giovedì 26 gennaio 2012

OROSCOPO CRISTIANO

 
Rivisitazione dei segni in chiave cristiana

Per primo vi accolse non l’Ariete, ma l’Agnello che non respinge nessun che creda in Lui. Esso rivestì la vostra nudità col niveo candore del suo vello, con grande bontà versò il suo latte benedetto nelle vostre labbra che si aprivano al vagito.


Similmente Egli, non quale Toro dal collo superbo, dalla fronte torva, dalle corna minacciose, ma quale Vitello ottimo, dolce, carezzevole e mite, vi ammonisce a non cercare mai gli auspici in nessuna attività, ma a raccogliere — sottoponendovi senza malizia al suo giogo e fecondando, col sottometterla a voi, la terra della vostra carne — nei celesti granai la ricca messe dei semi divini.


E mediante i Gemelli che seguono, cioè mediante i due Testamenti che vi annunciano la salvezza, vi ammonisce ad evitare innanzitutto l’idolatria, l’impudicizia e l’avarizia, che è l’incurabile Cancro.


Ma il nostro Leone, come insegna la Genesi, è il leoncello di cui celebriamo questi santi sacramenti, che adagiandosi si addormentò per vincere la morte e risorse per conferirsi l’immortalità quale dono della sua beata Risurrezione.


Lo segue nell’ordine la Vergine preannunciando la Bilancia, per farci conoscere per mezzo del Figlio di Dio, incarnatosi e nato dalla Vergine, che l’equità e la giustizia sono state recate alla terra.


Chi la osserverà costantemente e l’amministrerà fedelmente calpesterà con piede incolume, non dirò lo Scorpione, ma, come afferma il Signore nel Vangelo, assolutamente tutti i serpenti.


Ma non dovrà nemmeno temere lo stesso diavolo, che è il ferocissimo Sagittario, armato di saette infuocate, in ogni istante causa di terrore per i cuori di tutto il genere umano.
Perciò così dice l’apostolo Paolo: Rivestitevi dell’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo imbracciando lo scudo della fede, per mezzo del quale potete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. 


Egli infatti talvolta lancia contro gli infelici il Capricorno, deforme d’aspetto, il quale avventandosi col suo corno, ribollente sulle livide labbra della spuma delle sue vene, con paurosa rovina infuria con pietosi effetti per tutte le membra di chi gli è prigioniero. Alcuni rende pazzi, altri furiosi, altri omicidi, altri adulteri, altri sacrileghi, altri ciechi per l’avarizia.


Sarebbe lungo scendere ai singoli particolari: possiede differenti e innumerevoli arti per nuocere, ma tutte queste, scorrendo con le sue acque salutari, senza grande difficoltà il nostro Acquario fu solito rendere vane.


Lo seguono necessariamente in un’unica costellazione i due Pesci, cioè i due popoli dei Giudei e dei Gentili, che ricevono la vita dall’acqua del battesimo, segnati da un unico segno per essere unico popolo di Cristo.
(Tratto da un testo di San Zenone)

venerdì 6 gennaio 2012

Epifania 2012

Vangelo
Siamo venuti dall’oriente per adorare il re.
[Mt 2,1-12] Dal Vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Commento

