domenica 28 febbraio 2010

La Trasfigurazione

Seconda domenica di Quaresima anno C
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 9,28-36.

Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare.
E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.
Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia,
apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quel che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura.
E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo».
Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Commento a cura di Ermes Ronchi
La trasfigurazione è la festa del volto bello di Cristo. Il volto è la grafia dell'anima, la scrittura del cuore: Dio ha un cuore di luce. Il volto di Gesù è il volto alto dell'uomo. Noi tutti siamo come un'icona incompiuta, dipinta però su di un fondo d'oro, luminoso e prezioso che è il nostro essere creati a immagine e somiglianza di Dio. L'intera vita altro non è che la gioia e la fatica di liberare tutta la luce e la bellezza che Dio ha deposto in noi: «il divino traspare dal fondo di ogni essere» (Teilhard de Chardin). Il volto del Tabor trasmette bellezza: è bello stare qui, altrove siamo sempre di passaggio, qui possiamo sostare, come fossimo finalmente a casa. È bello stare qui, su questa terra che è gravida di luce, dentro questa umanità che si va trasfigurando. È bello essere uomini: voi siete luce non colpa, siete di Dio non della tenebra. La Trasfigurazione inizia già in questa vita (conosciamo tutti delle persone luminose, volti di anziani bellissimi, nelle cui rughe si è come impigliato un sole) e il Vangelo indica alcune strade: - la prima strada è la preghiera (e mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto) che rende più limpido il volto, ti rende più te stesso, perché ti mette in contatto con quella parte di divino che compone la tua identità umana; - è necessario poi conquistare lo sguardo di Gesù che in Simone vede la roccia, nella donna dei 7 demoni vede la discepola, in Zaccheo vede il generoso...; allenare cioè gli occhi a vedere la luce delle cose e delle persone, non le ombre o il negativo. Se ti guardo cercando le tue ombre, io già ti condanno. Io devo confermare l'altro che ha luce in sé, allora lui camminerà avanti; - terza strada è nel verbo che è il vertice conclusivo del racconto: ascoltatelo. Chi ascolta Gesù, diventa come lui. Ascoltarlo significa essere trasformati. Il salmo 66 augura: Il Signore ti benedica con la luce del suo volto. La benedizione di Dio non é ricchezza, salute o fortuna, ma semplicemente la luce: luce interiore, luce per camminare e scegliere, luce da gustare. Dio ti benedice ponendoti accanto persone dal volto e dal cuore di luce, che hanno il coraggio di essere ingenuamente luminosi nello sguardo, nel giudizio, nel sorriso. Dio benedice con persone cui poter dire, come Pietro sul monte: è bello essere con te! Mi basta questo per sapere che Dio c'è, che Dio è luce. E il tuo cuore ti dirà che tu sei fatto per la luce. (Letture: Genesi 15, 5-12. 17-18; Salmo 26; Filippesi 3, 17-4,1; Luca 9, 28-36)

martedì 23 febbraio 2010

Il fidanzamento? Si costruisce

Vincere la paura di fronte all’idea del matrimonio

Cari amici lettori, pongo alla vostra attenzione un articolo pubblicato qualche giorno fa sul settimanale Emmaus della mia Diocesi riguardo ad un argomento che, in genere, è toccato molto, ma molto raramente: il fidanzamento.
Questo momento di vita vissuto prima del matrimonio è fondamentale per la costruzione di un rapporto d’amore solido e duraturo. I fatti, oggi, affermano che, molto probabilmente, alla base di tante separazioni c’è forse un fidanzamento  vissuto in modo sbagliato perché non sfruttato come periodo da dedicare alla conoscenza dell’altro e con la paura di impegnarsi seriamente per la vita.

Leggiamo cosa dice Lorella Mattioli, esperta di Pastorale Familiare.

