulgari, serbi). Letteralmente «akatisto» significa inno che si canta non seduti, cioè stando in piedi. Ci sono diversi inni «akatisto», ma i principali sono quelli in onore del Salvatore, dello Sprito Santo della Madre di Dio e di alcuni santi.
Questo inno è espres­sione sincera della fede popolare densa di contenuto dogmatico.

Pubblico la prima parte di una serie di strofe


KONDAKION 1 ( prima parte di strofe)
Venite fedeli a celebrare la discesa dello Spirito Santo. Dal seno paterno si è riversato sugli Apostoli, ha coperto tutta la terra della conoscenza di Dio, ha reso degni della grazia vivificante dell'adozione e della gloria celeste, coloro che accorrono verso di lui con un cuore puro perché Egli santifica e rende divini coloro che gridano:
Spirito Santo consolatore vieni e dimora in noi!

IKOS 1 ( seconda parte di strofe)
I cori luminosi degli Angeli cantano incessantemente nel cielo la gloria dello Spirito Santo fonte della vita e della luce immateriale. Anche noi Ti glorifichiamo con loro, Spirito di bontà per tutti i tuoi benefici manifesti o nascosti, e umilmente noi Ti supplichiamo di coprirci con la tua ombra beata:

Vieni, luce vera e gioia dell'anima.
Vieni nube apportatrice di rugiada ed indicibile beltà.
Vieni ad accettare la nostra lode come incenso profumato.
Vieni, spirito di verità, che il mondo non può ricevere.
Vieni a farci gustare la felicità della tua effusione.
Vieni a rallegrarci con l'abbondanza dei tuoi doni.
Vieni sole eterno e senza tramonto a stabilire la Tua dimora in noi.
Spirito Santo, Consolatore, vieni e dimora in noi.












domenica 11 aprile 2010

La Sacra Sindone interroga

Ultime dall'editoriale SamizdatOnline

Dal Discorso di Giovanni Paolo II 24 maggio 1998:

4. Nella Sindone si riflette l'immagine della sofferenza umana. Essa ricorda all'uomo moderno, spesso distratto dal benessere e dalle conquiste tecnologiche, il dramma di tanti fratelli, e lo invita ad interrogarsi sul mistero del dolore per approfondirne le cause. L'impronta del corpo martoriato del Crocifisso, testimoniando la tremenda capacità dell'uomo di procurare dolore e morte ai suoi simili, si pone come l'icona della sofferenza dell'innocente di tutti i tempi: delle innumerevoli tragedie che hanno segnato la storia passata, e dei drammi che continuano a consumarsi nel mondo.
Davanti alla Sindone, come non pensare ai milioni di uomini che muoiono di fame, agli orrori perpetrati nelle tante guerre che insanguinano le Nazioni, allo sfruttamento brutale di donne e bambini, ai milioni di esseri umani che vivono di stenti e di umiliazioni ai margini delle metropoli, specialmente nei Paesi in via di sviluppo? Come non ricordare con smarrimento e pietà quanti non possono godere degli elementari diritti civili, le vittime della tortura e del terrorismo, gli schiavi di organizzazioni criminali?
Evocando tali drammatiche situazioni, la Sindone non solo ci spinge ad uscire dal nostro egoismo, ma ci porta a scoprire il mistero del dolore che, santificato dal sacrificio di Cristo, genera salvezza per l'intera umanità.
5. La Sindone è anche immagine dell'amore di Dio, oltre che del peccato dell'uomo. Essa invita a riscoprire la causa ultima della morte redentrice di Gesù. Nell'incommensurabile sofferenza da essa documentata, l'amore di Colui che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16) si rende quasi palpabile e manifesta le sue sorprendenti dimensioni. Dinanzi ad essa i credenti non possono non esclamare in tutta verità: "Signore, non mi potevi amare di più!", e rendersi subito conto che responsabile di quella sofferenza è il peccato: sono i peccati di ogni essere umano.
Parlandoci di amore e di peccato, la Sindone invita tutti noi ad imprimere nel nostro spirito il volto dell'amore di Dio, per escluderne la tremenda realtà del peccato. La contemplazione di quel Corpo martoriato aiuta l'uomo contemporaneo a liberarsi dalla superficialità e dall'egoismo con cui molto spesso tratta dell'amore e del peccato. Facendo eco alla parola di Dio ed a secoli di consapevolezza cristiana, la Sindone sussurra: credi nell'amore di Dio, il più grande tesoro donato all'umanità, e fuggi il peccato, la più grande disgrazia della storia.
6. La Sindone è anche immagine di impotenza: impotenza della morte, in cui si rivela la conseguenza estrema del mistero dell'Incarnazione. Il telo sindonico ci spinge a misurarci con l'aspetto più conturbante del mistero dell'Incarnazione, che è anche quello in cui si mostra con quanta verità Dio si sia fatto veramente uomo, assumendo la nostra condizione in tutto, fuorché nel peccato. Ognuno è scosso dal pensiero che nemmeno il Figlio di Dio abbia resistito alla forza della morte, ma tutti ci commuoviamo al pensiero che egli ha talmente partecipato alla nostra condizione umana da volersi sottoporre all'impotenza totale del momento in cui la vita si spegne. E' l'esperienza del Sabato Santo, passaggio importante del cammino di Gesù verso la Gloria, da cui si sprigiona un raggio di luce che investe il dolore e la morte di ogni uomo.
La fede, ricordandoci la vittoria di Cristo, ci comunica la certezza che il sepolcro non è il traguardo ultimo dell'esistenza. Dio ci chiama alla risurrezione ed alla vita immortale.
7. La Sindone è immagine del silenzio. C'è un silenzio tragico dell'incomunicabilità, che ha nella morte la sua massima espressione, e c'è il silenzio della fecondità, che è proprio di chi rinuncia a farsi sentire all'esterno per raggiungere nel profondo le radici della verità e della vita. La Sindone esprime non solo il silenzio della morte, ma anche il silenzio coraggioso e fecondo del superamento dell'effimero, grazie all'immersione totale nell'eterno presente di Dio. Essa offre così la commovente conferma del fatto che l'onnipotenza misericordiosa del nostro Dio non è arrestata da nessuna forza del male, ma sa anzi far concorrere al bene la stessa forza del male. Il nostro tempo ha bisogno di riscoprire la fecondità del silenzio, per superare la dissipazione dei suoni, delle immagini, delle chiacchiere che troppo spesso impediscono di sentire la voce di Dio. ...