Guidati  da una Stella, dei Magi, dall'Oriente,  arrivano a Betlemme e trovano un Bambino avvolto in fasce  in una mangiatoia. In quel bambino essi riconoscono l’Emmanuel, il Dio con noi e offrono in dono  l’oro come segno della   Signoria di Gesù,  l’incenso per la sua Divinità,  la mirra per  la sua natura umana che soffrirà.
La bellezza di questo Vangelo sta proprio nella capacità di questi tre re venuti da lontano di riconoscere in Gesù il Salvatore tanto atteso non solo dai giudei ma anche dai popoli pagani che non riuscivano ad avere risposte vere dalle loro divinità, ma soprattutto non riuscivano ad entrare in relazione con esse. Questo Dio che si mostra con l’umiltà e la tenerezza di un Bambino riesce a conquistare il cuore di questi  Magi che, pieni di gioia e di speranza, fanno ritorno al loro paese. Ora in loro risplende una luce: è la luce della fede, è quella luce di cui ci  parla  l’evangelista Giovanni nel Prologo:” Venne al mondo la Luce vera”(…)” e a quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare Figli di Dio”. I magi hanno saputo capire e leggere i segni dei tempi e  hanno saputo mettersi nel cammino giusto. Chiediamoci quale cammino della nostra vita stiamo facendo, quale stella stiamo seguendo! Oggi, purtroppo, di stelle  che attirano la nostra attenzione ce ne sono tante e tutte molto attraenti, ma il grande vuoto esistenziale da cui il genere umano è affetto, dimostra che esse sono stelle  effimere, capaci di donare  gioia solo per pochi istanti…e poi! Ve n’ è solo Una di Stella , che brilla di luce propria,  capace di scaldare i tanti cuori di ghiaccio: Gesù. Seguiamolo!!!
Epifania significa manifestazione e noi cristiani celebriamo questa solennità proprio perché il Signore si è manifestato così come Egli è, a cuore aperto e con le braccia spalancate per abbracciare tutto il mondo. Lasciamoci catturare da questo abbraccio d’amore, lasciamoci stringere al cuore di un Dio-Bambino che a Natale ci ha chiesto di poter nascere nelle nostre vite ed ora ci chiede di farlo crescere in noi per aiutarci così a realizzare in pieno la nostra umanità.
I magi, dopo aver visto il bambino e avvertiti in sogno di non tornare da Erode,  se ne tornano al loro paese per un’altra strada: è l’incontro con il Signore che porta necessariamente a percorrere una strada diversa, quella giusta che, anche se piena di ostacoli, di prove, porta alla meta pensata per noi da un Dio che si chiama Amore, fin dall'inizio dei tempi.
Buona  Epifania! 

sabato 24 dicembre 2011

Natale 2011

 BUON NATALE!!!



Vieni di notte,
ma nel nostro cuore è sempre notte:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in silenzio,
noi non sappiamo più cosa dirci:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in solitudine,
ma ognuno di noi è sempre più solo:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni, Figlio della pace,
noi ignoriamo cosa sia la pace:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a liberarci,
noi siamo sempre più schiavi:
E dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a consolarci,
noi siamo sempre più tristi:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a cercarci,
noi siamo sempre più perduti,:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni, tu che ci ami:
nessuno è in comunione col fratello
se prima non è con te, o Signore.
Noi siamo tutti lontani, smarriti,
né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo.
Vieni, Signore. Vieni sempre, Signore.
(David Maria Turoldo)

lunedì 28 novembre 2011

Avvento 2011

Preghiera per l'avvento: VIENI SIGNORE GESU' 1.



Il Padre ti manda
nel mondo abitato da noi peccatori:

vieni, Tu, il Santo ed Immacolato,
che tutto trasformi con la tua Presenza.

- Vieni, Atteso dai secoli immersi nel buio,
riecheggianti promesse!

 vieni, Splendore,
che ai poveri rallegri il cuore!

- Ti attese Maria, la Tuttasanta,
per godere il prodigio annunciato!

 Ti attese Giovanni,
che gioì vedendoti togliere il peccato del mondo!

- Ti attende Adamo
per alzare lo sguardo con te al Padre,
che l'ama senza rimprovero.

Ti chiama lo Spirito,
per abbreviare i tempi della bruciante attesa.
- Vieni, Gesù, nella tua gloria

 per introdurci alle tue Nozze
profumate d'Amore.
- Ti chiama la Chiesa Sposa
che ti vuol donare la sua riconoscenza.


domenica 25 settembre 2011

Vangelo domenica 25 settembre 2011




Mt 21,28-32

Pentitosi andò. I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. + Dal Vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Parola del Signore



