domenica 30 agosto 2009

Significativa testimonianza

Tony Blair parla della sua conversione al Meeting di Rimini

“Una società, per essere armoniosa, deve dare spazio alla fede”: è quanto ha affermato Tony Blair, ex Primo Ministro della Gran Bretagna dal 1997 al 2007, intervenuto giovedì al Meeting per l'amicizia fra i popoli in corso a Rimini.

di Giacomo Campanile
redazione@vivereroma.org
È un onore vedere il mio nome associato all'iniziativa di Comunione e Liberazione – ha detto di fronte a 15 mila persone –. Sono davvero dispiaciuto di non potervi parlare nella vostra bellissima lingua. Provo ad impararla da poco tempo, ma è difficile”.

L'ex Premier inglese, cresciuto nella Chiesa anglicana, è stato accolto nella Chiesa cattolica il 21 dicembre del 2007, durante una cerimonia privata, svoltasi presso la Sede arcivescovile di Westminster e presieduta dal Cardinale Cormac Murphy-O'Connor. “Francamente è tutta 'colpa' di mia moglie”, ha detto Blair. “Con lei ho iniziato ad andare a messa. Ci piaceva andare insieme, a volte in una chiesa anglicana e altre volte in una cattolica. Man mano che passava il tempo, sentivo che la chiesa cattolica era la mia casa. E questo non solo per il suo magistero e per la sua dottrina, ma per la sua natura universale”. Il fondatore della “Faith Foundation” ha poi citato in due passaggi l'ultima enciclica di Benedetto XVI dal titolo “Caritas in veritate”, che “merita la pena di essere letta e riletta. E' un contrattacco al relativismo”. Blair ha quindi sottolineato il messaggio al cuore del documento papale, che senza Dio l'uomo è smarrito, per dire che la fede è di vitale importanza per un mondo globalizzato come quello odierno.
La globalizzazione offre la possibilità alle diverse popolazioni di incontrarsi, tuttavia ha avvertito sul pericolo “di perdere l'identità e non comprendere che gli obiettivi devono essere comuni”.
Occorre “rispettare le radici giudaico-cristiane dei Paesi dell'Europa. Inoltre è necessario chiedere rispetto per l'identità dei nostri Paesi, che si è formata nel corso dei millenni”.
Secondo Blair, il dovere dei credenti è di mostrare che la religione non è fonte di conflitti ma impegno per l'edificazione della giustizia. “In questo modo, mostreremo il vero volto di Dio, che è amore e compassione”, ha detto.“La fede non è una forma di superstizione, ma la Salvezza per l'uomo. Non è una fuga dalla vita. Fede e ragione sono alleate, non in opposizione. Fede e ragione si sostengono, si rafforzano, non in competizione. Per questo la voce della Chiesa viene ascoltata, la voce della fede deve essere ascoltata. E' questa la nostra missione per il sec. XXI”, ha detto.

Il Vangelo della domenica

XXII domenica del tempo ordinario- anno B

Il Vangelo è LIETA NOTIZIA, non affanno e angoscia!

Mc 7, 1-8.14-15. 21-23
"Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate - i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame - quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. 8Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo». Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo».
Commento offerto dalle Suore Francescane Angeline

C'è una patologia mortale dalla quale guardarci con attenzione: la lebbra dell'ipocrisia. Quando si vedono in giro persone che dicono di credere in Dio, ma poi non rispettano l'uomo; si creano l'alibi della fede per tutelare i propri affari e per fare i propri comodi; ostentano la pratica di riti, devozioni e tradizioni per mettersi in mostra, scambiando la Chiesa per una passerella e il culto per uno spettacolo... allora risuona la voce di Gesù che li chiama "farisei".
Sono tre in particolare gli aspetti che il Signore condanna, oggi come allora: il formalismo, il legalismo, il moralismo. 

Il formalismo consiste nel dare la precedenza alla forma più che alla sostanza, all'esterno più che all'interno. Questo capita anche a noi quando ci preoccupiamo più di essere "belli fuori" che "puliti dentro". Allora, per esempio, ci indignamo per la violenza, per la dignità della donna ormai resa un prodotto di commerci, ma poi, in nome di una malintesa libertà di espressione o del così fan tutti, la guardiamo tranquillamente in TV! 

Il legalismo porta a preferire la legge allo spirito, a porre la norma al di sopra del valore. Cristo non abolisce la legge, ma va oltre; non si accontenta delle apparenze, ma scende in profondità: guarda al cuore. Una religiosità farisaica ragiona in termini di crediti da rinfacciare a Dio, di cieca obbedienza ma non di amore.
Il moralismo infine dimentica che il cristianesimo è innanzitutto la bella notizia dell'amore di Dio per noi e riduce tutto a precetti da osservare e a norme da rispettare: un cumulo opprimente di proibizioni e divieti asfissianti. In quest'ottica la salvezza non è più grazia ma merito, non dono ma conquista, e il Vangelo non è più lieta notizia, ma affanno e angoscia.
Una vita cristiana con queste caratteristiche... fa ammalare la mente e il cuore, che diventa duro, calcificato, e ci si fa giudici spietati del cuore degli altri. Quando si dimentica che Dio è misericordia, ci si scorda della propria miseria, e si guarda solo, con occhio inflessibile, a quella degli altri. 

Eppure "ciò che importa nella vita non è meritare, ma amare" (F. Mauriac) e soprattutto "bisogna aver conosciuto l'amore, prima della morale, altrimenti è lo strazio" (P.Sartre).
In altre parole: se non crediamo di essere amati da Dio, non riusciremo mai ad amare... Decidiamoci allora a lasciarci raggiungere dall'amore infinito che dall'eternità aspetta solo il nostro cuore aperto e vuoto per potervi dilagare!
Buona domenica!

venerdì 28 agosto 2009

Sant'Agostino

Cari amici, oggi la Chiesa festeggia Sant'Agostino , uno dei più grandi Padri della Chiesa dei primi secoli. La Sua grandezza di Teologo, filosofo e scrittore e il suo esempio di santità ha fatto sì che Papa Benedetto XVI lo scegliesse come maestro per la sua formazione spirituale.

Da una delle tante catechesi del Papa su sant'Agostino emerge questa frase:
"Agostino di Ippona era un uomo di passione e di intelligenza altissima che cercava la verità ed incontrò Cristo".

Per avere altre notizie sul santo cliccate sul sito qui sotto
www.sant-agostino.it/index2.htm


Propongo la lettura di una bella poesia di sant'Agostino

Ama e fai quel che vuoi

Se taci, taci per amore.
Se parli, parla per amore.
Se correggi, correggi per amore.
Se perdoni, perdona per amore.
Metti in fondo al cuore
La radice dell’amore.
Da questa radice
Non può che maturare il bene.


giovedì 27 agosto 2009

Ancora sull'aborto


Cari amici, l'aborto è un tema di cui nei blog si è discusso molto soprattutto in questo ultimo periodo a causa della Ru486. Ma dopo aver trovato questo scritto così toccante non potevo non ritornare sull'argomento!


Leggete attentamente..................



PERDONA,.....SIGNORE!


Tag: dal web, vita

Primo mese
Mamma,sono ancora 1 seme,ma ho tutti
i miei organi. Amo il suono della tua voce, ogni volta
che lo ascolto, ondeggio di qua e di là. Il suono
del battito del tuo cuore è la mia ninna nanna preferita...

Secondo mese
Mamma, oggi ho imparato a succhiarmi il
pollice. Se potessi vedermi, potresti
dire sicuramente che sono un bambino.
Non sono ancora grande abbastanza per
sopravvivere al di fuori della mia casa. E' così
bello e accogliente qui!!...

Terzo mese
Mamma sono femmina!
Spero che ti faccia felice!
Ho sempre voluto che tu fossi
felice! Non mi piace quando piangi...sembri così
triste...e mi sento triste anchio, e piango con
te anche se so che non puoi sentirmi...

Quarto mese
Mamma,i miei capelli stanno cominciando a
crescere. Sono molto corti e carini, ma ne avrò
molti! Passo molto del mio tempo facendo
esercizio:riesco a girare la testa, ad arrotolare le dita
e a stirare le gambe e le braccia. Sto
diventando piuttosto brava!!...

Quinto mese
Oggi sei andata dal dottore...mamma, ti ha
mentino! Ti ha detto che non sono una bambina!
Sono una bambina mamma! La tua bambina...lo
penso e percepisco...
Ti posso sentire e so di amarti!
Mamma, cos'è un aborto?

Sesto mese
Sento di nuovo il dottore! Non mi
piace...sembra
freddo ed insensibile!
Sta infilando
qualcosa nella mia casa...la chiama ago...Mamma
cos'è?!?Brucia! Per favore fallo smettere! Non
riesco ad allontanarmi dall'ago!! Mamma!
AIUTAMI! Mamma, per favore fallo
smettere...mamma! Scusa mamma!Fallo
smettere ti prego!Ti prego

Settimo mese
Mamma, tutto bene. Sono tra le braccia di Gesù.
Mi sta abbracciando. Mi ha parlato degli
aborti...Perchè
non
mi hai voltuto
mamma?

Ogni aborto è:
1 cuore che è stato fermato

1 bocca che non parlerà mai

2 occhi che non vedranno mai

2 mani che non toccheranno mai

2 gambe che non cammineranno mai


Ricopialo se ti ha commosso...
...a me lo ha fatto!

mercoledì 26 agosto 2009

Confidare in Gesù


Gesù, io confido in te! Perché confido?
Perché ti credo?


Perché sei morto per me sulla croce.
Perché hai vinto la morte e il peccato.
Perché mi hai preparato il posto nella casa del Padre.
Perché mi hai fatto figlio di Dio.
Perché mi offri Te stesso.
Perché ti curi della mia salvezza.
Perché mi cerchi mentre sto errando.
Perché non ti scoraggi delle mie cadute.
Perché non vuoi che io sia perduto.
Perché ti rallegri quando ritorno a Te.
Perché Tu mi ami così come sono.
Perché Tu mai condanni.
Perché Tu perdoni.
Perché Tu mai rinunzi a me.
Perché Tu asciughi le lacrime.
Perché Tu porti la pace.
Perché in Te è la felicità.