Festa della Divina Misericordia





Atto di fiducia nella Divina Misericordia


O Gesù misericordiosissimo, la Tua bontà è infinita e le ricchezze delle Tue grazie sono inesauribili. Confido totalmente nella Tua misericordia che supera ogni Tua opera. A Te dono tutto me stesso senza riserve per poter in tal modo vivere e tendere alla perfezione cristiana. Desidero adorare ed esaltare la Tua misericordia compiendo opere di misericordia sia verso il corpo sia verso lo spirito, cercando soprattutto di ottenere la conversione dei peccatori e portando consolazione a chi ne ha bisogno, dunque agli ammalati e agli afflitti. Custodiscimi o Gesù, poiché appartengo solo a Te e alla Tua gloria. La paura che mi assale quando prendo coscienza della mia debolezza è vinta dalla mia immensa fiducia nella Tua misericordia. Possano tutti gli uomini conoscere in tempo l'infinita profondità della Tua misericordia, abbiano fiducia in essa e la lodino in eterno. Amen. S. Faustina

Domenica in albis


Otto giorni dopo venne Gesù.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-31)
 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Parola del Signore

Commento a cura di Ermes Ronchi

 Venne Gesù, a porte chiuse. C'è aria di paura in quella casa, paura dei Giudei, ma anche e soprattutto paura di se stessi, di come lo avevano abbandonato, tradito, rinnegato così in fretta. Eppure Gesù viene. L'abbandonato ritorna da quelli che sanno solo abbandonare, il tradito si mette di nuovo nelle mani di chi lo ha tradito. «E sta in mezzo a loro». Ecco da dove nasce la fede cristiana, dal fatto che Gesù sta lì, dal suo esserci qui, vivo, adesso. Il ricordo, per quanto appassionato, non basta a rendere viva una persona, al massimo può far nascere una scuola di pensiero. La fede nasce da una presenza, non da una rievocazione. «Venne Gesù e si rivolge a Tommaso» Nel piccolo gregge cerca proprio colui che dubita: «Metti qua il tuo dito, stendi la tua mano, tocca!». Ecco Gesù: non si scandalizza di tutti i miei dubbi, non si impressiona per la mia fatica di credere, non pretende la mia fede piena, ma si avvicina a me. A Tommaso basta questo gesto. Chi si fa vicino, tende le mani, non ti giudica ma ti incoraggia, è Gesù. Non ti puoi sbagliare! Tommaso si arrende. Si arrende alle ferite che Gesù non nasconde, anzi esibisce: il foro dei chiodi, toccalo; lo squarcio nel fianco, puoi entrarci con una mano; piaghe che non ci saremmo aspettati, pensavamo che la Risurrezione avrebbe cancellato, rimarginato e chiuso le ferite del Venerdì Santo. E invece no! Perché la Pasqua non è l'annullamento della Croce, ma ne è la continuazione, il frutto maturo, la conseguenza. Le ferite sono l'alfabeto del suo amore. Il Risorto non porta altro che le ferite del Crocifisso, da esse non sgorga più sangue, ma luce. Porta l'oro delle sue ferite. Penso alle ferite di tanta gente, per debolezza, per dolore, per disgrazia. Nelle ferite c'è l'oro. Le ferite sono sacre, c'è Dio nelle ferite, come una goccia d'oro. Ciascuno può essere un guaritore ferito. Proprio quelli che parevano colpi duri o insensati della vita, ci hanno resi capaci di comprendere altri, di venire in aiuto. La nostra debolezza diventa una forza. Come dice Isaia: guarisci altri e guarirà presto la tua ferita, illumina altri e ti illuminerai. Tommaso si arrende alla pace, la prima parola che da otto giorni accompagna il Risorto: Pace a voi! Non un augurio, non una semplice promessa, ma una affermazione: la pace è qui, è in voi, è iniziata. Quella sua pace scende ancora sui cuori stanchi, e ogni cuore è stanco, scende sulla nostra vicenda di dubbi e di sconfitte, come una benedizione immeritata e felice. (Letture: Atti degli Apostoli 5,12-16; Salmo 117; Apocalisse 1,9-11.12-13.17.19; Giovanni 20,19-31)

