Il caro amico Angel, nel suo ultimo post, ha pubblicato il messaggio della Vergine Regina degli ultimi tempi addolorata per le troppe persone che si accostano all'Eucarestia con indifferenza come se andassero a ricevere "carne da macello". Sono troppe anche le persone che fanno la Comunione senza sentire il bisogno di accostarsi periodicamente al sacramento della Riconciliazione usando il sistema "fai da te". San Paolo dice:" Chi mangia il corpo e il sangue di Cristo indegnamente, mangia la propria condanna" (1 Cor.11, 27-32).
Per ricevere Gesù è necessario essere in grazia di Dio, dono che si acquista con la confessione sacramentale.
La difficoltà che molta gente trova nel confessarsi è la paura di riconoscere le proprie colpe davanti al sacerdote che non viene visto come ministro di Dio, bensì come un qualunque essere umano al quale non si può andare a raccontare i fatti propri.
Detto ciò ,ritengo necessario proporre un insegnamento per far capire il senso del sacramento della Riconciliazione e il perché esso è stato affidato alla Chiesa.
La riflessione è offerta da Padre Lino Predon.
IL MINISTERO DELLA RICONCILIAZIONE È STATO AFFIDATO ALLA CHIESA
Il cristiano, essendo stato battezzato, non dovrebbe aver bisogno di un altro sacramento per il perdono dei peccati, ma, purtroppo, il cristianesimo pecca e, per fortuna, esiste il sacramento della riconciliazione. Durante i primi secoli la Chiesa accordava questo sacramento solo una volta in vita. Successivamente, preoccupata di perpetuare una misericordia che cerca la pecora matta ogni volta che si smarrisce, decise di dare l’assoluzione a ogni peccato grave, dopo che il peccatore avesse fatto penitenza dura e prolungata. Che dire delle nostre confessioni di oggi? Jacques Maritain scriveva: Credo che coloro i quali, molto a ragione ritenevano la confessione frequente una normale abitudine nella vita spirituale, avvertivano sempre più penosamente la discordanza tra l’idea che il peccato del mondo ha fatto morire Dio sulla croce e la stesura settimanale d’una lista di peccati correnti, sempre gli stessi, da dire senza saltarne nessuno, un po’ troppo somigliante alla lista della spesa, quando si va al mercato. Non sarebbe da augurarsi che tutti questi peccati, sempre gli stessi, divenissero oggetto di una formula di confessione recitata periodicamente dalla comunità, e seguita da un’assoluzione pubblica, riservando la confessione privata ai peccati che tormentano veramente l’anima del penitente? In una linea più tradizionale e teologica, che lascia al sacramento il suo carattere di avvenimento, padre Congar auspica per i peccati quotidiani di fragilità, i mezzi quotidiani di perdono... senza privarsi del beneficio di confessarli esplicitamente ogni tanto, riservando la penitenza particolare per i peccati più gravi, soprattutto per quelli che hanno un’incidenza sociale. Il 5 novembre 1970 i vescovi svizzeri prendevano questa posizione: La confessione personale non dovrebbe essere così frequente da farla scadere in un gesto abitudinario, ma non dovrebbe essere neppure così rara da perdere l’esercizio e il gusto del senso della propria responsabilità di fronte ai propri peccati. Si tratta dunque di trovare l’equilibrio, il giusto mezzo, tra il non uso e l’abuso del sacramento della riconciliazione. Si tratta di riscoprire, in ogni caso, la presenza di Cristo misericordioso che agisce e che salva: è Lui che assolve, è Lui che perdona. Papa Giovanni Paolo II, il 22 febbraio 1984 diceva: Mi preme, ora, sottolineare il compito della remissione dei peccati. Spesso, nell’esperienza dei fedeli, proprio il dover presentarsi al ministro del perdono costituisce una difficoltà rilevante. "Perché - si obietta - rivelare a un uomo come me la mia situazione più intima e anche le mie colpe più segrete?". "Perché - si obietta ancora - non rivolgermi direttamente a Dio o a Cristo, e dovere, invece, passare attraverso la mediazione di un uomo per ottenere il perdono dei miei peccati?". Queste e simili domande possono avere una loro plausibilità per la