Io confido in Te, perché Tu sei il mio Signore il mio Salvatore.

Gesù, io confido in Te,
significa che Gesù vuole essere il Signore
della mia famiglia e dei miei amici,
del mio presente e del mio futuro,
della mia educazione e del mio lavoro,
della mia buona salute e della mia malattia,
della mia carne e della mia anima,
della mia povertà e della mia ricchezza,
delle mie speranze e delle mie preoccupazioni,
del mio denaro e delle mie spese,
della mia intelligenza e della mia volontà,
dei miei occhi, orecchi, mani e piedi,
del mio modo di divertirmi, di riposarmi,
di vestirmi, di mangiare, parlare e pensare.

Gesù, io confido in Te!
Questo significa:
Che Tu sei per me Colui che decide di tutta la mia vita
Che Tu guidi tutta la mia esistenza
Che Tutto quello che faccio, lo faccio perché piaccia a Te
Che Tu sei sempre al primo posto
Che io voglio essere come lo specchio in cui gli altri vedano Te
Disponi di me secondo i tuoi divini intendimenti
Qualunque cosa mi porgerà la tua mano paterna,
l'accetterò con sottomissione, con serenità e con gioia.


Guidami, o Dio, sulle strade che Tu vuoi,
ho piena fiducia nella tua volontà, che è per me l'amore e la
misericordia stessa.
Gesù, io confido in Te, sempre, ovunque ed in tutto.
Amen.
Scritto da Antonio di "Preghiamo insieme"

martedì 25 agosto 2009

Essere amici di Dio


NOI SIAMO I SUOI PICCOLI AMICI!

Noi, che ci siamo affidati a Lui, troveremo riposo solo nel Suo Cuore!
Nella nostra vita affrontiamo tante prove, tanti avvenimenti, tante scelte ... che possono approdare in successi o fallimenti. Per questo magari ci addoloriamo perchè non abbiamo raggiunto il nostro obiettivo desiderato.
Questo accade perchè cerchiamo sempre soluzioni immediate ai nostri problemi e non pensiamo che il tempo, invece, è necessario, anche per il nostro cammino spirituale. Non ci accorgiamo che Lui provvede a tutto sia per la vita terrena che spirituale ... ma siamo così presi che non riusciamo a vedere le meraviglie del Suo Amore!
Le Sue vie non sono le nostre, i Suoi pensieri non sono i nostri pensieri.
Lui vede tutto di noi, vede la nostra vita per intero, tutti i suoi avvenimenti che, per Lui, sono tutti orientati alla Meta alla quale, giorno dopo giorno, scelta dopo scelta, Lui ci conduce, per il raggiungimento di quella Beatitudine che è Lui, il Padre!
In ogni esperienza, anche fallimentare, Lui è con noi e non ci abbandona mai.
Lui è l'Autore ed il perfezionatore della nostra fede. Lui si occupa incessantemente del nostro cammino di perfezione cristiana e ogni fatto, previsto o imprevisto, tende alla Meta. Tutte le esperienze da noi vissute, che viviamo o che vivremo sono utili e da Lui volute o permesse per il bene della nostra anima.

Siamo i Suoi piccoli amici, in Lui possiamo trovare riposo perchè Lui, Padre, ci custodisce con Amore infinito. Respingiamo i cattivi pensieri che l'accusatore insinua nelle nostre menti! I progetti del Padre per noi sono molti e sono tutti preparati con Sapienza.

Restiamo uniti a Lui e raggiungeremo la nostra Meta e quel giorno sorrideremo perchè potremo comprendere tutto quello che ora non comprendiamo.

Dio, Padre, è AMORE, ARMONIA ed è la nostra VIA PER IL CIELO!

Dobbiamo solo avere pazienza e vivere serenamente questo nostro tempo, confidando il LUI, Padre di Misericordia!

CHE QUESTO SIA PER VOI UN GIORNO


MERAVIGLIOSO CON IL PADRE!

Fonte: Dio_amore in religione

lunedì 24 agosto 2009

San Bartolomeo



La liturgia odierna celebra la festa di San Bartolomeo che fu uno dei dodici apostoli che seguirono Gesù. L'apostolo viene chiamato con questo nome nei sinottici, mentre nel vangelo di Giovanni 1,45 21,2 è indicato con il nome di Natanaele. Egli era originario di Cana in Galilea, ma non vi sono indicazioni sulle date di nascita e di morte. Morì nella seconda metà del I secolo probabilmente in Siria. Fu il secondo Catholicos di tutti gli Armeni (60-68).

Leggiamo il Vangelo

(Gv 1,45-51)
"Ecco un Israelita in cui non c'è falsità".
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Filippo incontrò Natanaele e gli disse: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret".
Natanaele esclamò: "Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?". Filippo gli rispose: "Vieni e vedi".
Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: "Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità". Natanaele gli domandò: "Come mi conosci?". Gli rispose Gesù: "Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico".
Gli replicò Natanaele: "Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!". Gli rispose Gesù: "Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!". Poi gli disse: "In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo".
Parola del Signore.

OMELIA
Filippo e Natanaele sono due nuovi discepoli di Gesù. Il primo riceve direttamente la chiamata; il secondo la riceve tramite un suo amico. I due si ritrovano in Gesù. Questo incontro ha rappresentato per loro un'esperienza di fede, un cambiamento nel loro comportamento, una nuova dimensione nel modo di vedere le cose, che li apre ad altre possibilità.
Esso ha rappresentato per loro una rottura con il passato, il penetrare in un nuovo mondo, in un nuovo tragitto di vita, poiché cercare Gesù vuol dire cercare la verità - cercare la luce, cercare Dio -.
"Vieni e vedi"... Entrare nell'intimità di Gesù significa scoprire il suo modo di vivere, vivendo con lui... cioè con gli uomini nostri fratelli.
È soltanto nell'esperienza comunitaria, nell'interesse per il modo di vivere degli altri, nel fatto di rimanere e di solidarizzare con gli altri, che noi acquistiamo a poco a poco l'esperienza della nostra fede.
"Vedrete il cielo aperto"... Dio si presenta e prende contatto con gli uomini, attraverso Cristo; egli vuole sentirsi vicino agli uomini, ed è tra di loro che ha fissato la sua tenda, nella comunità. Il cielo, in questa prospettiva del Vangelo, viene a noi tramite Cristo. Attraverso la nostra partecipazione, nella misura in cui lo possiamo, alla vita di Dio.
Quante cose potremmo vedere e provare se noi seguissimo Gesù.

Preghiamo
Accresci, Signore, la nostra gioia nel cercarti ogni giorno; sopprimi le nostre paure e i complessi, che ci impediscono di manifestare la nostra fede nella comunità. Fa' che i poveri, i semplici e i non credenti siano interpellati mediante la tua grazia, che agisce nella Chiesa. San Bartolomeo ci aiuti a purificare quello che facciamo e che siamo, ogni giorno, in modo tale che siamo la luce che spinge a seguire Gesù, Via, Verità e Vita.

Fonte: "La Parola" (Verbum web)

domenica 23 agosto 2009

Il Vangelo della domenica






XXI domenica del tempo ordinario

Vangelo di Gv 6,60-69

"Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!"

Durante questa settimana riflettiamo su queste parole di Pietro domandandoci se anche noi siamo pronti per fare la nostra professione di fede.




Carissimi lettori,
quasi in concomitanza con la fine delle ferie estive, con questa domenica si chiude anche il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, che ci fatto compagnia per le ultime domeniche. Forse il periodo estivo non è stato molto propizio per riflettere sull'insegnamento Eucaristico che scaturisce dal capitolo 6 di Giovanni, troppe distrazioni e\o meglio il riposo che la S. Messa della domenica. Al contrario è stato propizio per quanti nel silenzio del loro cuore, lontani dal chiasso della massa, sono riusciti a meditare e vivere la parola di Gesù.
Comunque, veniamo al tema di questa domenica: rifiuto e accoglienza. Siamo alla fine del capitolo 6 e come un discorso d'investitura di un progetto da realizzare per tutta la vita, anche quella dopo la morte, si sente d'entro la necessità di una risposta. Bisogna decidersi! Per non ripetere le tematiche precedenti, Gesù si è presentato come il pane vivo disceso dal cielo e chi lo mangia vivrà in eterno, avrà parte alla sua vita, dimorerà in Lui, anzi si trasformerà in Lui.
Umanamente il discorso di Gesù è molto duro, cioè incomprensibile. Se ci si sofferma all'aspetto razionale umano non si può che rifiutare. Come può l'essere razionale e limitato al tempo, trasformarsi in Eternità, in Dio? Come può la natura umana convivere, nella stessa persona, con la natura di Dio? Di fronte alla manifestazione del divino la ragione umana resta disorientata. Preferisce la rinuncia all'accoglienza. Mangiare di Lui, bere di Lui, com'è possibile? E tutto questo a cosa ci porterà? Come gli israeliti nel deserto, anziché vegliare in attesa del ritorno di Mosè dal Sinai con le tavole della Legge, nonostante avessero visto i segni compiuti da Dio per la loro liberazione, si costruirono il loro Dio fatto d'oro; così molti discepoli, nonostante avessero assistito alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, gustato quel cibo e saziatisi, preferirono allontanarsi dallo stare dietro a Gesù.
Mangiare di Lui e bere di Lui significa passare dalla sequela per simpatia e comprensione razionale a quella per adesione incondizionata ad una persona: Gesù Cristo.
Allora, il Signore si rivolge a quelli che ha chiamato alla sua sequela e gli rivolge una domanda possiamo dire a brucia pelo: "Volete andarvene anche voi?".
A nome del collegio apostolico risponde Pietro e la sua risposta riconosce alla parola di Gesù un valore eterno e alla sua persona un'origine divina. Probabilmente anche Pietro non ha compreso il discorso di Gesù, sarà anche lui rimasto sconcertato al pari degli altri. Però, credo anche questa volta illuminato dallo Spirito Santo, sceglie di abbandonarsi fiducioso alle parole del Maestro. Capisce che bisogna stare con il Maestro e riservare nella sua persona il massimo della fiducia.
Infine, facciamo nostra la risposta di Pietro e ripetiamocela sempre, sempre, per abbandonarci nelle mani di Dio e continuiamo a nutrirci del corpo e sangue di Cristo per essere trasformati in Lui e vivere questo nostro pellegrinaggio terreno sicuri di avere un'eternità di amore che ci attende.