Omelia (25-09-2011)) padre Ermes Ronchi

 Gesù ha sempre fiducia in ogni uomo

Un uomo aveva due figli...
In quei due figli è rappresentato ognuno di noi, con in sé un cuore diviso, un cuore che dice «sì» e uno che dice «no», che dice e poi si contraddice: infatti non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (Rm 7,15.19 ).
Il primo figlio che dice «no», è un ribelle; il secondo che dice «sì» e non fa', è un servile. Non si illude Gesù. Conosce bene come siamo fatti: non esiste un terzo figlio ideale, che vive la perfetta coerenza tra il dire e il fare. I due fratelli, pur così diversi, hanno qualcosa in comune: la stessa idea del padre come di un estraneo che impartisce ordini; la stessa idea della vigna come di una cosa che non li riguarda.
Qualcosa però viene a disarmare il rifiuto del figlio che ha detto no: «si pentì». Pentirsi significa «cambiare mentalità, cambiare il modo di vedere», di vedere il padre e la vigna. Il padre non è più un padrone da obbedire o da ingannare, ma il capo famiglia che mi chiama in una vigna che è anche mia, per una vendemmia abbondante, per un vino di festa per tutta la casa. E la fatica diventa piena di speranza.
Chi dei due ha fatto la volontà del padre? Questa volontà del padre, da capire bene, è forse di essere obbedito? No, è ben di più: avere figli che collaborino, come parte viva, alla gioia della casa, alla fecondità della terra.
La morale evangelica non è prima di tutto la morale dell'obbedienza, ma dei frutti buoni: «dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7, 16). Frutti di bontà, libertà, gioia, amicizia, limpido cuore, perdono.
L'alternativa di fondo è tra un'esistenza sterile e una che invece trasforma una porzione di deserto in vigna, e la propria famiglia in un frammento del sogno di Dio. Anche se nessuno se ne accorge, anche lavando in silenzio i piedi di coloro che ci sono affidati, nel segreto della propria casa. Se agisci così fai vivere te stesso, dice il profeta Ezechiele nella prima lettura, sei tu il primo che ne riceve vantaggio.
Gesù prosegue con una delle sue parole più dure e consolanti: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Dura la frase, perché si rivolge a noi che a parole diciamo «sì», ci diciamo credenti, ma siamo sterili di opere buone. Cristiani di facciata o di sostanza?
Ma consolante, perché in Dio non c'è ombra di condanna, solo la promessa di una vita rinnovata per tutti. Dio ha fiducia sempre, in ogni uomo; ha fiducia nelle prostitute e ha fiducia in noi, nonostante i nostri errori e i nostri ritardi. Crede in noi, sempre! Allora posso cominciare la mia conversione. Dio non è un dovere: è amore e libertà. E un sogno di grappoli saporosi per il futuro del mondo.

