lunedì 26 luglio 2010

Notti brave: ognuno si prenda le proprie responsabilità

Dall'editoriale Samizdatonline

Chiediamo a chi condivide il nostro giudizio di sottoscriverlo. Lo faremo arrivare ai giornali. Potete diffonderlo anche voi.

Ci sarà – anzi, certo c’è – del vero nell’inchiesta di Panorama sulle «notti brave dei preti gay». E lasciamo tutta la responsabilità agli autori del servizio, come anche all’Editore, nel pubblicizzare questa sporcizia, questa nefandezza, questo disgustoso spettacolo (a volte pare che cresca il gusto “macabro” di comunicare il male, con un compiacimento che ha, forse, del patologico).
Ma c’è un disgusto – e un’ira – nei confronti di quei soggetti che vivono quelle situazioni. Non è in gioco la misericordia: questo è affare di Dio, e della coscienza di quei disgraziati.
È che non se ne può più di questi tipi che usano la Chiesa per nascondere le loro fragilità, che vivono di quel “carrierismo” denunciato da Benedetto XVI, senza alcuno scrupolo morale.
Non se ne può più di quel “marcio” che vive nella Chiesa e che la infanga, senza poi che chi lo compie ne paghi le conseguenze. Quelle le paghiamo noi, sacerdoti e laici, che cerchiamo di vivere la missione nei vari ambienti in cui operiamo. Quelli non vanno certo a scuola o nei luoghi di lavoro a difendere la Chiesa da quelle ferite e offese che l’hanno infangata. Noi sì!
Noi siamo fieri di quella Chiesa di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, e siamo stanchi di sopportare chi «rema contro», in un gioco al massacro che distrugge sempre più la speranza negli uomini (e nei giovani, in particolare. Ricordiamo il detto terribile di Gesù a proposito di chi «scandalizza uno di questi miei fratelli più piccoli»).
Siamo stanchi della derisione – provocata da quei comportamenti – che si ritorce non sui colpevoli, che comunque sono disprezzati (come gli «utili idioti») ma su coloro che sono fedeli.
Abbiamo già detto più volte che la soluzione sta nel riconoscere e dare spazio alle tante esperienze di Chiesa vera che mostrano ancora oggi il fascino del cristianesimo vissuto, e che sono presenti in tanta parte del nostro popolo italiano.
La nostra appartenenza ecclesiale non è un affare privato, una questione insignificante: il Papa continuamente ci ricorda che è la ragione di una speranza che continuamente si rinnova.
Gesù diceva di «vincere il male col bene»: la vittoria su quello squallore umano (prima ancora che cristiano) sarà nel rifiorire di autentiche esperienze ecclesiali dove una carità vissuta nel quotidiano e una fede amica della ragione si uniranno per mostrare la convenienza vera del cristianesimo.
Non una formula ci salverà, - ci ha ricordato Giovanni Paolo II - ma una Presenza, e la certezza che essa ci infonde: «Io sono con voi!» Non si tratta, allora, di inventare un «nuovo programma». Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. Quello stesso Gesù che vive nella sua Chiesa, testimoniato dal grande magistero pontificio.
E chi non condivide questo magistero farebbe bene a togliersi di mezzo. E chi lo condivide e lo sostiene trovi il coraggio e la fierezza di comunicarlo.
Quanto a noi, condividiamo il giudizio del Vicariato di Roma, e chiediamo di ripartire da qui. Non lo scandalo costruisce, ma una novità di vita, qui e ora.

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Cultura Cattolica socio di samizdatonline


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