fatica che richiede un po’ sempre il sacramento della Penitenza. Esse, però, nel loro fondo, pongono in evidenza una non comprensione o una non accoglienza del mistero della Chiesa. È vero: l’uomo che assolve è un fratello che si confessa lui pure, perché nonostante l’impegno di santificazione personale, resta soggetto ai limiti dell’umana fragilità. L’uomo che assolve, tuttavia, non offre il perdono delle colpe in nome di doti umane peculiari di intelligenza, o di penetrazione psicologica, o di dolcezza e di affabilità; egli non offre il perdono delle colpe nemmeno in nome della propria santità. Egli, auspicabilmente, è sollecitato a divenire sempre più accogliente e capace di trasmettere la speranza che deriva da una totale appartenenza a Cristo (cfr. Gal 2,20; 1Pt 3,15). Ma quando alza la mano benedicente e pronuncia le parole dell’assoluzione, egli agisce in persona Christi: non solo come rappresentante, ma anche e soprattutto come strumento umano in cui è presente, in modo arcano e reale, e agisce il Signore Gesù, il Dio-con-noi, morto e risorto e vivente per la nostra salvezza. A ben considerare, nonostante il senso di disagio che può provocare la mediazione ecclesiale, essa è un metodo umanissimo, perché il Dio che ci libera dalle nostre colpe non si stemperi in una astrazione lontana, che alla fine diverrebbe una scialba, irritante e disperante immagine di noi stessi. Mediante la mediazione del ministro della Chiesa questo Dio si rende prossimo a noi nella concretezza di un cuore pure perdonato. In questa prospettiva vien fatto di domandarsi se la strumentalità della Chiesa, invece che contestata, non dovrebbe, piuttosto, essere desiderata, poiché risponde alle attese più profonde che si nascondono nell’animo umano quando si avvicina Dio e si lascia da Lui salvare. Il ministro del sacramento della Penitenza ci appare così - entro la totalità della Chiesa - come un’espressione singolare della logica dell’Incarnazione, mediante la quale il Verbo fatto carne ci raggiunge e ci libera dai nostri peccati. Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli, dice Cristo a Pietro. Le chiavi del regno dei cieli non sono affidate a Pietro e alla Chiesa perché se ne servano a proprio arbitrio o per manipolare le coscienze, ma perché le coscienze siano liberate nella Verità piena dell’uomo, che è Cristo, pace e misericordia (cfr. Gal 6,16) per tutti.
Il cristiano, essendo stato battezzato, non dovrebbe aver bisogno di un altro sacramento per il perdono dei peccati, ma, purtroppo, il cristianesimo pecca e, per fortuna, esiste il sacramento della riconciliazione. Durante i primi secoli la Chiesa accordava questo sacramento solo una volta in vita. Successivamente, preoccupata di perpetuare una misericordia che cerca la pecora matta ogni volta che si smarrisce, decise di dare l’assoluzione a ogni peccato grave, dopo che il peccatore avesse fatto penitenza dura e prolungata. Che dire delle nostre confessioni di oggi? Jacques Maritain scriveva: Credo che coloro i quali, molto a ragione ritenevano la confessione frequente una normale abitudine nella vita spirituale, avvertivano sempre più penosamente la discordanza tra l’idea che il peccato del mondo ha fatto morire Dio sulla croce e la stesura settimanale d’una lista di peccati correnti, sempre gli stessi, da dire senza saltarne nessuno, un po’ troppo somigliante alla lista della spesa, quando si va al mercato. Non sarebbe da augurarsi che tutti questi peccati, sempre gli stessi, divenissero oggetto di una formula di confessione recitata periodicamente dalla comunità, e seguita da un’assoluzione pubblica, riservando la confessione privata ai peccati che tormentano veramente l’anima del penitente? In una linea più tradizionale e teologica, che lascia al sacramento il suo carattere di avvenimento, padre Congar auspica per i peccati quotidiani di fragilità, i mezzi quotidiani di perdono... senza privarsi del beneficio di confessarli esplicitamente ogni tanto, riservando la penitenza particolare per i peccati più gravi, soprattutto per