venerdì 2 settembre 2011

La via della bellezza. Una sfida aperta

Dall'editoriale SamizdatOnline







Accade purtroppo con una certa frequenza che le notizie che ci raggiungono turbino la nostra pace e la nostra coscienza. E sono racconti e giudizi sulle gravi violenze nel mondo (e non cessa di stupirci la rassegnata e connivente documentazione che ce ne viene fornita. Basti pensare al modo con cui ci è stata raccontata la guerra in Libia…). Sono resoconti sulla continua persecuzione dei cristiani (che stenta a diventare problema di coscienza, con una sospetta assuefazione di troppi comunicatori). È il modo con cui si dà spazio ai vari indignados
che sembrano avere il diritto alle prime pagine prima e più che i milioni di giovani di Madrid, o le 800mila presenze di giovani e meno giovani del Meeting di Rimini. Mi accorgo che la lista del male si allunga in maniera considerevole.
Ma abbiamo pur detto (ed è la nostra filosofia di CulturaCattolica.it) che vogliamo essere voce (e forte) del bene presente, degli uomini e delle donne che, colla loro vita quotidiana, sanno essere all’origine di quella «civiltà della verità e dell’amore» tanto cara al grande Giovanni Paolo II. E ho davanti agli occhi ben più di uno di questi esempi, che con la loro vita sono il segno di una vittoria dell’umano, spesso resa possibile dalla fede vissuta (come non ricordare quanto il beato Giovanni Paolo II affermava nel campo di concentramento che aveva visto la fine del grande San Massimiliano Maria Kolbe: «“...Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1Gv 5,4). Queste parole della Lettera di San Giovanni mi vengono alla mente e mi penetrano nel cuore, quando mi trovo in questo posto in cui si è compiuta una particolare vittoria per la fede. Per la fede che fa nascere l’amore di Dio e del prossimo, l’unico amore, l’amore supremo che è pronto a “dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13; cf. Gv 10,11). Una vittoria, dunque, per l’amore, che la fede ha vivificato fino agli estremi dell’ultima e definitiva testimonianza. […] La vittoria mediante la fede e l’amore l’ha riportata quell’uomo in questo luogo, che fu costruito per la negazione della fede – della fede in Dio e della fede nell’uomo – e per calpestare radicalmente non soltanto l’amore, ma tutti i segni della dignità umana, dell’umanità. Un luogo, che fu costruito sull’odio e sul disprezzo dell’uomo nel nome di una ideologia folle. Un luogo, che fu costruito sulla crudeltà. […] In questo luogo del terribile eccidio, che recò la morte a quattro milioni di uomini di diverse nazioni, Padre Massimiliano, offrendo volontariamente se stesso alla morte nel bunker della fame per un fratello, riportò una vittoria spirituale simile a quella di Cristo stesso»?).
E allora, oggi, leggendo quello che Benedetto XVI ha detto nella Udienza del mercoledì del 31 agosto 2011, e che riporto qui sotto, mi sono detto: «Perché non raccogliere le tante testimonianze di quella «via della bellezza - via pulchritudinis» che ci possono sostenere nel cammino della vita, ridando all’uomo di oggi, in particolare ai giovani, il senso affascinante del compito della vita, della dignità del vivere, che tanto ci caratterizza?»
Col sito CulturaCattolica.it ci proponiamo di ospitare e di comunicare tutto ciò che ci conforterà in questo cammino. All’opera dunque, raccontateci della bellezza che vi ha mosso nella vita! Sarete nostri graditi ospiti!
«Oggi vorrei soffermarmi brevemente su uno di questi canali che possono condurci a Dio ed essere anche di aiuto nell’incontro con Lui: è la via delle espressioni artistiche, parte di quella “via pulchritudinis” – “via della bellezza” - di cui ho parlato più volte e che l’uomo d’oggi dovrebbe recuperare nel suo significato più profondo. Forse vi è capitato qualche volta davanti ad una scultura, ad un quadro, ad alcuni versi di una poesia, o ad un brano musicale, di provare un’intima emozione, un senso di gioia, di percepire, cioè, chiaramente che di fronte a voi non c’era soltanto materia, un pezzo di marmo o di bronzo, una tela dipinta, un insieme di lettere o un cumulo di suoni, ma qualcosa di più grande, qualcosa che “parla”, capace di toccare il cuore, di comunicare un messaggio, di elevare l’animo. Un’opera d’arte è frutto della capacità creativa dell’essere umano, che si interroga davanti alla realtà visibile, cerca di scoprirne il senso profondo e di comunicarlo attraverso il linguaggio delle forme, dei colori, dei suoni. L’arte è capace di esprimere e rendere visibile il bisogno dell’uomo di andare oltre ciò che si vede, manifesta la sete e la ricerca dell’infinito. Anzi, è come una porta aperta verso l’infinito, verso una bellezza e una verità che vanno al di là del quotidiano. E un’opera d’arte può aprire gli occhi della mente e del cuore, sospingendoci verso l’alto». [Benedetto XVI, Udienza del 31 agosto 2011]

sabato 27 agosto 2011

Santa Monica, Madre di S. Agostino



(memoria)

M
onica nacque nel 331 a Tagaste, antica città della Numidia, odierna Souk-Ahras (Algeria), in una famiglia profondamente cristiana e di buone condizioni economiche. Le fu concesso di studiare e ne approfittò per leggere la Bibbia e meditarla.
Sposatasi con Patrizio, un modesto proprietario di Tagaste, non ancora battezzato, il cui carattere non era buono, e che spesso le era infedele, con il suo carattere mite e dolce ne poté vincere le asprezze.
Dette alla luce il figlio primogenito Agostino nel 354. Ebbe un altro figlio, Naviglio, e una figlia di cui si ignora il nome. Dette a tutti e tre un'educazione cristiana.

