Quelle domande che pesano
Alle donne che scenderanno in piazza domani, in una sorta di sollevazione contro l’immagine di donna che esce da un mese di cronache di feste e confessioni di escort, vorrei porre qualche domanda. Il “manifesto” della iniziativa parla di «baratro culturale», di «Italia ridotta a un bordello» – ci scusino i lettori, ma questo è lo “spirito del tempo”. Qualcuno, qualcuna si è accorta ora delle code davanti agli studi dove si scelgono le future vallette, o del diffuso sogno di entrare nella “scuderia” di Lele Mora, sogno per cui alcune sono disposte a tutto. «Se non ora, quando», è il grido della manifestazione di domani. E sembra l’esclamazione di chi tardivamente si sia guardato attorno, scoprendo che l’aria che tira non gli piace.
La prima domanda è dunque dove erano tante di quelle che sfileranno domani, in questi vent’anni. La maggior parte di loro proviene da quella cultura che è il lascito tardivo di femminismo e Sessantotto: la cultura del «Io sono mia», che predicava la piena autonomia di una donna finalmente liberata da condizionamenti del passato, maschilisti o – peggio – religiosi. La ricordiamo l’ebbrezza di questa liberazione, trent’anni fa: libera, si proclamava quella generazione di ventenni, di fare politica, di studiare e lavorare; libere nel rifiuto orgoglioso di essere “donne oggetto”; libere dal matrimonio come destino obbligato; libere, grazie alla pillola e all’aborto legale, dall’antico giogo di maternità non volute.
La seconda domanda allora è che cosa è stato ereditato, di queste vere o presunte libertà, dalle figlie. Qualcosa deve essersi inceppato nella trasmissione generazionale, se non poche, e soprattutto nelle classi sociali più modeste, declinano questa libertà come totale disponibilità di se stesse, anche di farsi guardare come cose, se occorre, e se ne vale la pena. È il “sistema” che sfrutta e usa le donne, si griderà in piazza – in quella piazza in cui io non andrò. Però quelle sono figlie nostre; cresciute davanti alla tv forse, ma educate da noi. Avete letto il sondaggio di Ilvo Diamanti che chiede agli italiani se considerano gli atteggiamenti di Berlusconi «offensivi contro le donne»? Solo il 37 per cento delle ragazze risponde di sì, e solo il 28 per cento delle trentenni. Insomma, la prospettiva di farsi meteorine in feste di vip, o di usare la bellezza per “arrivare” in fretta non è poi così riprovata. Plagiate da vent’anni di veline? Ma le famiglie, e le madri, dov’erano? Scoprire all’improvviso che le bambine di dodici anni, nelle famiglie più abbandonate ma non solo in quelle, sognano davanti allo specchio “quel” successo; e non sanno, ma ancora per poco, cosa si fa per agguantarlo. Ve ne accorgete oggi? Noi cattolici retrogradi eravamo dunque all’avanguardia?
Su Repubblica però una docente universitaria pone questa distinzione: «Una cosa è che uno scelga i valori del sedere, come la cosa migliore di sé e più preziosa; tutt’altra cosa è che glielo imponga un altro». Tipica declinazione di quel relativismo etico che è da anni il pensiero unico obbligatorio. Secondo il quale nulla è oggettivamente negativo; se una liberamente decide di vendersi, niente da dire. Ma allora cosa si scende in piazza a contestare domani? Le fanciulle, stelline, vallette, meteore che abbiamo visto sfilare sui giornali sono – per lo più – maggiorenni e capaci di intendere. E dunque? Forse il problema è più grande: ma davvero vendersi, o accettare di mostrarsi come un bell’oggetto – libera o no che sia la scelta – non è avvilente in sé, non è contrario alla dignità di una donna, o di un uomo? Non c’era forse qualcosa di primario, di oggettivo che si è buttato via insieme al resto trent’anni fa, quando si gridava «L’utero è mio e lo gestisco io»?. L’ultima domanda, la più importante, è: che cosa trasmettere a una figlia, perché non sogni, sotto sotto, di incontrare Lele Mora? Basterà parlare di “decenza”? (strano ritrovare in bocche laiche questo vecchio termine “bigotto”). Ciò che, crediamo, scrive su un figlio l’orgoglio di non essere in vendita mai è che si senta fin dal primo giorno unico, e amato, e non nato per caso, ma dentro un destino comune e buono; che sappia che quel destino è un compito che lo lega agli altri, e non è risolvibile nell’arbitrio del gioco più comodo o veloce. È la certezza dei cristiani autentici, e forse quella dei laici migliori – le cui speranze, però, sembrano oggi perse o sconfitte. Senza questa certezza del valore assoluto di ognuno, non stupisce che si concepisca di vendersi – e i modi poi, per donne e uomini, sono tanti. Se nessuno ti ha detto che tu non hai prezzo, e il tuo valore è infinito.
Marina Corradi
fonte: Avvenire
Concordo in pieno. Berlusconi, e con lui molti altri non citati perchè politicamente comodi, ha semplicmente cavalcato il libertinismo sessuale derivante dalla cultura femminista e sessantottina. Vogliamo parlare di decenza e moralità? Magari! Ma non facciamolo politicamente.
RispondiEliminaGrazie Nicola per questo tuo prezioso intervento...ci voleva proprio...
RispondiEliminaParliamo pure di decenza e moralità, ma facciamolo alla luce del Vangelo!!!
Un caro saluto!
Pienamente d'accordo, dobbiamo d'accordo dobbiamo ringraziare movementi del '68 se ora ci ritroviamo in tale situazione e quella loro filosofia "Fate l'amore, ma non la guerra", banalizzando e svuotando di ogni suo profondo significato la parola Amore, che ad oggi viene spesso confuso con il sesso, per esser più precisi dovevan dire "Fate sesso..".
RispondiEliminaOggi le ragazzine al posto di impegnarsi a scuola sognano di diventare veline, letterine, showgirl e sposarsi poi un calciatore, questa rappresentan le loro ambizioni. La colpa è anche della televisione che non fa altro che bombandarci di queste cose, che con tutte queste ballerine poco vestite e con i loro provocanti balletti non fanno altro che metter in risalto il proprio corpo, che viene considerato come un oggetto di business che permette di ottenere successo. La colpa è anche da imputare a queste donne senza una propria morale, dignità, che pur di entrare nel mondo dello spettacolo sono disposte a tutto.