Commento a cura di don Saverio Viola

venerdì 21 agosto 2009

Gesù, il medico dell'anima


Cristoterapia dialogo di vita, fonte di speranza.

Di don Pierino Gelmini e Alessandro Meluzzi

Editore: OCD


Cari amici, l'ultimo post del caro amico Gianandrea di Pensiero Cristiano offre a tutti noi uno spunto importante per riflettere sull'importanza della Preghiera e su gli effetti che essa produce: la guarigione di quelle malattie interiori di cui spesso siamo affetti un pò tutti.
Dunque "la preghiera è la medicina che guarisce" tutte quelle malattie dell'anima per le quali non esistono cure umane efficaci.
A sostegno di tale affermazione consiglio vivamente la lettura del libro "Cristoterapia" scritto da don Pierino Gelmini con la collaborazione del noto psichiatra Alessandro Meluzzi che, avendo incontrato Gesù, ha trovato la giusta strada da seguire anche nello svolgere la sua professione medica.
Cristoterapia non è né una filosofia, né una tecnica psicoterapeutica, né una semplice pedagogia etica o sociale, ma è l’esperienza concreta di un incontro con Cristo attraverso un uomo che non cammina né davanti a noi affinchè lo seguiamo, né dietro di noi per controllarci o sospingerci, ma al nostro fianco per accompagnare amorevolmente la crescita della nostra libertà.
"Per Cristoterapia si intende precisamente l'opera di salvezza che viene messa in atto da Cristo".
Per esperienza personale posso assicurare che solo attraverso la persona di Gesù si può trovare la pace del cuore e quella serenità che rimane anche quando non tutto va come vorremmo.
Quando Gesù abita nel nostro cuore siamo in grado di affrontare la vita con più coraggio perché sappiamo di non essere soli.
Vi lascio con le parole del salmo 23 che dice:" Se dovessi camminare per una valle oscura, non temerei alcun male, perché Tu Signore sei con me".
Buona lettura!

martedì 18 agosto 2009

Gesù è un amico che ci prende per mano


La stretta della tua mano


Signore Ti prego:
non togliermi i pericoli,
ma aiutami ad affrontarli.

Non calmar le mie pene,
ma aiutami a superarle.

Non darmi alleati nella lotta della vita,
eccetto la forza che mi proviene da te.

Non donarmi salvezza nella paura,
ma pazienza per conquistare la mia libertà.

Concedimi di non essere un vigliacco
usurpando la tua grazia nel successo,
ma non mi manchi la stretta della tua mano
nel mio fallimento.


Tagore

lunedì 17 agosto 2009

Lavorare per il Signore!

Cari amici, dopo aver trascorso un tempo di vacanza in tutta pace e serenità, eccomi di nuovo tra di voi rafforzata nello spirito e conscia ancora di più della necessità di lavorare "alla Vigna del Signore" sempre e ovunque, grazie agli scritti di San Giovanni Maria Viannay (santo curato d'Ars) che ho avuto modo di leggere in questi giorni. E' con gioia che propongo la lettura di una delle omelie di questo santo.

Molti sono i cristiani, figli miei, che non sanno assolutamente perché sono al mondo… “Mio Dio, perché mi hai messo al mondo?”. “Per salvarti”. “E perché vuoi salvarmi?”. “Perché ti amo”.

Com’è bello conoscere, amare e servire Dio! Non abbiamo nient’altro da fare in questa vita. Tutto ciò che facciamo al di fuori di questo, è tempo perso. Bisogna agire soltanto per Dio, mettere le nostre opere nelle sue mani… Svegliandosi al mattino bisogna dire: “Oggi voglio lavorare per te, mio Dio! Accetterò tutto quello che vorrai inviarmi in quanto tuo dono. Offro me stesso in sacrificio. Tuttavia, mio Dio, io non posso nulla senza di te: aiutami!”.

Oh! Come rimpiangeremo, in punto di morte, tutto il tempo che avremo dedicato ai piaceri, alle conversazioni inutili, al riposo anziché dedicarlo alla mortificazione, alla preghiera, alle buone opere, a pensare alla nostra miseria, a piangere sui nostri peccati! Allora ci renderemo conto di non aver fatto nulla per il cielo.

Che triste, figli miei! La maggior parte dei cristiani non fa altro che lavorare per soddisfare questo “cadavere” che presto marcirà sotto terra, senza alcun riguardo per la povera anima, che è destinata ad essere felice o infelice per l’eternità. La loro mancanza di spirito e di buon senso fa accapponare la pelle!

Vedete, figli miei, non bisogna dimenticare che abbiamo un’anima da salvare ed un’eternità che ci aspetta. Il mondo, le ricchezze, i piaceri, gli onori passeranno; il cielo e l’inferno non passeranno mai. Stiamo quindi attenti!

I santi non hanno cominciato tutti bene, ma hanno finito tutti bene. Noi abbiamo cominciato male: finiamo bene, e potremo un giorno congiungerci a loro in cielo.

martedì 11 agosto 2009

Maria assunta in cielo


Carissimi, questa settimana sarò fuori per trascorrere qualche altro giorno al mare. E' la settimana di ferragosto ed auguro a tutti voi buone ferie vissute sempre nel Signore e insieme a Maria della quale noi cristiani in questo tempo celebriamo l'Assunzione in cielo.
Pubblico una significativa riflessione sul senso di questa solennità.
Maria, Che donna!
don Marco Pedron

Assunzione della Beata Vergine Maria (Messa del Giorno) (15/08/2009)
Vangelo: Lc 1,39-56

Questa festa nasce con la definizione del dogma dell’Assunta da parte di Pio XII il 1 Novembre 1950. In questo dogma si afferma che Maria è stata presa (in latino assunta, assumptus) in cielo in corpo e anima.
I primi cristiani si ponevano questa domanda: “Ma, Maria che fine ha fatto?”. In effetti, se leggete nel vangelo, noi non troviamo scritto niente sulla fine di Maria. Nel vangelo non c’è scritto né cosa sia successo, né cos’abbia fatto, né dove sia andata o come sia morta.
Assumptus non vuol dire che Maria non sia neppure morta. Dice solo: “Alla fine della sua vita terrena, la Madonna è stata presa (assumpta) in cielo”. Cioè: non dice: “Maria non è neppure morta”; ma dice: “Maria è in Dio”. Maria (rappresentante di tutti gli uomini e le donne) è in Dio.
Questo è un dogma, una certezza incrollabile, definita e definitiva; perciò questa festa è fonte di grande forza, speranza e fiducia per tutti noi.
Alla fine della vita terrena, Maria è andata in Dio. Alla fine della mia vita, c’è Lui, Dio, la Casa. “Quindi tranquilli amici, non abbiate troppa ansia, né troppa paura, né troppa preoccupazione: si va, come Maria, verso la vita! Verso la Vita vera!”.
Assumptus viene da sumo (prendere, afferrare) e ad (verso di sè): prendere con sé. Con la morte ti sembra di cadere in un baratro infinito, ti sembra di perdere tutto, di cadere nel vuoto, nel nulla; ti sembra di precipitare, che tutto finisca e, invece, no! C’è una mano che ti afferra (ad-sumo) e che ti prende, così tu non cadi nel vuoto.
Tanti anni fa durante un escursione una ragazza è scivolata e sotto c’era un bel strapiombo. Un suo compagno è stato lestissimo e l’ha presa per lo zaino (che portava sulla schiena) impedendole la caduta. E’ stato un attimo scivolare; è stato un attimo prenderla. Dopo lo spauracchio lei lo guarda e gli dice: “Oh, oh, che paura!” (un po’ dopo ha avuto un attacco isterico di pianto); e lui (un po’ facendo lo sbruffone!): “Tranquilla, ci sono io!”. Ma quell’espressione: “Tranquillo, ci sono io!” risuona ancor oggi forte e viva in me.
Una donna, quarantacinque anni, in fase terminale di tumore mi ha detto: “Marco sono in pensiero per i miei figli che sono piccoli; ma ti dirò la verità: ho una grande paura. Dove andrò? Sarà la fine? Ci rivedremo?”.
Più passano gli anni e più le persone sentono che il filo del tempo si fa sempre più corto. L’angoscia e la paura, magari tenute a bada o controllate, non possono non bussare alla porta: “Dove andremo? Che ne sarà? E’ la fine di tutto? C’è un oltre? Spariremo? Saremo puniti?”.
La festa dell’Assunzione è una certezza per tutti: “Tranquillo, come Maria, tu andrai nella Gran Casa. Lì ci sono tutti; lì ci siamo tutti; tranquillo, sembra la fine ma si va invece verso la vita vera; tranquillo ti sembrerà di cadere e invece la sua mano ti prenderà al volo!”.
E Maria non ci è andata per i suoi meriti ma per l’amore di Dio. “Quindi, tranquillo ancora! Dio non si conquista a forza di buone azioni e di meriti; con Dio non serve la sufficienza per passare l’esame della vita. Non è in forza della tua bravura che ti guadagni il paradiso (la promozione); è in forza del suo amore che ti verrà donato il paradiso!”.
In quel giorno non si guarderà a te e a quello che hai fatto ma a Lui e a ciò che Lui è: amore senza misure, fedele e appassionato. Basterà lasciarci amare e dire: “Sì”. E ci ritroveremo tutti e sarà una gran (e senza fine!) festa.