venerdì 9 aprile 2010

Perché Egli è venuto?

Riflessioni per il tempo di Pasqua.

Ed anche Gesù non aveva che da restare ben tranquillo, nel cielo

Di  Mangiarotti, Don Gabriele

“Egli era proprio tranquillo nel cielo e non aveva affatto bisogno di noi. Perché Egli é venuto? Perché è venuto al mondo? Bisogna credere, amico mio, che io ho una certa importanza, io una donna da niente… Bisogna credere che l’uomo e la creazione e la destinazione dell’uomo e la vocazione dell’uomo ed il peccato dell’uomo e la libertà dell’uomo e la salvezza dell’uomo avevano una certa importanza, tutto il mistero, tutti i misteri dell’uomo. Diversamente, contrariamente, era così semplice, e così presto fatto (…) C’era solo da non creare l’uomo, c’era solo da non creare il mondo. Allora non ci sarebbe stata più la decadenza, non ci sarebbe stata più la caduta, non ci sarebbero state né caduta né redenzione. Non ci sarebbe stata più alcuna storia, non ci sarebbe stata più alcuna seccatura. Tutto il mondo sarebbe restato a casa propria. Come é possibile che io non sia grande, amico mio, se ho messo fuori posto tante cose, disordinato tante cose, e un così gran mondo? Per aver avviato una storia così tragica. Un Dio, amico mio, Dio si é scomodato, Dio si é sacrificato per me. Ecco il cristianesimo. Ecco il punto di origine, di assemblamento del meccanismo. Tutto il resto non è altro che …. meno di niente”. (C. Péguy, Veronique). Il cristianesimo è un dono, gratuito. Dio si è scomodato mandandoci suo Figlio. Si è scomodato per noi, innanzitutto donandoci l’essere, la vita. E la libertà, che ci porta a voltarGli le spalle, così che la Misericordia di Dio è venuta in soccorso della sua stessa creatura. Gli ha ri-donato la vita con la croce e la morte di Gesù. E ha riscattato tutto, facendoLo risorgere. Non ha fatto semplicemente tornare indietro il tempo, no. Ha rinnovato la vita. Di questo stiamo godendo. In questo tempo pasquale ci hanno accompagnato anniversari importanti. Cinque anni dalla morte di Giovanni Paolo II. Un anno dal terremoto dell’Aquila. Due eventi che sembrano agli antipodi. La luce della Resurrezione li ha illuminati. Nel messaggio agli Aquilani il Papa ha espresso pensieri di incoraggiamento “per la ricostruzione umana e sociale fondata sulla fede in Cristo risorto”. Quella di Giovanni Paolo II, “una vita svolta nel segno di questa carità, della capacità di donarsi in modo generoso, senza riserve, senza misura, senza calcolo. Ciò che lo muoveva era l’amore verso Cristo, a cui aveva consacrato la vita, un amore sovrabbondante e incondizionato. Chi ha avuto la gioia di conoscerlo e frequentarlo, ha potuto toccare con mano quanto viva fosse in lui la certezza “di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi”. Ci sono uomini che decidono di fare il cristianesimo, di rendere luminosa la gioia della Pasqua. Non cedono alla slealtà di pensare di poter far da sé. Riconoscono che allo scombussolamento portato dall’uomo nel mondo, alla sua grandezza e alla sua miseria, può rispondere solo Chi si è scomodato per salvarlo. Senza questo Presenza ogni risposta è parziale, ultimamente insincera.

