Cari amici, pubblico ugualmente il Vangelo di questa domenica e relativo commento, anche se la giornata sta finendo, perchè desidero che la sua Parola vi accompagni per tutta la settimana.
Il commento è offerto da Mons. Angelo Sceppacerca.
Mc 6, 7-13
Il commento è offerto da Mons. Angelo Sceppacerca.
Mc 6, 7-13
Gesù percoreva i villaggi , insegnando.
Allora chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Questo brano apre una nuova sezione del vangelo di Marco, chiamata “la sezione dei pani” e che porterà alla confessione di Pietro: “Tu sei il Cristo”. Si parla dei “dodici”, gli apostoli scelti da Gesù perché lo seguissero e stessero con lui. Ora Gesù li manda a predicare in povertà perché nel loro agire si possa mostrare la stessa potenza con cui Gesù compiva prodigi liberando dalla violenza e da ogni forma di schiavitù rappresentate dagli “spiriti immondi”. La missione degli apostoli, rivolta a persone nel bisogno, si svolge anch’essa in una radicale povertà di mezzi umani. Proprio come la vita di Gesù. L’assenza di bastone, sandali, bisaccia e pane sottolinea l’urgenza e la sollecitudine con cui bisogna vivere la missione: sarebbero bagagli e pesi inutili, ma soprattutto dicono che gli inviati ad annunciare il Vangelo devono essere “poveri” perché hanno “un solo pane”, che è Gesù. Non è il solo caso in cui i discepoli sono inviati due a due (Mc 6,7; Lc 10,1): Pietro e Giovanni vanno insieme in Samaria (At 8,14), Paolo e Barnaba partono per l’evangelizzazione nel vasto mondo pagano (At 13,2), Giuda e Sila sono inviati dal Concilio di Gerusalemme ad Antiochia (At 15,22). La ragione di queste missioni condivise è doppia: la validità della testimonianza secondo la norma «il tutto dovrà essere stabilito sulla parola di due o tre testimoni» (Dt 19,15); amore e aiuto reciproco secondo il detto sapienziale «meglio essere in due che uno solo, perché due hanno miglior compenso nella fatica. Se vengono a cadere, uno rialza l’altro» (Qo 4,9-10). La logica del vangelo continua a rovesciare quella umana secondo la quale dopo la vita viene la morte. La logica della fede nel Dio fedele, invece, dice che il successo segue il fallimento e che dopo la morte c’è la vita. E’ la logica della croce, la logica di Gesù e di quanti lo seguono. Per questo il vangelo di oggi è una pagina fondamentale per la chiesa che vuole essere fedele alla chiamata e alla missione affidatale dal Signore; è una pagina che richiama quella delle beatitudini. La povertà non è fine a se stessa; è beatitudine solo quando è segno della fede in Dio: è libertà da tutto – come “gli uccelli del cielo” e “i gigli del campo” – perché tutto si cerca e si riceve da Dio. L’avevano ben compreso Pietro e Giovanni quando compirono il primo miracolo, facendo rialzare e camminare uno storpio seduto fuori dalla porta del tempio: non hanno né oro né argento da dare, ma ben di più, il “nome” di Gesù, nel quale solo c’è salvezza. Oro e argento sarebbero stati un’elemosina; il nome di Gesù è liberazione e guarigione. Una missione con mezzi poveri? Nei secoli, tanti missionari lo hanno mostrato con la loro vita. Eppure il discorso della povertà è scomodo e mette a disagio, perché proprio non si concilia con la logica del mondo e delle cose. Per capire occorre un supplemento d’anima. A un frate da cerca che girava in furgoncino, don Milani rimbeccò che se un motore permette di arrivare prima e in più luoghi, non per questo è garanzia di fare maggior bene: “Se il prete è un imbecille, il motore farà arrivare prima e in più posti un imbecille… se invece è un santo prete (…) considererà massimo bene possedere la cattedra ineccepibile della povertà, unica cattedra da cui si potrebbe ancora dire al mondo sociale e politico qualche parola nostra in cui nessuno ci abbia preceduto, né ci potrebbe precedere”. Le parole di don Milani sono ruvide e scomode, ma hanno quel supplemento d’anima che ci aiuta un po’ a capire questo brano di Vangelo. I santi e i padri della Chiesa non sono meno espliciti sul fatto che la povertà non è fine a se stessa, ma alla condivisione, dei beni come pure della verità e della luce. Così san Giovanni Crisostomo: “Non obiettatemi che è impossibile interessarsi degli altri. Se siete cristiani, impossibile sarà semmai che voi non ve ne interessiate … la condivisione si radica nella natura stessa del cristiano. Non insultare Dio: se tu dicessi che il sole non può illuminare, lo insulteresti. E se ora ti metti a dire che il cristiano non può essere di vantaggio per gli altri, ebbene, tu non solo insulti Dio, ma lo fai pure passare per bugiardo. Guarda, è più facile che il sole non riscaldi e non brilli, che non che il cristiano cessi di dare la luce”. Inizia la predicazione del vangelo e Gesù punta subito su cose grandi: la povertà, la libertà, la verità... Una pagina che richiama molto da vicino quella delle beatitudini.
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