Il vangelo ci parla di Maria: l’incontro con la cugina Elisabetta e il suo canto, il Magnificat.
Ma chi fu storicamente Maria? Nel corso dei secoli Maria è diventata una figura mitica, mitologica, slegata dalla realtà della donna Maria. Maria era quasi in concorrenza a Cristo.
Il mio vicino di casa diceva: “Io credo più in Maria che in Gesù. D’altronde se lei era la madre non può che essere più di suo figlio. Chi vuoi che abbiamo insegnato tutto quello al figlio?”. Una posizione dove molti altri si ritrovavano: Maria era quasi in competizione con Cristo (pensate alla diffusione della devozione mariana).
Nel primo millennio Maria veniva invocata e pregata come la prima discepola di Cristo. Maria era grande perché per prima era stata disponibile al piano di Dio e al suo progetto assurdo. Maria era grande perché pure lei si era messa in ascolto di suo figlio: madre biologica di Gesù, ma figlia spirituale di Gesù.
Nel secondo millennio le cose cambiarono. Dio divenne con il tempo sempre più lontano e irraggiungibile per i cristiani comuni. Non si poteva leggere la Bibbia, la messa era in un linguaggio astruso (latino) e Dio veniva imprigionato in discussioni per pochi eletti. L’immagine del “Dio Padre” del vangelo venne sostituita dal “Dio giudice”: bisogna stare attenti a Dio! Bisognava confessarsi sempre; bisognava essere in grazia e rispettare ogni precetto; bisognava fare un sacco di cose, altrimenti Dio non ti voleva. Solo se si era purissimi si poteva sperare di essere accettati da Lui.
Così c’era bisogno di un intermediario, di qualcuno che ci proteggesse, che intercedesse per noi presso il Dio giudice: Maria. Maria divenne la Mediatrice, colei che mette una buona parola presso Dio.
Maria (la Grande Madre) divenne colei che protegge i suoi “bambini” dal papà pericoloso; in cambio i suoi devoti la onoravano e la inneggiavano senza fine (rischiando però di rimanerne dipendenti).
Pensate a tutti i titoli delle litanie: “Vergine povera e umile; Serva obbediente nella fede; Cooperatrice del Redentore; Frutto primo della redenzione; Immagine purissima della Chiesa; Avvocata di grazia; Ministra della pietà divina; Aiuto del popolo di Dio; Regina concepita senza peccato; Regina delle vergini, ecc”: lodi infinite di una donna perfetta.
Maria col tempo divenne sempre più perfetta: Immacolata Concenzione (1854); Assunzione (1950). Ormai non era più una donna era una divinità, troppo lontana dalle persone normali. Maria era una donna unica, concepita immacolata, vergine madre di Dio 63per eccellenza, dotata per grazia di una virtù perfetta, serva umile, totalmente ubbidiente, regina del Cielo, con il potere di intercedere per la nostra salvezza, assunta corpo e anima in cielo: insomma tutto ciò che era possibile (!) Maria ce l’aveva. Esplosero su quest’onda una serie infinita di movimenti legati a lei: l’Esercito Azzurro; la Legione di Maria, ecc.
Ma così facendo Maria non era più la donna reale vissuta duemila anni fa; ma una donna ideale, mitica e per questo irraggiungibile. Perdendo questo contatto con la realtà storica Maria divenne una donna desessuata e una non-donna perché poteva essere la proiezione di tutto. La Madonna non era più donna!
Così facendo Maria rischiò di diventare la madre-buona che non permette però ai suoi figli di diventare autonomi, di crescere, di fare la propria strada e di sganciarsi dalla propria madre e da ogni “madre” che li ingabbia, che li imprigiona e che li dirige.
Durante il Concilio (1963) le due posizioni si scontrarono. Da una parte chi diceva (era ciò che si viveva comunemente): “Maria è una donna super, unica, sopra di noi”. Dall’altra parte: “Maria è una di noi. La prima ad essere discepola di Gesù, ma una di noi”. Le due fazioni si scontrarono nel senso reale della parola: da una parte il cardinale Rufino Santos di Manila, dall’altra il cardinale Konig di Vienna. Ciascuna delle due parti distribuiva volantini per pubblicizzare le proprie tesi. Nel momento della votazione vinse “Maria una di noi” 1114 a 1074: per un niente!.
Il tempo attuale è il tempo, allora, di riscoprire “Maria una di noi”, prima discepola. E’ il tempo di riscoprire la donna Maria, la realtà potente, la forza creativa e la fede nell’impossibile di questa donna. E’ il tempo di recuperare la vera immagine di questa donna. Chi era realmente Maria?

Maria è una Galilea. La Galilea era trattata con disprezzo dai Giudei che si ritenevano i puri e i giusti. I Giudei ringraziavano tre volte al giorno per non essere stati creati “cafoni, bifolchi” (lett. gente della terra) come i Galilei. “Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea” (Gv 7,52).
“Galileo” era un modo per dire “ribelle; testa calda; sovversivo; gente senza legge e regole”. I Galilei erano ritenuti immondi; la loro testimonianza non valeva e i rabbini non potevano mangiare con loro. Venivano presi in giro per la loro parlata (“… la tua parlata ti tradisce (Mt 26,73)). I rabbini dicevano: “Chi sposa una donna della Galilea o muore o viene deportato”.
Maria è una donna marchiata, bollata, etichettata già per condizione di nascita. Un po’ come i primi uomini di colore che si vedevano da noi chiamati “gli sporchi negri; il negro; il negretto”. Un bambino chiese un giorno alla mamma: “Se lo tocco mi sporco?”.
Vivere con questi marchi addosso ci umilia, ci fa sentire indegni di essere quello che si è. Ti senti guardato e giudicato per essere quello che sei. Ciò che arriva al tuo cuore: “Non va bene che tu sia così. Dovresti non esserci, dovresti non esistere”. Sei albanese, marocchino, slavo, rumeno, e per il fatto che sei così sei da eliminare. Non interessa chi sei tu dentro, cosa vivi. Non interessano le tue ragioni e le tue parole: “Sei un ebreo – dicevano i nazisti – e allora sei da eliminare”.

Maria è una donna.
La nascita di una bambina era sempre segno di castigo divino. In Gen 24,1 c’è scritto: “Abramo fu benedetto dal Signore in ogni cosa”. Cosa vuol dire “in ogni cosa”? Che non aveva figlie!
E quando si legge la famosissima benedizione (la prima lettura del 1 Gennaio) “Il Signore ti benedica, ti protegga, faccia brillare il suo volto su di te, rivolga su di te il suo volto e ti dia pace” (Nm 6,24-27) vuol dire: “Ti benedica con figli maschi e ti protegga dalle figlie”.
Il maschio era manodopera, discendenza che continuava, forza lavoro. I padri pregavano perché nascesse un maschio e quando arrivavano le doglie del parto si sollevava la donna dicendole: “Non temere che partorirai un maschio!”.
La Nascita di una figlia era una disgrazia. Non a caso Maria si chiama così (Myriam=amarezza). Capita tutt’oggi di sentire ancora: “I miei furono delusi perché si aspettavano un maschio”; “non solo niente maschio ma addirittura due femmine (gemelle)! Peggio di così!” .
Spesso le figlie appena nate venivano abbandonate la sera; se riuscivano a sopravvivere alla fame e agli animali venivano raccolte la mattina dai mercanti per essere vendute come schiave e prostitute verso i cinque-otto anni (i primi cristiani si distinguevano proprio perché “non esponevano” i bambini).
La donna era considerata puzzolente (per questo si diceva si profumava) e chiacchierona; non poteva accedere alla Legge; veniva considerata come una bestia; al pari della mucca e dell’asino veniva comprata e venduta, offerta come ricompensa ed era bottino di guerra; in caso di morte del marito non ereditava nulla.
In questa miscela di ignoranza le aberrazioni erano frequenti: “Colui che castra i maschi è colpevole, no se castra le donne”; “se una donna mestruata passa fra due uomini, se è all’inizio del periodo ne uccide uno, se è al termine fa nascere una lotta fra di loro”.
Erano considerate la prima causa di sciagura nazionale, responsabili del peccato di Adamo e della nascita dei demoni; venivano accusate spesso di stregoneria. Essere donna era davvero “una sfiga” tremenda.
In una società e in una condizione del genere, capite che donna grande fu Maria!?
Mi inchino di fronte alla dignità del proprio essere donna. Mi inchino di fronte alla coscienza del proprio valore aldilà di come la cultura maschilista la considerasse.
Come ci si può sentire degni di tale onore, di tale grandezza, di essere la madre del Salvatore, vivendo in una situazione del genere? Come si può sentire il proprio valore in un ambiente del genere?
Guardo Maria e mi dico: “Qualunque cosa succeda nella propria vita, mai perdere la propria dignità”.
L’hai fatta grossa? Hai compiuto uno di quegli errori che segnano la vita tua o degli altri? Ammetti il tuo errore e chiedi perdono. Ma non nasconderti, mai! Mai sentirsi indegni di vivere.
Non permettere mai a nessuno di distruggere il tuo valore e la tua dignità, anche se hai sbagliato (“Non ti perdono più!; per me puoi morire; per me non esisti più, ecc”). Tu sei una persona che è degna di vivere sempre, aldilà di tutto. Non nasconderti.
Alcune donne hanno subito violenza e abuso durante la loro vita. Un senso di sporco e di schifo si appiccica addosso a loro. Sembra qualcosa di incancellabile, di indelebile, come se avessero perso la loro purezza. Guardare a Maria: “Il mio valore, la mia “verginità”, la dignità della mia persona, la mia integrità, non mi può essere tolta né dai fatti della vita né dai giudizi dell’ambiente”.