Da vari anni m'interesso dei corsi per fidanzati e di Pastorale familiare. Ho incontrato tanti giovani e altrettante famiglie. Con molti di loro è nato un rapporto d' amicizia che continua, una stima e un affetto che nel tempo è diventato anche cammino di crescita alla scuola del Vangelo. Si, perché ciò che l’esperienza mi suggerisce è proprio il costruire, il crescere insieme prendendosi cura ogni giorno della propria relazione d’amore. C’è una domanda, forse anche una paura che si legge negli occhi dei fidanzati di fronte all’idea del matrimonio: può da sola l’attrazione fatale dell’innamoramento garantire continuità e bellezza al legame sfidando problemi, sofferenze, mutamenti e il logorio del tempo? Stando ai dati statistici sulla durata dei matrimoni, e a ciò che constatiamo ogni giorno, questa domanda è quanto mai legittima e la sua risposta urgente. Viviamo in un mondo nel quale si esalta, quasi assolutizzandolo, il momento emotivo. Ma l’emotività è per sua natura episodica, e non può dar certezza di stabilità. Le relazioni che ne derivano sono inizialmente intense ma fragili. Spesso parlando ai giovani dico:” Nessuno vi regalerà un matrimonio felice, perché un matrimonio è una relazione che si costruisce insieme ogni giorno”. L’arte di amare, infatti, è la più difficile ma anche la più necessaria per divenire se stessi e per raggiungere la propria felicità e compimento. Imparare ad amare è quindi l’impegno che più ci umanizza e ci rende delle persone veramente mature. Oltre ad essere un cammino, imparare ad amare significa anche togliere all’amore quelle ambiguità e opacità che sono frutto del peccato, e liberarlo dai compromessi con il nostro egoismo. Solo in una relazione d' amore vero l’uomo può realizzarsi: ma esiste l’amore vero? Scrive Benedetto XVI nel messaggio della XXII Giornata della Gioventù:” E’ possibile amare? Ogni persona avverte il desiderio d' amare e di essere amata. eppure quant’è difficile amare! C’è persino chi giunge a dubitare che l’amore sia possibile. Ma bisogna rassegnarsi? No! L’amore è possibile e il mio messaggio vuole ravvivare in ciascuno di voi, che siete il futuro e la speranza dell’umanità, la fiducia nell’amore vero, fedele e forte, che genera pace e gioia; un amore che lega le persone, facendole sentire libere nel reciproco rispetto. Se siete fidanzati, Dio ha un progetto di amore sul vostro futuro di coppia e di famiglia ed è quindi essenziale che voi lo scopriate con l’aiuto della Chiesa, liberi dal pregiudizio che il Cristianesimo, con i suoi comandamenti, ponga ostacoli alla gioia dell’amore e impedisca di gustare pienamente la felicità. La coppia formata dall’uomo e dalla donna è all’origine della famiglia umana. Imparare ad amarsi come coppia è un cammino meraviglioso, che richiede un tirocinio impegnativo”. Ben vengano allora i corsi di preparazione al matrimonio, gli esercizi spirituali per fidanzati e famiglie che molte diocesi organizzano soprattutto in questo periodo di Quaresima. In ogni modo, il compito di seguire i giovani ed aiutarli a maturare a livello affettivo è di tutti i genitori e della parte adulta della società,  nessuno si senta dispensato da questo impegno,  ne dovrà rispondere d’avanti a Dio.



domenica 21 febbraio 2010

Cos'è l'amore?

Molti sono convinti che la vita di una creatura conti solo se è una “scelta cosciente”, un atto dovuto, altrimenti diventa una costrizione, un “un dovere morale” e spetti alle donne, in nome del valore supremo della difesa della propria libertà, decidere della sorte di quel figlio che s’è “annidato” nel loro ventre.

Le cose di fatto sono più semplici: un figlio è un figlio, cercato, capitato, è un essere indifeso che ha bisogno d’essere custodito.

L'inizio della Quaresima ci invita a chiedere perdono .. SamizdatOnLine

LETTERA A UN BAMBINO MAI NATO

Su Il Giornale del 7 febbraio è stata pubblicata questa lettera appello:

"Buongiorno, mi chiamo Marco e ho 37 anni. Vi scrivo perché sono disperato. Tra una settimana la mia compagna farà un'interruzione di gravidanza. Non permetterà a nostro figlio di venire al mondo. La cosa sconvolgente è che su quel figlio abbiamo fantasticato. .. non è stato un incidente. L’altra cosa sconvolgente è che tra noi andava tutto benissimo e non è accaduto niente che potesse rovinare il nostro rapporto. Semplicemente da un giorno all'altro non ho più trovato di fronte la stessa persona. Premetto che la nostra è una relazione molto giovane e vissuta in gran parte in clandestinità , ma poi era diventata finalmente libera. (…) Quando una donna vuol mettere al mondo un figlio senza il supporto del padre, è donna-coraggio, mentre l'uomo è solo un poveraccio con desiderio di paternità. Non desidero altro che prendermi la responsabilità di qualcosa che abbiamo fatto in due e i cui frutti non sono un oggetto fastidioso di cui liberarsi al più presto ma una nuova vita. (…) "

Qualche tempo dopo Marco dava notizia che l’interruzione di gravidanza era stata eseguita.