Nel 371 Patrizio si convertì al cristianesimo e fu battezzato; morirà l'anno seguente. Monica aveva 39 anni e dovette prendere in mano la direzione della casa e l'amministrazione dei beni. Soffrì molto per la condotta dissoluta di Agostino. Quando egli si trasferì a Roma, decise di seguirlo, ma lui, con uno stratagemma, la lasciò a terra a Cartagine, mentre s'imbarcavano per Roma.

Quella notte Monica la passò in lacrime sulla tomba di S. Cipriano; pur essendo stata ingannata, ella non si arrese ed eroicamente continuò la sua opera per la conversione del figlio.
Nel 385 s’imbarcò anche lei e lo raggiunse a Milano, dove nel frattempo Agostino, disgustato dall’agire contraddittorio dei manichei di Roma, si era trasferito per ricoprire la cattedra di retorica.
Qui Monica ebbe la consolazione di vederlo frequentare la scuola di S. Ambrogio, vescovo di Milano e poi il prepararsi al battesimo con tutta la famiglia, compreso il fratello Navigio e l’amico Alipio; dunque le sue preghiere erano state esaudite. Il vescovo di Tagaste le aveva detto: “È impossibile che un figlio di tante lacrime vada perduto”.

Monica restò al fianco del figlio consigliandolo nei suoi dubbi e infine, nella notte di Pasqua, 25 aprile 387, poté vederlo battezzato insieme a tutti i familiari. Ormai cristiano convinto profondamente, Agostino non poteva rimanere nella situazione coniugale esistente. Secondo la legge romana, egli non poteva sposare la sua ancella convivente, perché di ceto inferiore, e alla fine, con il consiglio di Monica, ormai anziana e desiderosa di una sistemazione del figlio, si decise di rimandare, con il suo consenso, l’ancella in Africa, mentre Agostino avrebbe provveduto per lei e per il figlio Adeodato, rimasto con lui a Milano.
A questo punto Monica pensava di poter trovare una sposa cristiana adatta al ruolo, ma Agostino, con sua grande e gradita sorpresa, decise di non sposarsi più, ma di ritornare anche lui in Africa per vivere una vita monastica, anzi fondando un monastero.

La troviamo poi accanto al figlio a Cassiciaco, presso Milano, discutendo con lui ed altri familiari di filosofia e cose spirituali, e partecipando con sapienza ai discorsi, al punto che Agostino volle trascrivere nei suoi scritti le parole della madre. La cosa suonò inusuale, perché all'epoca alle donne non era permesso prendere la parola.

Con Agostino lasciò Milano diretta a Roma, e poi a Ostia, dove affittarono una casa, in attesa di una nave in partenza per l'Africa. Fu un periodo carico di dialoghi spirituali, che Agostino ci riporta nelle sue Confessioni.
Lì si ammalò, forse di malaria, e morì, in nove giorni, il 27 agosto 387 all'età di 56 anni. Il suo corpo fu tumulato nella chiesa di Sant'Aurea di Ostia.
Il 9 aprile 1430 le sue reliquie furono traslate a Roma nella chiesa di S. Trifone, oggi di S. Agostino, e poste in un pregiato sarcofago, opera di Isaia da Pisa (XV secolo).
La Chiesa cattolica ne celebra la memoria il 27 agosto (anteriormente si celebrava il 4 maggio), il giorno prima di quella di S. Agostino, che, coincidentemente, morì un 28 agosto.

Significato del nome Monica : "monaca, solitaria, eremita" (greco).