mercoledì 1 aprile 2009

Gesù e il denaro

il quotidiano e la fiducia
di Arturo Paoli

Nessun oggetto può vantare tanti vocaboli che lo definiscono come il denaro: cattivo padrone, buon servitore, vile desiderato; in un paese sudamericano prende il nome di un uccello che non si lascia mai acchiappare quetzal; tralascio le qualifiche dialettali più o meno graziose, tutte quante dimostrano la sua importanza nella nostra vita. Cominciamo da un bozzetto disegnato da un profondo osservatore della vita vissuta, attribuito al Gesù uomo nel tempo di Nazareth. Il quadro sorridente è quello riportato nel capitolo 15 di Luca. Si parla di una vedova che ha dieci dramme, la più piccola delle monete. Quando i greci alludevano ad un poveraccio che non aveva un soldo in tasca usavano questo vocabolo: dracma. La donna ne perde una, accende la lucerna e spazza attentamente finché non la ritrova. Ritrovatala chiama le amiche e le vicine dicendo: rallegratevi con me perché ho ritrovato la dracma che avevo perduto. Fra le casette di Nazareth arriva la notizia, come se si fosse vinto alla lotteria. Il poeta Giovanni Pascoli diceva infatti che il poco è tanto a chi non ha che il poco. Questo poco merita veramente una festa. E chiunque, un uomo tra tanti milioni che abbia importanza sociale o che sia nessuno, per il Creatore ha importanza come se fosse un figlio unico. Quanto avrà riflettuto il giovane figlio del falegname in questi trent’anni di vita fra gente di nessuna importanza dove gli avvenimenti quotidiani vengono partecipati da tutti. Ma allora che cosa pensare del denaro: è sempre fonte di gioia? È così importante che uno spicciolo smarrito meriti la perdita di tante ore di ricerca? Quanta gioia ha dato questa moneta alla nostra vicina? commentava il quindicenne Gesù seduto a tavola fra Maria e Giuseppe.
Ora sono passati diversi anni e Nazareth non è molto lontana nello spazio; ma Gesù è entrato in un tempo assai lontano da quello. Ora “sta occupandosi delle cose del Padre” (Lc 2,49). È nel tempio, è seduto di fronte al tesoro, alza gli occhi e osserva come la folla getti monete nel tesoro. Tanti ricchi gettano molto con ostentazione; ma venuta una povera vedova vi getta due spiccioli cioè un quattrino. Allora Gesù chiama i suoi discepoli e dice loro: in verità vi dico questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Perché tutti hanno gettato del loro superfluo mentre, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere (Mc 12, 41-43). Ecco un altro senso nascosto nel simbolo denaro: fiducia totale nel Padre, totalmente assente nel ricco. Si tocca uno dei punti chiave della nostra fede. Alzo gli occhi dal Vangelo per offrire una riflessione sulla quale si ferma spesso il mio pensiero. La fede è talmente verità incorniciata nella filosofia dell’essere, che per molti basta recitare il Credo per sentirsi a posto, anche se non si capiscono a fondo le parole o addirittura si arriva ad affermare: credo quia absurdum, credo perché fuori dell’ordinario. Alla fonte ci appare che la fede è indebolita o rinvigorita dalle scelte quotidiane. In questo episodio la fiducia in Dio – Provvidenza – della vedova si fortifica si e illumina in questo umile gesto, mentre nei ricchi resta quella che è o addirittura si degrada nell’ostentazione, per essere apprezzati e lodati dagli amici che sono nella fila dei contribuenti. La relazione col denaro appare nella pagina piena di poesia del capitolo 6 di Matteo, che è di una densità tale da riuscire difficile scioglierla in tutti i suoi motivi. Il motivo dominante è la fede maturata nell’abbandono, dove si coglie lo spirito dell’infanzia frutto dell’abbandono nelle braccia del Padre. Gesù non libera l’uomo dal suo contesto normale di vita: non vuole che contiamo sui miracoli, anzi riprova quelli che li chiedono continuamente. Malsano, è proprio di una generazione perversa (Mt 17,17). Il denaro è necessario per la vita e ciascuno deve produrlo mediante il lavoro; ma non deve generare preoccupazione, angoscia, non deve essere ostacolo alla contemplazione della bellezza creata da Dio. Le parole di Matteo colgono lo sguardo sorridente di Gesù che si ferma lungamente sui colori dei fiori e delle erbe del campo, sul trillare gioioso dei passeri che intrecciano voli nell’aria. Sciogliersi dalla preoccupazione del denaro è il solo metodo per liberare nella persona la capacità contemplativa. Solo così si raggiunge quella gioia profonda che vibra nel Cantico delle creature di Francesco. Mai come nell’attualità l’uomo