lunedì 5 aprile 2010

Lunedì dell'angelo


Dal Vangelo secondo Matteo 28,8-15
In quel tempo, abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».
Mentre esse erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: «Dite così: "I suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo". E se mai la cosa venisse all'orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino a oggi.

IL COMMENTO DI PADRE LINO PEDRON. Una scelta cruciale.
LA FEDE VERA. Le donne eseguono l'incarico ricevuto dall'angelo. Alla paura è subentrata la gioia che vince la paura e caratterizza il sentimento pasquale. Il timore di Dio fulmina (Mt 28,4) o dà gioia (Mt 28,8) secondo il cuore in cui abita. Le donne hanno colto il messaggio dell'angelo. Questa rivelazione le invia in missione: devono trasmettere la parola di vita che già le riempie di gioia. Esse hanno dato un ammirevole esempio di fedeltà, di dedizione e d'amore a Cristo nel tempo della sua vita pubblica come durante la sua passione; ora sono premiate da Gesù con un particolare gesto di attenzione e di predilezione. Il loro comportamento riassume l'atteggiamento del vero credente davanti a Cristo. Gesù stesso viene loro incontro e dà loro il compito di essere le apostole degli apostoli: "Andate e annunziate ai miei fratelli..." (v. 10). Esse sono inviate dal Risorto e hanno compreso, almeno confusamente, il senso della Pasqua, mentre le guardie vanno a riferire ai sommi sacerdoti l'accaduto, ma ne ignorano il senso. Questo annuncio portato dalle guardie ai capi del popolo d'Israele è il segno di Giona che Gesù aveva promesso loro in Mt 12,38-40.
LA MENZOGNA DEI SOMMI SACERDOTI. I sommi sacerdoti tengono un consiglio con gli anziani che stranamente assomiglia a quello che preludeva la passione (Mt 26, 3); anche qui rispunta il denaro: come la morte di Gesù era stata valutata in denaro, così anche la sua risurrezione. Al messaggio cristiano, che le donne comunicano, essi contrappongono un anti-messaggio, che i soldati sono incaricati di trasmettere: il messaggio cristiano della risurrezione è una menzogna messa in scena dai discepoli col furto del cadavere. Ma i testimoni che dormono al momento del fatto non hanno alcun valore. Le guardie divulgano tra i giudei questa lezione appresa in fretta e pagata bene dai maestri. Così la morte e la risurrezione del Cristo continuano ad essere "fino ad oggi" la questione cruciale della storia, partendo dalla quale tutti gli uomini di ogni tempo devono fare una scelta libera e decisiva.

sabato 3 aprile 2010

Pasqua di resurrezione


Gesù risorto: la speranza di ogni persona

"Dal buio della notte all'alba della vita"

Dal Vangelo secondo Luca 24,1-12

1 Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato. 2 Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; 3 ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4 Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti. 5 Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo? 6 Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, 7 dicendo che bisognava che il Figlio dell' uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno". 8 Ed esse si ricordarono delle sue parole. 9 E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. 10 Erano Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli. 11 Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse. 12 Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l' accaduto.