Maria è sposata.
A undicianni una donna ebrea veniva fidanzata. La donna indipendente non veniva concepita. Il matrimonio era un contratto delle famiglie; la donna veniva proprio comprata dal marito (ba’al, marito, vuol dire proprietario” e be’hulah, moglie, “posseduta); i sentimenti non avevano nessun posto.
Il maschio si sposava per avere una discendenza e la donna era solamente uno strumento per il sesso e i figli. Non a caso la donna viene chiamata rachem (utero) e keli (recipiente) dai rabbini. La femmina è lo strumento, il recipiente che il maschio utilizza per fare figli, ed il rapporto sessuale è ridotto ad un far uso del recipiente. Ed essendo solamente uno strumento dell’uomo la poligamia era consentita (Lamek; Abramo; Esaù; Giacobbe; Davide ha nove mogli, Salomone settecento).
Veniva fatto l’accordo tra le due famiglie e spesso era molto laborioso perché chi vendeva cercava di alzare il prezzo e chi comprava cercava di abbassarlo. I due erano fidanzati pur continuando a vivere ciascuno nella propria casa. Un anno più tardi veniva pagato il prezzo pattuito e la donna diventava proprietà dell’uomo in tutto.
Giuseppe non è un certo un buon partito per Maria: è un semplice carpentiere. Non si può certamente permettere grandi somme per comprarla. Maria dev’essere stata, quindi, di povere origini.
Sembra che Giuseppe fosse soprannominato “pantera” perché gli piacevano le donne. Vero o falso che sia in ogni caso Maria e Giuseppe devono fuggire in Egitto perché sono una coppia emarginata in paese.
Giuseppe è un “bastardo” (era la peggiore delle ingiurie: “Chi chiama bastardo il prossimo - prossimo è solo però un altro ebreo - riceverà quaranta colpi”). E’ escluso dalla salvezza (cioè un bastardo) perché i suoi avi sono un campionario di gentaglia: Giuda vende suo fratello Giuseppe agli Ismaeliti (Gn 37,26) e si sposa con una straniera (Gn 38,1); Tamar è una prostituta (Gn 38,11); Salmon sposa una prostituta pagana, Rachab, che tradì il suo paese natale, Gerico (Gs 2); Booz sposa una donna “macchiata” (Ruth) di origini incestuose (Gn 19,36); Davide sposa la pagana Betsabea (2 Sam 11-12) e il suo figlio sanguinario Salomone muore idolatra (1 Re 11,4-12); Roboamo sposò una donna idolatra (1 Re 15,13); Manasse era dedito alla magia (2 Re 21,16), ecc. Per questo il vangelo lo chiama “giusto”, proprio per coprire questa sua discendenza macchiata.
Questo uomo “bastardo”, escluso dal regno di Dio è suo marito: a lui deve obbedire e non deve aprire bocca (abbiamo attestazione di questo nei vangeli apocrifi).
A quel tempo era ovvio che in caso di pericolo mortale da salvare era sempre per primo l’uomo. A quel tempo era ovvio che la donna non parlasse mai (Maria parla nel vangelo, Giuseppe mai). A quel tempo era ovvio che la donna non era in grado di incontrare Dio (Maria è invece interlocutrice di Dio e scelta da Lui). A quel tempo era ovvio per una donna considerarsi un niente (Maria ha una grande stima di sé per poter credere che Dio scelga proprio lei). A quel tempo era ovvio a tutti che Maria era una donnaccia (è incinta e non è sposata!).
Maria è una donna “diversa” perché si sottrae dall’ovvietà della sua società, da quello che tutti facevano e pensavano. Maria sviluppa la sua strada pur nella condizione tremenda di tutte le donne del tempo. Maria è più forte di una cultura e di un pensare che annullava e umiliava la condizione femminile.
C’è una donna araba che vive a Milano che veste all’occidentale e si batte per i diritti e l’emancipazione delle sue coetanee. Da sola ha il coraggio di andare contro l’ovvietà di una cultura. Gandhi si battè (e vinse) contro una cultura, quella indiana, che considerava ovvia la dominazione straniera e il sistema delle caste. King si batté contro una cultura che considerava ovvia la discriminazione razziale. Gesù si batté contro una cultura che accettava come “normale” ciò che non era normale: il Dio della paura.
Questi sono i grandi e autentici uomini della storia: le persone che sviluppano, come Maria, una coscienza che è più forte, più profonda, più sensibile, dell’ovvietà a cui tutti credono.

Maria è un’eretica per quel mondo e per quella religione.
“Le donne non sanno niente di Dio e neppure possono capire”: così tutti pensavano.
Ciò che l’angelo le propone è “da pazzi”: nessuna donna fedele alla legge ebraica lo avrebbe potuto accettare. Maria è eretica perché è donna; perché dice di avere in grembo il Salvatore del mondo; perché è incinta prima del matrimonio. Una donna così sarebbe stata condannata immediatamente. La pretesa di Maria era per un ebreo la bestemmia più grande e più vergognosa che si potesse dire.
Eppure l’eretica Maria vibra, canta, è tutta sentimento (Lc 1,39-58) mentre il fedele, religioso e osservante Zaccaria (Lc 1,5-25) è così chiuso nei suoi riti, nel suo “essere in regola”, nel suo essere “a posto”, nelle sue devozioni che non può vibrare, non può accogliere l’annuncio della Vita.
Maria è il modello di tutti gli eretici per il mondo ma profeti per Dio. Non dove si dice “Dio” c’è Dio; non dove ci sono parole a Dio c’è Dio; non dove lo si chiama in causa Lui c’è.
Lui c’è dove le persone vibrano dentro, dove i cuori si infiammano d’amore e di passione; dove l’anima si sa allargare fino a comprendere a ad abbracciare tutto ciò che esiste; dove si sa stupire del mondo che gli è attorno; dove “beve e mangia” del vento, dell’aria, delle stelle, dell’acqua, della terra e del sole; dove si sente la danza di un meraviglioso Danzatore; dove tutto ha un senso perché lo si vede, perché lo si sente, lo si percepisce; dove le persone sono come le corde di un arpa che risuonano quando si incontrano, che trasmettono emozioni e vita.
Dio vive dove c’è la Vita, dove gli uomini provano a vivere, ad amare, ad emozionarsi, ad uscire dalle proprie prigioni di paura o di condizionamenti. Dio vive dove si cerca la libertà non nascondendosi nella rassicurazione dell’ortodossia o del ciò che fan tutti. Dio vive dove gli uomini ridono, piangono, si emozionano, si commuovono, sono se stessi, sono a contatto con il proprio cuore e per questo sentono il cuore e l’anima degli altri. Dio vive dove gli uomini si sentono bisognosi di aiuto, di guarigione, di amore, di vulnerabilità, di abbracci, di contatto e lo ammettono.
Maria è un’eretica per il tempo ma è la prima discepola di Gesù. E suo figlio Gesù vivrà proprio là dove ci sarà la vita e il desiderio di vivere e d’amare d’ogni uomo. Chi seguirà Gesù? Non saranno i “sazi”, i giusti, gli ortodossi, i pii osservanti e quelli in regola a seguirlo (Lc 6,25); non saranno i sacerdoti e i religiosi del tempio (Mt 2) a seguirlo. La prima cosa, invece, che faranno sarà quella di condannarlo a morte (Mc 3,6).
Saranno i “senza-Dio” a credergli: il centurione romano (Mt 8,5-13) e un infetto lebbroso (Mt 8,1-4). Saranno prostitute e miscredenti a far parte della sua comunità (Mc 2,15-17), e non i religiosi. Sarà l’eretica samaritana a capire ciò che a Nicodemo apparve incomprensibile (Gv 3-4). Saranno ladri come Levi e Zaccheo ad aprirgli la casa (Mc 2,13-15; Lc 19,1-10), mentre i suoi paesani lo cacceranno (Lc 4,29). Sarà un centurione pagano e riconoscerlo figlio di Dio (Mc 15,31).
Dio non guarda a cosa dici di credere; Dio guarda al tuo cuore, a quanto pulsa, vibra, ama e si emoziona. Dio non guarda alle tue pratiche religiose; Dio guarda allo spirito che tu ci metti nel vivere. Dio non guarda a quanti errori hai fatto; Dio guarda alla tua voglia di vivere. Dio non guarda a quanto sei bravo e giusto; Dio guarda a quanto ami.
Quand’ero piccolo andavo a fare il chierichetto tutti i giorni. I miei genitori mi stimavano per questo e mi sentivo, in fin dei conti, apprezzato anche da Dio. Era come se dicessi: “Come può non amarmi Dio, visto che vengo a messa tutti i giorni?”. Facevo il bravo. Ma un giorno poi scoprii che Lui non si conquista, Lui ce l’abbiamo già. Capii che il mio compito era vivere non fare il bravo bambino.

Maria è un’adultera agli occhi di Giuseppe.
In Galilea la donna entrava illibata nella casa del marito, il quale mostrava con soddisfazione agli invitati alle nozze il lenzuolo con le tracce di sangue (che veniva poi conservato dai genitori della sposa come prova inoppugnabile in caso di eventuali proteste).
Ma Maria è già incinta. Cosa può credere Giuseppe: se non è stato lui, è stato un altro. Con chi può averlo tradito? Il racconto di Maria non sta in piedi: ”Un angelo… il figlio di Dio”. “Non sono mica scemo! - avrà pensato Giuseppe - a chi la racconta?”.
L’adulterio era frequente in questi rapporti senza amore e a volte le donne venivano lapidate. La legge era chiara: “Condurranno la donna all’ingresso della casa del padre e la gente della sua città la ucciderà a sassate” (Dt 22,21). Naturalmente veniva assassinata sempre e rigorosamente solo la donna.
Giuseppe è “giusto” ed è giusto (cioè secondo le legge religiosa) che denunci Maria come adultera. Anzi sarà lui stesso a scagliare la prima pietra per lapidarla.
Giuseppe si trova in conflitto: fedeli alla Legge o fedeli all’amore? D’altra parte il suo orgoglio di maschio è ferito e ha tutti i motivi religiosi per vendicarsi. Ma non se la sente.
Così decide di ripudiarla di nascosto. Ma si sa certe cose in un paese piccolo come Nazareth le si vengono a sapere subito. Per questo devono scappare in Egitto (quando nasce Gesù a Betlemme Maria è ancora “promessa sposa”, emnesteumene, dice il termine e non sposa, gynaiki, di Giuseppe). Fu solo l’intervento di Dio in sogno (Mt 1,20-25) a convincere Giuseppe ad accettare quella donna.