cerca tanto la bellezza, ma difficilmente la può raggiungere in questa società consumista e capitalista perché l’atteggiamento contemplativo è frutto della povertà. Il turista passa da uno spettacolo all’altro catturando la bellezza così come si mettono in gabbia i volatili tagliando loro la libertà. Francesco d’Assisi resterà per sempre il modello unico che scopre, attraverso la povertà, la bellezza e la gioia completa che trasmette all’uomo. Le preoccupazioni che sono ostacolo alla fede sono legate al denaro: non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo? che cosa berremo? che cosa indosseremo? La fede deve divenire gioiosa fiducia, che non viene interrotta dalla sofferenza solo se siamo liberati da questa paura del domani, quella che stimola ad accumulare ricchezze dove tignole e ruggine consumano. È vero che tignole e ruggine non entrano nelle casseforti bancarie ma, sfrattate di lì, alloggiano nei nostri cuori. Gesù ha provato come nessun altro la gioia di scoprire il volto del Padre dietro il vetro oscuro della natura perché povero, e Francesco è il modello della perfetta letizia raggiunta dalla povertà. La cosiddetta vita religiosa dovrebbe avere come impegno primario quella di rispondere alla tristezza prodotta dalla ideologia del mercato con la gioia evangelica che è la sola assolutamente vera e permanente. La defezione da questo impegno primario non può essere sostituita dalla difesa di presunti assoluti in cui vediamo impegnata la gerarchia cattolica con un accanimento certamente sgradito e ripudiato dal Maestro mite ed umile di cuore.
Un altro sguardo di Gesù sul denaro si coglie nell’incontro con i farisei ed erodiani. I farisei e gli erodiani pongono a Gesù una domanda insidiosa: è lecito o no dare il tributo a Cesare? La risposta di Gesù è molto chiara: l’immagine del Cesare sulla moneta è il segno della dipendenza da un potere straniero. Gesù è fra due fuochi: se dichiara giusto pagare il tributo a Cesare appare contrario alla libertà; se dichiara di non pagarlo appare un sovversivo. Gesù rovescia il senso della domanda su quelli che lo interrogano. Sulla moneta appare l’immagine del Cesare dunque rendete a lui quello che è suo. La risposta di Gesù ha dato origine ad una interpretazione curiosa: al potere politico dare il nostro corpo cioè i servizi e l’obbedienza, a Dio l’anima. È chiaro che Gesù non poteva pensare così ma la sua intenzione era quella di dire che non si deve accettare nessuna dominazione straniera perché questo popolo è il popolo scelto da Dio. Nella preghiera si lancia questa affermazione: tu sei il mio Dio e io sono il tuo popolo, e solo tuo. Questa frase ispira a Paolo la certezza che dove è Cristo lì è la libertà. L’insegna libero mercato è la beffa più beffarda che si possa pensare: non c’è peggiore schiavitù di quella del denaro.
Chiudo questa mia meditazione che mi ha coinvolto molto perché si tratta del simbolo più importante della nostra condizione umana, con l’immagine dell’uomo di sempre, quello che in Austria è stato messo in scena con il titolo Jederrman. L’uomo di sempre è una figura solenne e insieme umoristica nella quale si rivelano tracce di grandezza e di meschinità. L’uomo viene scolpito nel capitolo 12 di Luca come immagine dell’esortazione di Gesù: guardatevi e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni (Lc 12). L’uomo è solo e consola la solitudine con i beni che crescono a vista intorno a lui: restai ferito nel trovare un bambino di due anni solo, quasi sepolto sotto un mucchio di balocchi. La giovane coppia mi interrogava senza parole: chi diventerà un giorno questo bambino abbandonato in una solitudine consolata solo da cose? È probabile che adulto sarà come quello della parabola che si rallegra guardando la sua sicurezza affidata ai beni che lo circondano: anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni; mangia, riposati e datti alla gioia; ma questa notte stessa ti sarà tolta la vita e allora di chi saranno i tuoi beni?
Arturo Paoli

Dal sito della associazione Oreundici

2 commenti:

  1. Cara Marina,come promesso sono venuta a trovarti.
    Il tuo blog mi attira per i temi religiosi che tratti.
    Che il Signore sia sempre con te.

    SErena giornata.

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  2. Grazie Stella,
    sono contenta di averti tra i miei lettori.
    Che il Signore ti benedica e ti accompagni nella tua avventura con il blog.
    un caro saluto, Marina

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