Commento a cura di Ermes Ronchi

  È ancora buio e le donne si recano al sepolcro di Gesù, le mani cariche di aromi. Vanno a prendersi cura del corpo di lui, con ciò che hanno, come solo le donne sanno. Al buio, seguendo la bussola del cuore. Gesù non ha nemici fra le donne. Solo fra di loro non ha nemici. Come il sole, Cristo ha preso il proprio slancio nel cuore di una notte: quella di Natale - piena di stelle, di angeli, di canti - e lo riprende in un'altra notte, quella di Pasqua: notte di naufragio, di terribile silenzio, di buio ostile, dove veglia un pugno di uomini e di donne totalmente disorientati. Notte dell'Incarnazione, in cui il Verbo si fa carne. Notte della Risurrezione in cui la carne indossa l'eternità, in cui si apre il sepolcro, vuoto e risplendente nel fresco dell'alba. E nel giardino è primavera. Così respira la fede, da una notte all'altra. Pasqua ci invita a mettere il nostro respiro in sintonia con quell'immenso soffio che unisce incessantemente il visibile e l'invisibile, la terra e il cielo, il Verbo e la carne, il presente e l'oltre. Il racconto di Luca è di estrema sobrietà: entrarono e non trovarono il corpo di Gesù. Il primo segno di Pasqua è la tomba vuota. Nella storia umana manca un corpo al bilancio della violenza; i suoi conti sono in perdita. Manca un corpo alla contabilità della morte, il suo bilancio è negativo. La storia cambia: il violento non avrà in eterno ragione della sua vittima. Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Il bellissimo nome che gli danno gli angeli: Colui che è vivo! Io sento che qui è la scommessa della mia fede: se Cristo è vivo, adesso, qui. Non tanto se vive il suo insegnamento o le sue idee, ma se la sua persona, se lui è vivo, mi chiama, mi tocca, respira con me, semina gioia, e ama. Non simbolicamente, non apparentemente, non idealmente, ma realmente vivo. Perché Cristo è risorto? Dio l'ha risuscitato perché fosse chiaro che un amore così è più forte della morte, che una vita come la sua non può andare perduta. «Forte come la morte è l'amore»! dice il Cantico. Il vero nemico della morte non è la vita, ma l'amore. Nell'alba di Pasqua non a caso chi si reca alla tomba sono quelli che hanno fatto l'esperienza dell'amore di Gesù: le donne, la Maddalena, il discepolo amato, sono loro i primi a capire che l'amore vince la morte. Noi tutti siamo qui sulla terra per fare cose che meritano di non morire. Tutto ciò che vivremo nell'amore non andrà perduto. (Letture: Atti 10,34.37-43; Salmo 117; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20,1-9 oppure Luca 24,1-12)

BUONA E SANTA PASQUA !!!

Sabato santo

Giorno di silenzio e di attesa


Il Sabato santo, la Chiesa sosta presso il sepolcro del Signore, meditando la sua passione e morte, astenendosi dal celebrare il sacrificio della Messa (la mensa resta senza tovaglia e ornamenti) fino alla solenne Veglia o attesa notturna della risurrezione. L'attesa allora lascia il posto alla gioia pasquale, che nella sua pienezza si protrae per cinquanta giorni.
In questo giorno si può dare la santa comunione soltanto sotto forma di Viatico, cioè  l'Eucaristia ricevuta da coloro che stanno per lasciare la vita terrena e si preparano al passaggio alla vita eterna. Ricevuta al momento del passaggio da questo mondo al Padre, la Comunione al Corpo e al Sangue di Cristo morto e risorto è seme di vita eterna e potenza di risurrezione.

E' un sabato di grande silenzio, vissuto nel pianto dei primi discepoli che hanno ancora nel cuore le immagini dolorose della morte di Gesù, letta come la fine dei loro sogni messianici.
E' anche il Sabato santo di Maria, Vergine fedele arca dell'alleanza, madre dell'amore. Ella vive il suo Sabato santo nelle lacrime ma insieme nella forza della fede, sostenendo la fragile speranza dei discepoli.
E' in questo sabato, che sta tra il dolore della Croce e la gioia di Pasqua, che i discepoli sperimentano il silenzio di Dio, la pesantezza della sua apparente sconfitta, la dispersione dovuta all'assenza del Maestro, apparso agli uomini come il prigioniero della morte. E' in questo Sabato santo che Maria veglia nell'attesa, custodendo la certezza nella promessa di Dio e la speranza nella potenza che risuscita i morti.