Quanta fiducia in Dio deve avere avuto Maria per affrontare tutto questo? Che donna!
Quando ho paura di fare scelte perché potrei perdere la mia reputazione… guardo a Maria. “Chi stima la sua immagine più della Mia strada, non è degno di Me”.
Quando temo il giudizio della gente, la critica e mi faccio bloccare… guardo a Maria. “Chi ascolta le voci degli uomini più della Mia Voce, non è degno di me”.
Quando tralascio le mie intuizioni profonde, i miei sogni e i miei desideri per conformarmi… guardo a Maria. “Chi segue gli altri non può seguire Me, perché si può seguire una sola strada”.
Quando sono spaventato da ciò che devo affrontare e mi sembra di non averne le forze, di non essere all’altezza, di non potercela fare, di esser davanti a qualcosa di più grande di me… guardo a Maria”. “Chi si fida di sé non si fida di Me”.
Quando la paura di fare degli errori o di sbagliare tutto, di essere pazzo o di fallire mi angoscia… guardo a Maria. “Perché ti attacchi alla tua piccola paura e non ti abbandoni al mio grande amore? Con il mio vento non si può fallire mai. Non sei pazzo; sei solo uno che vede più in là degli altri”.
Quando non credo in me, nelle mie potenzialità, in ciò che ho dentro… guardo a Maria. “Ma chi mi credi? Pensi che Io possa creare uno sbaglio? Se ti ho creato vuol dire che sei necessario!”.

Guardo a Maria e mi inchino di fronte alla forza di questa donna.
Tutti noi sappiamo che molto dell’energia del figlio viene passata dalla madre. E’ chiaro perché Gesù ha scelto Maria. Solo una donna così, con tutta questa intensità, determinazione, coraggio, forza, vita, decisione poteva essere la madre del Salvatore. Maria, madre di Dio: non poteva che essere lei.

Pensiero della Settimana
Guardo a Maria non per ammirarla ma perché si realizzi
anche in me l’annuncio che l’angelo di Dio mi porta.



lunedì 10 agosto 2009

SAN LORENZO


In questo giorno ricorre la festa di San Lorenzo martire.

Secondo la tradizione popolare il ricordo di questo santo è legato più alla "notte delle stelle cadenti" che a ciò che egli, con la sua vita di cristiano, ha testimoniato.

Propongo la lettura di alcune notizie su questo esempio di santità.


Fin dai primi secoli del cristianesimo, Lorenzo viene generalmente raffigurato come un giovane diacono rivestito della dalmatica, con il ricorrente attributo della graticola o, in tempi più recenti, della borsa del tesoro della Chiesa romana da lui distribuito, secondo i testi agiografici, ai poveri. Gli agiografi sono concordi nel riconoscere in Lorenzo il titolare della necropoli della via Tiburtina a Roma. È certo che Lorenzo è morto per Cristo probabilmente sotto l'imperatore Valeriano, ma non è così certo il supplizio della graticola su cui sarebbe stato steso e bruciato. Il suo corpo è sepolto nella cripta della confessione di san Lorenzo insieme ai santi Stefano e Giustino. I resti furono rinvenuti nel corso dei restauri operati da papa Pelagio II. Numerose sono le chiese in Roma a lui dedicate, tra le tante è da annoverarsi quella di San Lorenzo in Palatio, ovvero l'oratorio privato del Papa nel Patriarchio lateranense, dove, fra le reliquie custodite, vi era il capo. (Avvenire)
Forse da ragazzo, Lorenzo ha visto le grandiose feste per i mille anni della città di Roma, celebrate nel 237-38, regnando l’imperatore Filippo detto l’Arabo, perché figlio di un notabile della regione siriana. Poco dopo le feste, Filippo viene detronizzato e ucciso da Decio, duro persecutore dei cristiani, che muore in guerra nel 251. L’impero è in crisi, minacciato dalla pressione dei popoli germanici e dall’aggressività persiana. Contro i persiani combatte anche l’imperatore Valeriano, salito al trono nel 253: sconfitto dall’esercito di Shapur I, morirà in prigionia nel 260. Ma già nel 257 ha ordinato una persecuzione anticristiana.
Ed è qui che incontriamo Lorenzo, della cui vita si sa pochissimo. E’ noto soprattutto per la sua morte, e anche lì con problemi. Le antiche fonti lo indicano come arcidiacono di papa Sisto II; cioè il primo dei sette diaconi allora al servizio della Chiesa romana. Assiste il papa nella celebrazione dei riti, distribuisce l’Eucaristia e amministra le offerte fatte alla Chiesa.
Viene dunque la persecuzione, e dapprima non sembra accanita come ai tempi di Decio. Vieta le adunanze di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, esige rispetto per i riti pagani. Ma non obbliga a rinnegare pubblicamente la fede cristiana. Nel 258, però, Valeriano ordina la messa a morte di vescovi e preti. Così il vescovo Cipriano di Cartagine, esiliato nella prima fase, viene poi decapitato. La stessa sorte tocca ad altri vescovi e allo stesso papa Sisto II, ai primi di agosto del 258. Si racconta appunto che Lorenzo lo incontri e gli parli, mentre va al supplizio. Poi il prefetto imperiale ferma lui, chiedendogli di consegnare “i tesori della Chiesa”.
Nella persecuzione sembra non mancare un intento di confisca; e il prefetto deve essersi convinto che la Chiesa del tempo possieda chissà quali ricchezze. Lorenzo, comunque, chiede solo un po’ di tempo. Si affretta poi a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore. Infine compare davanti al prefetto e gli mostra la turba dei malati, storpi ed emarginati che lo accompagna, dicendo: "Ecco, i tesori della Chiesa sono questi".
Allora viene messo a morte. E un’antica “passione”, raccolta da sant’Ambrogio, precisa: "Bruciato sopra una graticola": un supplizio che ispirerà opere d’arte, testi di pietà e detti popolari per secoli. Ma gli studi (v. Analecta Bollandiana 51, 1933) dichiarano leggendaria questa tradizione. Valeriano non ordinò torture. Possiamo ritenere che Lorenzo sia stato decapitato come Sisto II, Cipriano e tanti altri. Il corpo viene deposto poi in una tomba sulla via Tiburtina. Su di essa, Costantino costruirà una basilica, poi ingrandita via via da Pelagio II e da Onorio III; e restaurata nel XX secolo, dopo i danni del bombardamento americano su Roma del 19 luglio 1943.
Autore: Domenico Agasso
Fonte: Famiglia Cristiana

sabato 8 agosto 2009

Il Vangelo della domenica

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 9 AGOSTO 2009 - XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) - (GIOVANNI, Gv 6,41-51).
In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

COMMENTO

E’ ancora Gesù che, nel prosieguo del capitolo 6° di Giovanni, afferma di essere il segno unico, autentico, grande del suo amore per l’umanità. E afferma in modo sempre più categorico di “essere il pane della vita”, pane che mangiato diventa condizione di vita eterna. Dinanzi alle dissertazioni anagrafiche preconcettuali dei Giudei, Gesù afferma la sua identità di dono per l’umanità, non solo, ma l’affermazione che proietta la mente oltre il tempo, di essere “colui che risusciterà l’uomo nell’ultimo giorno”.
Certamente la gente è strana, quando Gesù ha operato per sfamarla la moltiplicazione dei pani e dei pesci hanno mangiato senza obiezioni, e sicuramente tra essa c’erano anche Giudei e Farisei, ora invece la sua affermazione tira scandalo e contestazione e vogliono ancora azzerare la sua identità e ributtarlo nella bottega di Nazareth.
Ma egli ad insistere senza paura che il “cibo che lui da è per la vita eterna”, e chi mangia di questo pane ha in dono fin da ora la vita oltre il tempo.
Noi siamo di quelli che invitati alla mensa, ci poniamo a tavola,accettando il dono della grande offerta, e guardiamo soltanto il volto sorridente del padrone di casa che ci riempie di gioia, e mangiamo il cibo che ci da forza.
E poi riprendiamo il cammino!
E spesso il nostro andare è come quello di Elia profeta.
Leggiamo nel primo libro dei Re che il profeta ,con la potenza di Dio, aveva sconfitto e annullato i profeti di Baal, sponsorizzati dalla regina Gezabele, la quale non si ritiene per vinta, e cerca Elia per ucciderlo.
La stanchezza , la depressione spirituale, sembra far sentire al profeta Dio lontano, ed ecco, che nel deserto, gettandosi sotto una ginestra si lamenta con Dio e gli dice di scegliere altri più forti di lui. Risvegliatosi dal sonno, sente l’Angelo che lo invita a mangiare a a bere, Poi, dopo una rinnovata siesta, ancora l’Angelo a dirgli:” Prendi e mangia, prendi e bevi, perché è troppo lungo la distanza che ti separa dal monte di Dio , l’Oreb!” La forza gli durerà per 40 gironi e 40 notti di cammino.
Siamo tutti in cammino verso la Gerusalemme Celeste, un cammino più o meno lungo, intenso, e perciò abbiamo bisogno di cibo, ma non quello che perisce, ma quello che dura e ci proietta oltre il tempo. Prendendo dalla mensa dell’altare il Corpo e il Sangue di Cristo, noi attingiamo la forza anche nel tempo che ci aiuta a “camminare nella carità”, come ci ha detto l’Apostolo Paolo nel brano della Lettera agli Efesini, offrendoci anche noi a Dio “in sacrificio di soave odore”, e offrendo ad ogni fratello ogni giorno il pane dell’amore, che, condiviso, diventa il nostro pane quotidiano.

Commento a cura di P. Pierluigi Mirra, passionista

Buona domenica!

giovedì 6 agosto 2009

FESTA DELLA "TRASFIGURAZIONE"


la vera bellezza è l'amore di Dio che illumina anche l'oscuro mistero della morte.

