giovedì 14 gennaio 2010

Haiti


Editoriale samizdatonline,

articolo di Davide Rondoni Haiti: il dolore e il grido

E noi apriamo le nostre palme vuote

La tragedia di Haiti lascia senza fiato. Gigantesca. Più di quanto si immaginava. Il numero delle vittime imprecisato, si parla di decine e decine di migliaia. In una parte di un’isola già povera e provata da miseria e fatica di vivere, si è abbattuta una sventura che lascia attoniti. Come se a sventura si aggiungesse sventura in un baratro senza fondo. Haiti, nome esotico e di buia miseria. Nome di terra lontana. Di popolo provato e povero. E il fiato non si sa dove prenderlo. Se metti la faccia tra le mani, il respiro non torna.
E se anche ti volti da un’altra parte, il respiro non torna. E se ancora maledici i terremoti, non torna. Come non tornano le decine di migliaia di innocenti. I bambini e le donne. Come non tornano i sepolti vivi.
Un raddoppiamento di male. Di sventura. Un raddoppiamento di catastrofe. Una insistenza del dolore e della mancanza di fiato. Come se nessun "perché" gridato in faccia a nessuno e nemmeno gridato in faccia al cielo potesse esaurire lo sconforto, e la durezza che impietrisce davanti al disastro e alle immagini di disastro. Nessun "perché" rigirato nelle mani, nessuna domanda ricacciata in gola, può esaurire l’inquietudine. Una doppia ingiustizia. Una moltiplicata sventura. Anche il cuore più sordo sente il grido di questa sventura. Anche il cuore più duro si crepa davanti alla morte che domina così apertamente, così sfacciatamente. Anche l’anima che non sospira mai, sente il fiato che si tira. Il fiato che non arriva. Il fiato che si rompe.
Quasi non si arriva nemmeno alla domanda, lecita, urgente di cosa si può fare, di fronte a questa tragedia. Quasi non si arriva a formulare nessuna domanda su cosa fare, perché si rimane inchiodati a una domanda più forte, più radicale: cosa possiamo essere? Sì, insomma, cosa si è, cosa è essere uomini davanti a questi eventi? Perché sembra quasi che ogni forza nostra, ogni umana dignità siano annullate. Radiate. Come se esser uomini davanti a tali tragedie sia quasi una cosa grottesca. Tappi di sughero nel mare in tempesta. Formiche in balìa della strage, come diceva Leopardi di fronte al Vesuvio sterminatore.
Da dove riprendere fiato, umanità, dignità davanti a tale strage? Non c’è altra possibilità: davanti a questo genere di cose, o si prega o si maledice Dio. O si è credenti o si diventa contro Dio. Una delle due. E se il cristiano dice di esser quello che prega, invece di esser l’uomo che maledice, non lo fa per sentimentalismo. Non lo fa per comodità. Anzi, è più scomodo. Molto più scomodo. Ma più vero. Perché quando il mistero della vita sovrasta – nella sventura come nelle grandi gioie – è più vero aprire le palme vuote, o piene di calcinacci o di sangue dei fratelli e dire: tienili nelle tue braccia. Tienili nel Tuo cuore. Perché noi non riusciamo a conservare nemmeno ciò che amiamo. Perché la vita è più grande di noi, ci eccede da ogni parte, e la morte è un momento di eccedenza della vita. Un momento in cui la vita tocca fisicamente il suo mistero.
La natura non è Dio. In natura esistono anche i disastri. Come gli spettacoli e gli incanti. Ma la natura non è Dio. Non preghiamo la natura, che ha pregi e difetti, come ogni creatura. Preghiamo Dio creatore di abbracciare il destino delle vittime. Il destino triste di questi fratelli. Che valgono per Lui come il più ricco re morto anziano e sereno nel proprio letto. Che ci ricordano, nel loro dolore, che non siamo padroni del destino.

Propongo solo una riflessione: questi eventi portano sempre ad interrogarci sul perché essi avvengano e la risposta in genere non la riceviamo. Proviamo invece a non farci domande e a pensare  che  ognuno di noi potrebbe trovarsi nella situazione dei  fratelli di Haiti. Come sarebbe il nostro incontro con il Signore?
Uniamoci in preghiera!

4 commenti:

  1. Grazie sorellina per aver accolto l'invito a pregare!
    Un abbraccio!

    RispondiElimina
  2. Quando le immagini non rendono bene l'idea di quanto è grave ciò che succede, non si può far altro che vedere di presenza...Quando a guardare certi disastri le parole non possono spiegare bene quanto è assurdo e ingiusto ciò che accade, non si può far altro che agire con i fatti, di presenza...Pregare è il minimo, ma non basta...Aiutiamoli come possiamo senza colpevolizzare Dio, ma ringraziandolo del fatto di potere fare del bene!

    DARIO

    RispondiElimina
  3. Hai ragione Dario, il Signore vuole che ora siamo noi le Sue mani, le Sue braccia, i suoi piedi...il Suo cuore! Egli si manifesta attraverso la nostra solidarietà operosa! Cerchiamo di fare ognuno ciò che possiamo...
    Un caro saluto e una buona e santa domenica!

    RispondiElimina