PREGHIERA PER TUTTA LA GIORNATA

O Dio, noi ti ringraziamo per questo silenzio
che precede la risurrezione.
Cristo è stato posto nel sepolcro.
La guardia vigila
perché non si venga a rubare il suo corpo.
Cristo, tu sei ora nel grembo della terra,
per riconfortare i nostri padri.
Se il seme non muore, non può dare frutti.
Concedimi, Signore, di morire con te,
per portare frutti abbondanti,
come il seme nella terra,
che aspetta che nasca e cresca una nuova vita.







venerdì 2 aprile 2010

Venerdì santo

+ Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni


VANGELO (Gv 18,1- 19,42)


"Afferrarono Gesù e lo legarono"
 In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cedron, dove c'era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli. Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: + "Chi cercate?". C Gli risposero: P "Gesù, il Nazareno". C Disse loro Gesù: + "Sono io!". C Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse "Sono io", indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: + "Chi cercate?". C Risposero: P "Gesù, il Nazareno". C Gesù replicò: + "Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate
me, lasciate che questi se ne vadano". C Perché s'adempisse la parola che egli aveva detto: "Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato". Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: + "Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?". Lo condussero prima da Anna C Allora il distaccamento con il comandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno. Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei: "È meglio che un uomo solo muoia per il popolo". Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote; Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare anche Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: P "Forse anche tu sei dei discepoli di quest'uomo?". C Egli rispose: P "Non lo sono". C Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina. Gesù gli rispose: + "Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché
interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto". C Aveva appena detto questo, che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: P "Così rispondi al sommo sacerdote?". C Gli rispose Gesù: + "Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?".C Allora Anna lo mandò legato a Caifa, sommo sacerdote. Non sei anche tu dei suoi discepoli? Non lo sono! Intanto Simon Pietro stava là a scaldarsi. Gli dissero: P "Non sei anche tu dei suoi discepoli?". C Egli lo negò e disse: P "Non lo sono". C Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l'orecchio, disse: P "Non ti ho forse visto con lui nel giardino?". C Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.
Il mio regno non è di questo mondo. Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: P "Che accusa portate contro questo uomo?". C Gli risposero: P "Se non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato". C Allora Pilato disse loro: P "Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!". C Gli risposero i Giudei: P "A noi non è consentito mettere a morte nessuno". C Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva
morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: P "Tu sei il re dei Giudei?". C Gesù rispose: + "Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?". C Pilato rispose: P "Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?". C Rispose Gesù: + "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". C Allora Pilato gli disse: P "Dunque tu sei re?". C Rispose Gesù: + "Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". C Gli dice Pilato: P "Che cos'è la
verità?". C E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: P "Io non trovo in lui nessuna colpa. Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?". C Allora essi gridarono di nuovo: P "Non costui, ma Barabba!". C Barabba era un brigante.
Salve, re dei Giudei! Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: P "Salve, re dei Giudei!". C E gli davano schiaffi. Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: P "Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa". C Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: P "Ecco l'uomo!". C Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: P "Crocifiggilo, crocifiggilo!". C Disse loro Pilato: P "Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa". C Gli risposero i Giudei: P "Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio". C All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: P "Di dove sei?". C Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: P "Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?". C Rispose Gesù: + "Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande". Via, via, crocifiggilo! C Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: P "Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare!". C Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litostroto, in ebraico Gabbata. Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: P "Ecco il vostro re!". C Ma quelli gridarono: P "Via, via, crocifiggilo!". C Disse loro Pilato: P "Metterò in croce il vostro re?". C Risposero i sommi sacerdoti: "Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare". C Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Lo crocifissero e con lui altri due Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo.Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: "Gesù il Nazareno, il re dei Giudei". Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino
alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: P "Non scrivere: Il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei". C Rispose Pilato: P "Ciò che ho scritto, ho scritto". Si son divise tra loro le mie vesti C I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: "Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca". C Così si adempiva la Scrittura: "Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte". E i soldati fecero proprio così.
Ecco il tuo figlio. Ecco la tua madre! Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: + "Donna, ecco il tuo figlio!". C Poi disse al discepolo: + "Ecco la tua madre!". C E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. Tutto è compiuto! Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: + "Ho sete". C Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: + "Tutto è compiuto!". C E, chinato il capo, spirò. Qui ci si genuflette e si fa una breve pausa. E subito ne uscì sangue e acqua Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati
via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il costato con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: "Non gli sarà spezzato alcun osso". E un altro passo della Scrittura dice ancora: "Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto". Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende con oli aromatici Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodemo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Parasceve dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino.
Parola del Signore.