Benedetto XVI

La Chiesa celebra oggi la Festa della Trasfigurazione del Signore. Un evento – ha spiegato più volte Benedetto XVI – che ci invita a seguire Gesù sulla via della Croce aprendo “gli occhi del cuore sul mistero della luce di Dio” che vince “il potere delle tenebre del male”.
Come Pietro vorremmo tutti chiedere al Signore di vivere sul Tabor. “Quando si ha la grazia di provare una forte esperienza di Dio – sottolinea Benedetto XVI - è come se si vivesse qualcosa di analogo a quanto avvenne per i discepoli durante la Trasfigurazione: per un momento si pregusta qualcosa di ciò che costituirà la beatitudine del Paradiso”:

“Si tratta in genere di brevi esperienze, che Dio a volte concede, specialmente in vista di dure prove. A nessuno, però, è dato di vivere ‘sul Tabor’ mentre si è su questa terra. L'esistenza umana infatti è un cammino di fede e, come tale, procede più nella penombra che in piena luce, non senza momenti di oscurità e anche di buio fitto. Finché siamo quaggiù, il nostro rapporto con Dio avviene più nell'ascolto che nella visione; e la stessa contemplazione si attua, per così dire, ad occhi chiusi, grazie alla luce interiore accesa in noi dalla Parola di Dio".

Sul Tabor, Pietro, Giacomo e Giovanni contemplano la gloria del Figlio di Dio:
"Qui è il punto cruciale: la trasfigurazione è anticipo della risurrezione, ma questa presuppone la morte. Gesù manifesta agli Apostoli la sua gloria, perché abbiano la forza di affrontare lo scandalo della croce, e comprendano che occorre passare attraverso molte tribolazioni per giungere al Regno di Dio-Gesù – come dice il Salmo - è “il più bello tra i figli dell'uomo” ma è anche misteriosamente colui che – afferma Isaia - “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi”. Cristo – rileva il Papa – ci mostra che “la vera bellezza è l'amore di Dio” che “sa trasfigurare anche l'oscuro mistero della morte nella luce irradiante della risurrezione”. “Per entrare nella vita eterna – allora – bisogna ascoltare Gesù” seguendolo sulla via della croce. Ascoltarlo come Maria:
“Ascoltarlo nella sua Parola, custodita nella Sacra Scrittura. Ascoltarlo negli eventi stessi della nostra vita cercando di leggere in essi i messaggi della Provvidenza. Ascoltarlo, infine, nei fratelli, specialmente nei piccoli e nei poveri, in cui Gesù stesso domanda il nostro amore concreto. Ascoltare Cristo e ubbidire alla sua voce: è questa la via maestra, l'unica, che conduce alla pienezza della gioia e dell'amore”.

In fondo – spiega il Papa – “la Trasfigurazione di Gesù è stata sostanzialmente un’esperienza di preghiera”.

“Pregando Gesù ci si immerge in Dio” che è amore, è luce è la vita stessa. Di qui il forte appello di Benedetto XVI a tutti i fedeli:
“La preghiera non è un accessorio, un optional, ma è questione di vita o di morte. Solo chi prega, infatti, cioè chi si affida a Dio con amore filiale, può entrare nella vita eterna, che è Dio stesso”.

Sergio Centofanti

mercoledì 5 agosto 2009

FIRMATE CONTRO LA Ru486

La Ru486 non è una medicina. Non cura alcuna malattia. Non aiuta la vita, la stronca sul nascere. La Ru486 non è amichevole nei confronti delle donne. Non realizza in alcun modo un aborto indolore, posto che sia possibile realizzarlo. E’ al contrario un sistema abortivo altamente controverso anche dal punto di vista della sua sicurezza ed efficienza clinica. Più importante ancora, la pillola abortiva tende a deresponsabilizzare il sistema medico, e a ridurlo a dispensario di veleni, e lascia sole le donne, inducendole a una sofferenza fisica e psichica prolungata e domestica, molto simile alle vecchie procedure dell’aborto clandestino. Per queste ragioni etiche siamo contrari alla pillola Ru486 e alla sua introduzione in Italia, anche perché la sua utilizzazione è incompatibile con le norme della legge 194/1978. E pensiamo che occorra fare di tutto, ciascuno nelle forme pertinenti il proprio ruolo, per impedirla.

Lucetta Scaraffia
Roberto Formigoni
Giuliano Ferrara

martedì 4 agosto 2009

Interventi e riflessioni

In riferimento al mio ultimo post, sento il dovere di pubblicare alcune considerazioni nate dal confronto con la mia cara amica Stella che ringrazio con tutto il cuore.

Stella interviene soprattutto sulle domande di senso che proponevo nel mio post:

Chi sono io?

Cos'è la vita per me?

Qualè il mio destino?

La vita ha senso?

Perché vivo?

Ed altro....

e dice:

"Cara Marina avevo fatto un post sul senso della vita e la maggior parte dei lettori rimase sconcertata..."bella domanda", mi si rispondeva... "

Bella domanda davvero! l'importante comunque è interrogarsi. Oggi, queste domande di senso, vengono spesso soffocate: meglio non pensarci, si vive come capita e come va, va...e poi se ne vedono le disastrose conseguenze...
La prendiamo con la società di oggi, con i politici, con i giovani che non si sa quello che vogliono, con la Chiesa che non è vicina alla gente...ma non la prendiamo mai con noi stessi che viviamo in questo mondo, spesso trasportati dall'andazzo generale senza sforzarci di trovare in noi il coraggio di andare contro corrente, di invertire la marcia e cambiare strada.
Solo un profondo cambiamento interiore ci potrà consentire di trasformare questa società malata
in un mondo più umano dove tenere alti quei valori tanto essenziali per il bene comune di tutti.

In risposta Stella dice:
Marina sono d'accordo, ma finché ce lo diciamo tra di noi, tutto resta fermo...

E' vero! Per questo bisogna iniziare a trasmettere un modo di pensare diverso, e ognuno di noi non può e non deve aspettare che siano gli altri a cominciare. Diamoci da fare! In famiglia, nell'ambiente di lavoro, tra gli amici, con i nostri blog.......Non dimentichiamo che, quando ci presenteremo davanti al Signore, dovremo rendere conto del nostro vissuto e di tutti quei peccati di omissione per aver trascurato i nostri doveri di cristiani. La correzione fraterna e la testimonianza, nella carità, sono tra i maggiori impegni di ogni battezzato.
Il Signore Gesù in molte occasioni, nel Suo Vangelo, ci invita a non avere paura perché non siamo soli a dover fare tutto. Egli ci dice:” Lo Spirito di verità vi insegnerà ogni cosa”…
Forti di questo messaggio, con coraggio, affrontiamo il mondo e le sue idee, portiamo il Vangelo a tutti coloro che non lo conoscono o lo conoscono in modo sbagliato, facciamo sapere a tutti che Dio è un Padre misericordioso sempre disposto ad accogliere chi pentito fa ritorno alla sua casa, che Dio non si scandalizza mai dei nostri tanti peccati ma, con amore, ci tende la mano per farci rialzare anche quando stiamo per cadere negli abissi più profondi.

Il Dio di Gesù è un Dio che si commuove di fronte alle tante miserie umane, non è qualcuno che giudica, ma solo Qualcuno che ama in modo totale e definitivo.
Cari amici, Il Dio di Gesù Cristo è onnipotente perché è grande nell’amore per tutti noi e la sola cosa che ci chiede è di ricambiare questo Amore, poi, il resto lo fa Lui.
Affidiamoci a Maria nostra madre che ha a cuore il vero bene di tutta l'umanità e con lei preghiamo Gesù perché le tante mamme in attesa sentano nel loro cuore la gioia di essere strumenti preziosi che il Buon Dio ha scelto per continuare la sua opera di creazione.



Grazie a tutti voi per il vostro impegno con i blog. Restiamo uniti e non dimentichiamo che quando tante voci diventano un unico coro, la musica è più bella!


