lunedì 20 aprile 2009

Per riflettere

La fatica di trasmettere la fede

Partendo da una frase della prima lettera ai Corinzi al capitolo 15, in cui Paolo, proclamando il Vangelo di Gesù Cristo dice:” A voi trasmetto quello che anch’io ho ricevuto”, voglio portare a riflettere sulla fatica che si fa oggi di trasmettere la fede alle nuove generazioni.
I verbi usati da Paolo, trasmettere e ricevere, erano i verbi della catechesi: la fede era qualcosa da trasmettere. Questo trasmettere, oggi, rischia di saltare in aria.
L’ambito scientifico e della comunicazione ha fatto dei passi talmente in avanti che i giovani, di fronte al tentativo dei genitori di trasmettere la fede, rispondono dicendo che ciò fa parte del passato, di un modo obsoleto di pensare e che oggi non ha più alcun valore. Mentre una volta tutto il sapere veniva dal passato e le generazioni che seguivano lo portavano avanti, la generazione attuale, avendo degli strumenti scientifici totalmente nuovi, tende a dimenticare le proprie radici perché pensa che non servano a niente: non serve la fede, non serve più la penna, non serve più la matita, non serve più il quaderno, perché c’è il computer che sostituisce tutto e meglio.
Facendo così si fa una censura di tutto ciò che viene da prima e in questo venire da prima ci sta anche la comunicazione delle Scritture, la comunicazione della fede.
Una generazione che straccia tutto il bagaglio d' insegnamenti che vengono dal passato è come un albero che taglia le proprie radici. Questa è una realtà che non è solo dell’ambito religioso, ma di tutti. Il compito della scuola non è solo trasmettere quello che oggi è, ma di far sì che il computer ed altri strumenti tecnologici diventino dei mezzi per ricercare e studiare anche ciò che ci ha preceduto.
Lo studio, per l’uomo, non deve essere solo quello scientifico, ma anche quello umanistico, che riguarda le persone, i loro sentimenti, la loro anima intesa, non solo in senso religioso, ma come ciò che è profondo, interiore.
Dai giovani di questa epoca questo discorso non è ritenuto valido e allora diventa difficile parlare di contenuti religiosi, etici e morali.
E’ necessario prendere coscienza che ci troviamo in una situazione preoccupante: non è possibile che non si riesca più a parlare neanche con i ragazzini di quinta elementare. Fino alla quarta ancora va in parte bene perché, in vista del sacramento della prima comunione, i genitori riescono a mandare i figli al catechismo ed anche alla messa domenicale. Dai dieci ai tredici anni c’è un abbandono. Verso i quattordici anni, per la cresima , i ragazzi ritornano per poi lasciare definitivamente.
La situazione è davvero grave, c’è qualcosa che non funziona: ci troviamo di fronte ad una generazione che va dai bambini di dieci anni ai quarantenni, che abbandona totalmente la pratica religiosa poiché fa fatica a coinvolgersi nella vita di fede.
A mio avviso, una delle cause probabili di quest' abbandono, va ricercata nel tendere oggi, a parlare troppo e solo di temi etici, anche se sono temi importanti.
La nostra predicazione non può essere solo un richiamare quello che si deve fare o non si deve fare. Il compito della chiesa e di tutti i cristiani è, prima di tutto, quello di proporre la fede con l’annuncio del vangelo di Gesù Cristo. Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, ci indica chiaramente il metodo che ha usato: ha annunciato ciò che ha ricevuto, poi ha parlato anche di morale.
La mentalità di questa generazione non è per niente cristiana e parlare solo di ciò che è lecito o proibito, crea anticlericalismo. Chi non crede guarda la vita dell’uomo in una certa maniera, è colpito nel profondo solo da situazioni di sofferenza a cui non sa dare un senso, anzi, scambia per un atto d’amore, il mettere fine all’esistenza di una persona malata in modo irreversibile, come nel caso di Eluana.
Cari amici, è necessario che tutti noi, cominciamo ad essere testimoni credibili di Cristo morto e risorto per la nostra salvezza perché il mondo e soprattutto i giovani, anche se non se ne rendono conto, hanno bisogno di ricevere un messaggio di speranza, di qualcosa e di qualcuno che li riempia interiormente. San Pietro, nella sua prima lettera apostolica dice:” voi siete stati rigenerati, mediante la risurrezione di Cristo, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Forti di questo messaggio, continuiamo la nostra missione, riconoscendo qualche volta anche gli errori e confidando di più nella misericordia di Dio.
Marina

4 commenti:

  1. Cara Marina è purtroppo vero che Cristo è un estraneo per gran parte della gente e questo è come se fosse una responsabilità per ciascuno di noi. A noi il compito di annunciare (non di convertire che sta alla grazia di Dio e alla libertà di chi ascolta) a tutti la bellezza del conoscere Gesù e di seguirlo. Grazie per la tua opera di evangelizzazione. Dio ti benedica. Andrea

    RispondiElimina
  2. Grazie Andrea per aver lasciato il tuo commento.
    Solo stando uniti possiamo portare avanti il compito di evangelizzare.
    Dio benedica anche te.

    RispondiElimina
  3. Come diceva una vecchia preghiera... l'importante è seminare, poco molto tutto il seme della speranza! Ciao!
    P.s. Volevo dirti che hai superato la prova (scherzo...) e ti ho aggiunto tra i blog preferiti! Paolo

    RispondiElimina
  4. Grazie Paolo! per me è un onore averti come lettore del mio blog.

    RispondiElimina