OMELIA
La più grande lezione che Gesù ci dà nella passione, consiste nell'insegnarci che ci possono essere sofferenze, vissute nell'amore, che glorificano il Padre. Spesso, è la "tentazione" di fronte alla sofferenza che ci impedisce di fare progressi nella nostra vita cristiana. Tendiamo infatti a credere che la sofferenza è sempre da evitare, che non può esserci una sofferenza "santa". Questo perché non abbiamo ancora sufficientemente fatto prova dell'amore infinito di Dio, perché lo Spirito Santo non ci ha ancora fatto entrare nel cuore di Gesù. Non possiamo immaginarci, senza lo Spirito Santo, come possa esistere un amore più forte della morte, non un amore che impedisca la morte, ma un amore in grado di santificare la morte, di pervaderla, di fare in modo che esista una morte "santa": la morte di Gesù e tutte le morti che sono unite alla sua. Gesù può, a volte, farci conoscere le sofferenze della sua agonia per farci capire che dobbiamo accettarle, non fuggirle. Egli ci chiede di avere il coraggio di rimanere con lui: finché non avremo questo coraggio, non potremo trovare la pace del suo amore.
Nel cuore di Gesù c'è un'unione perfetta fra amore e sofferenza: l'hanno capito i santi che hanno provato gioia nella sofferenza che li avvicinava a Gesù. Chiediamo umilmente a Gesù di concederci di essere pronti, quando egli lo vorrà, a condividere le sue sofferenze. Non cerchiamo di immaginarle prima, ma, se non ci sentiamo pronti a viverle ora, preghiamo per coloro ai quali Gesù chiede di viverle, coloro che continuano la missione di Maria: sono più deboli e hanno soprattutto bisogno di essere sostenuti.


PREGHIAMO


"In questo giorno, Signore, noi vogliamo rimanere con te, contemplare la tua
passione, per penetrare nel mistero del tuo amore infinito per noi.
Prepara il nostro cuore ad accogliere il mistero della croce, metti in
noi lo spirito di grazia, di supplica e di compunzione per i nostri
peccati e per i peccati di tutta l'umanità.
O Maria, tu che hai vissuto con il tuo Figlio la sua agonia e la sua
morte, donaci di piangere con te, un pianto che non cessi mai e che
irrori continuamente il terreno dell'anima, rendendo molli le zolle
indurite del nostro cuore".

giovedì 1 aprile 2010

Giovedì santo


LA CENA DEL SIGNORE

  Vi dò un comandamento nuovo, dice il Signore:

che vi amiate a vicenda, come io ho amato voi.

VANGELO (Gv 13,1-15)

Li amò sino alla fine.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni

Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a GiudaIscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse
attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?". Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo". Gli disse Simon Pietro: "Non mi laverai mai i piedi?". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me". Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!". Soggiunse Gesù: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti". Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: "Non tutti siete mondi". Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi".

Parola del Signore.


OMELIA

Gesù trascorre le ultime ore della sua vita terrena in compagnia dei suoi discepoli. Il Maestro manifesta un amore straordinario per gli apostoli, impartendo loro insegnamenti e raccomandazioni. Durante l'ultima Cena, Gesù ha mostrato - con le sue parole - l'amore infinito che aveva per i suoi discepoli e gli ha dato validità eterna istituendo l'Eucaristia, facendo dono di sé: egli ha offerto il suo Corpo e il suo Sangue sotto forma di pane e di vino perché diventassero cibo spirituale per noi e santificassero il nostro corpo e la nostra anima. Egli ha espresso il suo amore nel dolore che provava quando ha annunciato a Giuda Iscariota il suo tradimento ormai prossimo e agli apostoli la loro debolezza. Egli ha fatto percepire il suo amore lavando i piedi agli apostoli e permettendo al suo discepolo prediletto, Giovanni, di appoggiarsi al suo petto. Nella sua vita pubblica, Gesù ha raccomandato più di una volta ai suoi discepoli di non cercare di occupare il primo posto, ma di aspirare piuttosto all'umiltà del cuore. Ha detto e ripetuto che il suo regno, cioè la Chiesa, non deve essere ad immagine dei regni terreni o delle comunità umane in cui ci sono dei primi e degli ultimi, dei governanti e dei governati, dei potenti e degli oppressi. Al contrario, nella sua Chiesa, quelli che sono chiamati a reggere dovranno in realtà essere al servizio degli altri; perché il dovere di ogni credente è di non cercare l'apparenza, ma i valori interiori, di non preoccuparsi del giudizio degli uomini, ma di quello di Dio. Nonostante l'insegnamento così chiaro di Gesù, gli apostoli continuarono a disputarsi i primi posti nel Regno del Messia. Durante l'ultima Cena, Gesù non si è accontentato di parole, ma ha dato l'esempio mettendosi a lavare loro i piedi. E, dopo aver finito, ha detto: "Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri" (Gv 13,13-14).  La Cena si ripete nei secoli. Infatti Gesù ha investito gli apostoli e i loro successori del potere e del dovere di ripetere la Cena eucaristica nella santa Messa. Cristo si sacrifica durante la Messa. Ma, per riprendere le parole di san  Paolo, egli resta lo stesso "ieri, oggi e sempre" (Eb 13,8). I credenti che partecipano al Sacrificio eucaristico cambiano, ma il loro comportamento nei confronti di Cristo è più o meno lo stesso di quello  degli apostoli nel momento della Cena. Ci sono stati e ci sono tuttora dei santi e dei peccatori, dei fedeli e dei traditori, dei martiri e dei rinnegatori. Volgiamo lo sguardo a noi stessi. Chi siamo? Qual è il nostro comportamento nei confronti di Cristo? Dio ci scampi dall'avere qualcosa in comune con Giuda, il traditore. Che Dio ci permetta di seguire san Pietro sulla via del pentimento. Il nostro desiderio più profondo deve però essere quello di avere la sorte di san Giovanni, di poter amare Gesù in modo tale che egli ci permetta di appoggiarci al suo petto e di sentire i battiti del suo cuore pieno d'amore; di giungere al punto che il nostro amore si unisca al suo in modo che possiamo dire con san Paolo: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20).