04 agosto, 2009

lunedì 3 agosto 2009

LA VITA COME DONO

Cari amici, in questi ultimi giorni si parla tanto di cultura di morte che continua inesorabilmente ad essere diffusa anche nel nostro paese.
Io credo che sia opportuno iniziare seriamente a parlare (e noi cristiani non possiamo e non dobbiamo tacere) del valore che la vita umana ha dal suo concepimento alla sua morte naturale.
Non dobbiamo limitarci solo a gridare "Orrore" contro mostruosità come la Ru486 e quant'altro, ma è necessario iniziare un percorso educativo, soprattutto delle nuove generazioni, sui valori fondamentali, prima umani, poi cristiani, su cui si fonda tutta l'esistenza umana.
LA VITA COME DONO
Ci piace immaginare “la vita come un alito di vento che dona alle membra capacità di muoversi e all’anima la facoltà di comprendere”. La Persona e la Natura che l’ ha creata le hanno dato una profonda dignità. Per raggiungere questa convinzione è importante compire un percorso interiore che porti ad aprire il cuore allo stupore delle grandi meraviglie che la natura compie nel donare vita, nella fattispecie nel donare vita ad ogni creatura umana. Ciò ci porta a “ri – conoscere la vita”: riconoscere cioè il valore di ogni singola vita, che nessuno può appropriarsi della vita di un’ altra persona, usarla, punirla o mortificarla, perché nessuno può dare la vita ad un altro essere umano, nessuno può toglierla. Ri – conoscere la vita vuol dire:· accettare di condividere con gli altri il privilegio della creazione, instaurando con tutti rapporti costruttivi e solidi di comunione; impegnarsi a promuovere e sostenere una cultura che accordi ad ogni vita la giusta tutela giuridica e il necessario appoggio per potersi sviluppare e realizzare; credere fermamente nella possibilità che ognuno trovi la propria realizzazione, la propria strada di gioia e di soddisfazioni; è schierarsi a favore di chi non ha voce per permettere a tutti una dignitosa esistenza; è muoversi in cordata con gli altri perseguendo il bene di tutti come il proprio. Ri-conoscere la vita nel suo valore, nel suo quotidiano svolgersi, nel suo scorrere da una generazione all’altra, è anche motivo di riconoscenza: alle famiglie che sono come la culla, agli uomini tutti che la promuovono e la sostengono attraverso un’interminabile rete di solidarietà. Riconoscere la vita è non dimenticare mai che gli essere umani non sono “merce”. Il progressivo riconoscimento dei diritti umani non ha estirpato completamente, neanche nelle nostre società “avanzate” l’antica tendenza a considerare gli esseri umani come merce.
La vita è un intreccio di relazioni e le relazioni richiedono che ci si possa fidare gli uni degli altri. Secondo una tendenza culturale diffusa, la vita degli altri però, non è degna di considerazione e rispetto come la propria. In particolare non riscuote un rispetto sacro la vita nascente, nascosta nel grembo d’una madre, né quella già nata ma debole. Chi ama la vita, infatti non la toglie ma la dona, non se ne appropria ma la mette al servizio degli altri. Non si può non amare la vita: è il primo e il più prezioso bene per ogni essere umano. Dall’amore scaturisce la vita e la vita desiderata chiede amore. Per questo la vita umana può e deve essere donata, per amore, e nel dono trova la pienezza del suo significato, mai può essere disprezzata e tanto meno distrutta.
La vita, qualunque vita, non potrà mai dirsi “nostra”. L’amore vero per la vita, non falsato dall’egoismo e dall’individualismo, è incompatibile con l’idea del possesso indiscriminato che induce a pensare che tutto sia “mio” nel senso della proprietà assoluta, dell’arbitrio, della manipolazione. La vita è dono in ogni sua stagione, dalla giovinezza alla vecchiaia, con le gioie e i dolori.
COMUNICARE LA VITA
La vita è un dono da comunicare. È un tema che si può analizzare sotto diversi punti di vista perché “comunicare la vita” tocca aspetti essenziali dell’esistenza umana:· riguarda in primo luogo la trasmissione responsabile e generosa della vita da parte di coloro che nel matrimonio, sono chiamati a dare la vita e ad assumere il delicato compito di educarla; esprimere l’esigenza di raccontare in modo convincente la bellezza, la grandezza e la dignità di ogni vita umana; ricorda che l’essere umano è fatto per la relazione e che attraverso relazioni autentiche d'amore, di giustizia e di solidarietà, in tutte le diverse forme di socialità, si comunica e si fa crescere la vita; invita a ripensare il rapporto tra il mondo delle comunicazioni sociali e la vita umana affinché la vita sia sempre presentata come valore assoluto, sia rispettata nella sua dignità e trattata con il più vivo senso di responsabilità. Comunicare la vita è annunciare che abbiamo ricevuto un dono. La vita è un bene inviolabile che c'è stato affidato e di cui ciascuno è responsabile. Quanto sia straordinario questo bene lo comprendiamo ancora di più quando nella ricerca della felicità molti, oggi, e in particolare i giovani, si lasciano attrarre da spirali di morte in cui la vita, privata di ogni suo valore, diventa un gioco. Di una intensa comunicazione di amore e di vita abbiamo bisogno tutti, ma in modo particolare le nuove generazioni sempre più esposte ai rischi di una cultura di morte. Moltissime persone vivono senza mai domandarsi a chi dovrebbero esprimere riconoscenza per il fatto di esistere. Il mio pensiero va a Dio ma va immediatamente anche ai nostri genitori, al nostro papà e alla nostra mamma, al loro amore grande e sincero che ci ha desiderati, accolti e ci accompagna nel cammino della nostra esistenza. Tali sono le nostre radici più profonde. Questa è la verità base da cui bisogna partire per capire la nostra identità come persone. La vita è dunque un dono che c'è stato affidato, che è stato affidato alla nostra libertà. Questo significa che va vissuta in maniera responsabile: un dono, quindi, che diventa un compito, un impegno. Dobbiamo essere “fedeli amministratori” del dono della vita: “Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto”. Tutto il segreto di una vita veramente riuscita sta proprio qui, nella fedeltà al dono ricevuto. Ma questo non basta ancora. Come persone siamo chiamati a fare della nostra vita un dono per gli altri, l’uomo, dunque, non può realizzarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé.
Questa logica del dono è una delle sfide più grandi di questo mondo, un mondo dove regna un individualismo estremo, un ripiegamento egoistico su se stessi e dove la ricerca del piacere diventa un diritto assoluto.
Noi abbiamo il dovere di dare una lezione che va decisamente contro-corrente rispetto alle tendenze dominanti nel mondo.
Noi dobbiamo essere spinta per far circolare la cultura dell’amore verso il prossimo, e amarlo in modo molto concreto, aprendosi cioè ai suoi bisogni, alle sue miserie, alla sua povertà (e non solo quella materiale, ma anche a quelle spirituali), alle sue sofferenze. La capacità di donarsi all’altro in maniera disinteressata è la misura della nostra maturità umana. Sia nei tempi trascorsi che oggi, il mondo cerca di renderci schiavi delle cose, cioè dell’ ”avere” a scapito dell’ “essere”.
Allora per vivere la vita come dono bisogna avere un cuore povero, cioè libero. Dunque non dobbiamo avere paura di volare ad alta quota, non dobbiamo avere paura di misurarci con gli alti ideali di vita, dobbiamo essere esigenti nei nostri confronti per vivere la vita non in superficie ma fino in fondo, in pienezza. Coraggio dunque, saliamo insieme sulla barca della vita, prendiamo il largo, vale veramente la pena, perché per esperienza, non c’è nient’altro che può appagare come l’arricchimento del proprio intelletto per agire con sapienza.
RIFLESSIONI:
Il confronto sul tema della vita, porta inevitabilmente a chiedersi:
-Chi sono io?
-Cos’è la vita per me?
-Quale è il mio destino?
-La vita ha senso?
-Perché vivo?·
-Che cos’è la vita dell’ altro, in particolare del mio fidanzato\a marito\moglie?
-Che valore dò alla vita dell’ altro?
-Cosa mi aspetto dalla vita dell’ altro?
- Percepisco che l’ altro è un “dono” per me?
Sono graditi interventi per un confronto sereno ed amichevole.
Grazie.

sabato 1 agosto 2009

Il vangelo della domenica




XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

PRIMA LETTURA (Es 16,2-4.12-15)Io farò piovere pane dal cielo per voi.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 77)

SECONDA LETTURA (Gv 6,24-35) Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

VANGELO (Gv 6,1-15) Distribuì a quelli che erano seduti quanto ne volevano.



Dal Vangelo secondo San Giovanni
In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

UN PENSIERO SULLA PAROLA

Domande prima di risposte!
Più passano gli anni, più mi vado convincendo che nell’arco della vita non sono tanto importanti le risposte che cerchiamo quanto, invece, le domande che ci poniamo.
Sin da quando siamo bambini un senso di sana inquietudine, fatta di ricerca di senso, di punti di riferimento, di mete da perseguire, muove la nostra esistenza e dinanzi ai fatti della vita, agli incontri che facciamo, alle parole che diciamo… ci chiediamo: “Che cos’è? che cosa significa questa cosa? Di quale verità altra è foriera questa parola, questo incontro, questa scelta?”.

Che cos’è?
Nella sua esperienza di vita e di fede, il popolo di Israele in un momento preciso della sua storia, (I lettura) si fa questa domanda – per me – benedetta: “Che cos’è” (è questo il significato della parola ebraica “Man ‘hu” che traduciamo con “manna”).
Israele fidandosi della Parola di Dio, rivelatagli per bocca di Mosè, aveva intrapreso il suo esodo, il suo cammino di uscita, non solo dalla schiavitù d’Egitto ma dalle sue false sicurezze, e si era incamminato nel deserto.
Ma ecco che dinanzi alle asperità del cammino, alla fatica a tenerne il passo, alla difficoltà a trovare quel cibo vero che non soddisfa semplicemente la tua fame ma dà pace al tuo cuore, Israele si scopre disposto a barattare la sua libertà per quel piatto di carne mangiato in terra d’Egitto che riempiva sì lo stomaco ma che era cotto col fuoco dell’umiliazione e aveva il sapore amaro della rinuncia a sognare e sperare.
… dal cielo
Ma ecco che Dio interviene e, con una parola, fuga le tenebre che avevano rallentato il passo e oscurato il cuore degli israeliti: “Ecco io sto per far piovere pane dal cielo per voi…”.
“… dal cielo per voi”: non tanto il riferimento al pane mi colpisce, quanto questo “dal cielo”. Ci sono dei momenti nella vita in cui non è tanto importante nutrirsi di pane ma di “cielo”. Nutrirsi, come dicevo all’inizio, di quelle domande che hanno messo in moto la tua vita alla ricerca di un senso e di un qualcosa, un qualcuno per cui giocarti. Perché se è vero che il pane ci è necessario per vivere, per sostenere il nostro cammino, è ancora più vero che se non c’è una ragione per cui mangiamo, se non c’è una parola, un desiderio, un amore, che muove e orienta il nostro passo… tutto il resto perde ragione di essere.

Un cibo nuovo
Nella vita c’è bisogno di un cibo, buono come il pane appena sfornato, ma che è impastato con una farina un po’ particolare.
Così dice Gesù alla folla che lo seguiva dopo aver assistito al miracolo della moltiplicazione dei pani: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che Egli ha mandato… Io sono il pane della vita…”.
L’eucaristia, quella vita di Gesù data e spezzata per noi, di cui ci nutriamo ogni domenica, è ciò che permette al nostro esistere di essere impastato con il tempo e con l’eterno.
Credere in colui che il Padre ha mandato è ciò che ci aiuta a trovare un senso e una direzione al nostro esistere. La via della fede è l’unica opera che il Padre ci chiede… il resto viene da sé.

Giuseppe Dossetti, uomo sapiente nelle cose che riguardano Dio e gli uomini, alla fine della sua vita era solito accompagnare la parola “fede” con un aggettivo disarmante: “nuda”. È proprio vero la “nudità della fede” è l’esperienza più vera e profonda che può segnare la vita di un credente. Lasciarsi spogliare di tutto, di quella pentola di carne, di quel pane e cipolle che sembra dare sazietà e sicurezza, per ritrovarsi come pellegrini e stranieri a percorrere le vie del mondo sorretti da una sola certezza: “Io sono il pane della vita”.

In questa eucaristia in cui, ancora una volta, il Signore Gesù non mancherà di inverare questa promessa con il dono della sua presenza nel segno del pane e del vino, e del nostro essere comunità in cammino e in ricerca, preghiamo il Padre perché l’opera della fede che lo Spirito ha acceso in noi ci renda instancabili cercatori di Dio e della sua parola, una parola che chiede poi alla nostra vita di essere vissuta nella carità e nella speranza che non tramonta.
Giuseppe Ialongo – Omelie.org