quelli che hanno un’incidenza sociale. Il 5 novembre 1970 i vescovi svizzeri prendevano questa posizione: La confessione personale non dovrebbe essere così frequente da farla scadere in un gesto abitudinario, ma non dovrebbe essere neppure così rara da perdere l’esercizio e il gusto del senso della propria responsabilità di fronte ai propri peccati. Si tratta dunque di trovare l’equilibrio, il giusto mezzo, tra il non uso e l’abuso del sacramento della riconciliazione. Si tratta di riscoprire, in ogni caso, la presenza di Cristo misericordioso che agisce e che salva: è Lui che assolve, è Lui che perdona. Papa Giovanni Paolo II, il 22 febbraio 1984 diceva: Mi preme, ora, sottolineare il compito della remissione dei peccati. Spesso, nell’esperienza dei fedeli, proprio il dover presentarsi al ministro del perdono costituisce una difficoltà rilevante. "Perché - si obietta - rivelare a un uomo come me la mia situazione più intima e anche le mie colpe più segrete?". "Perché - si obietta ancora - non rivolgermi direttamente a Dio o a Cristo, e dovere, invece, passare attraverso la mediazione di un uomo per ottenere il perdono dei miei peccati?". Queste e simili domande possono avere una loro plausibilità per la fatica che richiede un po’ sempre il sacramento della Penitenza. Esse, però, nel loro fondo, pongono in evidenza una non comprensione o una non accoglienza del mistero della Chiesa. È vero: l’uomo che assolve è un fratello che si confessa lui pure, perché nonostante l’impegno di santificazione personale, resta soggetto ai limiti dell’umana fragilità. L’uomo che assolve, tuttavia, non offre il perdono delle colpe in nome di doti umane peculiari di intelligenza, o di penetrazione psicologica, o di dolcezza e di affabilità; egli non offre il perdono delle colpe nemmeno in nome della propria santità. Egli, auspicabilmente, è sollecitato a divenire sempre più accogliente e capace di trasmettere la speranza che deriva da una totale appartenenza a Cristo (cfr. Gal 2,20; 1Pt 3,15). Ma quando alza la mano benedicente e pronuncia le parole dell’assoluzione, egli agisce in persona Christi: non solo come rappresentante, ma anche e soprattutto come strumento umano in cui è presente, in modo arcano e reale, e agisce il Signore Gesù, il Dio-con-noi, morto e risorto e vivente per la nostra salvezza. A ben considerare, nonostante il senso di disagio che può provocare la mediazione ecclesiale, essa è un metodo umanissimo, perché il Dio che ci libera dalle nostre colpe non si stemperi in una astrazione lontana, che alla fine diverrebbe una scialba, irritante e disperante immagine di noi stessi. Mediante la mediazione del ministro della Chiesa questo Dio si rende prossimo a noi nella concretezza di un cuore pure perdonato. In questa prospettiva vien fatto di domandarsi se la strumentalità della Chiesa, invece che contestata, non dovrebbe, piuttosto, essere desiderata, poiché risponde alle attese più profonde che si nascondono nell’animo umano quando si avvicina Dio e si lascia da Lui salvare. Il ministro del sacramento della Penitenza ci appare così - entro la totalità della Chiesa - come un’espressione singolare della logica dell’Incarnazione, mediante la quale il Verbo fatto carne ci raggiunge e ci libera dai nostri peccati. Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli, dice Cristo a Pietro. Le chiavi del regno dei cieli non sono affidate a Pietro e alla Chiesa perché se ne servano a proprio arbitrio o per manipolare le coscienze, ma perché le coscienze siano liberate nella Verità piena dell’uomo, che è Cristo, pace e misericordia (cfr. Gal 6,16) per tutti.
Perdonami Marina, ma devo correggerti. Il messaggio pubblicato non proviene dalla Madonna di Medugorje, ma dalla Vergine Regina degli Ultimi Tempi. Puoi trovare maggiori informazioni sul sito: www.verginedegliultimitempi.com
RispondiEliminaUn caro saluto e grazie del tuo contributo.
Perdonami tu Angel! Ancora una svista! Mi è capitato anche con Gianandrea, sarà la stanchezza! Provvedo subito a correggere!
RispondiEliminaUn abbraccio!!!