MEDITAZIONE

Prima di passare ad osservazioni più particolareggiate sul tema della celebrazione  del santissimo Sacrificio, desidero riaffermare brevemente che il culto eucaristico costituisce l'anima di tutta la vita cristiana. Se infatti la vita cristiana si esprime nell'adempimento del più grande comandamento, e cioè nell'amore di Dio e del   prossimo, questo amore trova la sua sorgente proprio nel santissimo Sacramento, che comunemente è chiamato: Sacramento dell'amore.
L'Eucaristia significa questa carità, e perciò la ricorda, la rende presente e insieme la realizza. Tutte le volte che partecipiamo ad essa in modo cosciente, si apre nella nostra anima una dimensione reale di quell'amore imperscrutabile che racchiude in sé tutto ciò che Dio ha fatto per noi uomini e che fa continuamente, secondo le parole di Cristo: "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero" (Gv 5,17). Insieme a questo dono insondabile e gratuito, che è la carità rivelata, sino in fondo, nel sacrificio salvifico del Figlio di Dio, di cui l'Eucaristia è segno indelebile, nasce anche in noi una viva risposta d'amore. Non soltanto conosciamo l'amore, ma noi stessi cominciamo ad amare. Entriamo, per così dire, nella via dell'amore e su questa via compiamo progressi. L'amore, che nasce in noi dall'Eucaristia, grazie ad essa si sviluppa in noi, si approfondisce e si rafforza. Il culto eucaristico è quindi proprio espressione di quest'amore, che è l'autentica e più profonda caratteristica della vocazione cristiana. Questo culto scaturisce dall'amore e serve all'amore, al quale tutti siamo chiamati in Gesù Cristo. Frutto vivo di questo culto è la perfezione dell'immagine di Dio che portiamo in noi, immagine che corrisponde a quella che Cristo ci ha rivelato. Diventando così adoratori del Padre "in spirito e verità" (Gv 4,23), noi maturiamo in una sempre più piena unione con Cristo, siamo sempre più uniti a Lui e - se è lecito usare questa espressione - siamo sempre più solidali con Lui. La dottrina dell'Eucaristia, segno dell'unità e vincolo della carità, insegnata da san Paolo, è stata in seguito approfondita dagli scritti di tanti santi, che sono per noi un esempio vivente di culto eucaristico.
Dobbiamo avere sempre questa realtà davanti agli occhi e, nello stesso tempo, sforzarci continuamente di far sì che anche la nostra generazione aggiunga a quei meravigliosi esempi del passato, esempi nuovi, non meno vivi ed eloquenti, che rispecchino l'epoca a cui apparteniamo.
GIOVANNI PAOLO II Dominicae Caenae , 5


PREGHIAMO
Signore, tu scendi sui nostri altari al richiamo dei tuoi sacerdoti.
Per tua volontà, il pane e il vino diventano il tuo Corpo Santissimo e il
tuo sangue prezioso.
Nella pienezza della tua divinità tu vieni a portarci conforto e coraggio.
O mio Salvatore, ti supplico, trasformami completamente.


La Parola