Qualcuno ha preso le difese di Marco a cui veniva impedito di diventare padre, altri della sua compagna, libera di decidere di non diventare madre. Io ho pensato che se proprio qualcuno si doveva difendere era il “terzo incomodo”, quel figlio “fantasticato” concepito e rinnegato.
Caro piccolo e fragile figlio. Non ti ha ucciso l’indigenza dei tuoi genitori, né la loro giovane sventatezza, né la solitudine di una donna abbandonata, né l’arroganza di un uomo che non voleva fare il padre. Nessuno di noi sa davvero quale sentimento sia stato più forte della vita.
Un figlio fa sempre un po’ paura, un figlio cambia la vita, certo, ma non è detto la cambi in peggio, perché un figlio è il nostro sguardo sul domani, cambia il nostro modo di vedere le cose quotidiane, le vacanze, la domenica, la sera, cambia il nostro rapporto con i soldi, un figlio dice di che pasta siamo fatti, misura la nostra pazienza, la nostra tenerezza, la nostra disponibilità . Un figlio dice se due si amano in modo da saper guardare a un altro.
Caro piccolo e fragile figlio, questa storia, non è solo la storia di una “guerra” dove a perdere sei stato tu, l’innocente, in questa storia non ci sono vincitori, ma solo vinti.
Questa storia dice che a perdere siamo anche noi. Noi che crediamo che la libertà consista nel poter scegliere, che la vita possa essere messa nelle mani di un sentimentalismo “me la sento” o “non me la sento” di dire un “si”, che assumersi delle responsabilità sia un modo di fare un po’ antiquato.
Qui bisogna ricominciare dal principio. Ricominciare a dire cos’è l’amore, cosa vuol dire scegliersi per la vita, per un compito, per un destino. Se l’amore non è volere il bene dell’altro, se un figlio non è il frutto di un amore ma solo un desiderio pur bello, un progetto, un calcolo, finisce che a volte diventi un “incauto acquisto”, una scelta sbagliata, un errore di programmazione.

Caro piccolo e fragile figlio, a te e agli altri come te chiediamo perdono.

Siamo adulti fragili e smarriti. Amiamo più l’amore dell’amato, vogliamo vivere insieme ma lasciando la porta aperta alla fuga, troviamo il matrimonio un inutile gesto burocratico, e anche quando decidiamo di sposarci in Chiesa lo facciamo con la speranza che “ci vada bene”, affidando più al fato che a Dio la nostra unione. Recitiamo con voce commossa la formula “Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita” senza capire fino in fondo, che si tratta di un impegno per la vita, che comporta anche un lavoro, perché la vita ci cambia.
Se si educa più con quello che si fa che con quello che si dice, piccolo e fragile figlio non nato, non possiamo non interrogarci: a cosa educhiamo i giovani, gli uomini di domani che ci guardano vivere? Ti chiediamo perdono, per la nostra smemoratezza, per la nostra tiepidezza nel testimoniare l’amore alla vita, l’importanza della famiglia, la certezza di un domani buono perché non lo abbiamo deciso noi.

Nella speranza che il tuo sacrificio serva a cambiare il nostro cuore, prima di tutti il mio.

Anerella socio di SamizdatOnLine

Prima domenica di Quaresima

Un difetto del tempo nel quale stiamo vivendo è proprio quello della mancanza di riflessione, di pensiero. Quanti di noi, alla sera, si concedono un attimo di pace e riflettono su loro stessi, su come hanno vissuto o si sono comportati durante la giornata? Un mio caro amico fa questo "gioco": apre a caso una pagina del Vangelo o della Bibbia e legge una frase, una qualsiasi, poi ci riflette analizzando se stesso e cerca di capire il significato che ha per lui, per le cose che sta vivendo, come gli risuona dentro quella Parola di Dio. La Quaresima potrebbe essere un'occasione per dedicarsi un po' di tempo e coltivare la propria interiorità, magari togliendo un po' di polvere, di erbacce e lasciando entrare uno spiraglio di luce e un soffio d'aria fresca che ci porti il buon profumo di Gesù.

Dal Vangelo secondo Luca

Lc 4,1-13
In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni; ma quando furono terminati ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: "Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane". Gesù gli rispose: "Sta scritto: ''Non di solo pane vivrà l'uomo''.

Il diavolo lo condusse in alto, e mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: "Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la dò a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo". Gesù gli rispose: "Sta scritto: ''Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai''".

Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: "Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù; sta scritto infatti: ''Ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano''; e anche: ''Essi ti sosterranno con le mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra''". Gesù gli rispose: "È stato detto: ''Non tenterai il Signore Dio tuo''. Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato.

Commento a cura di Ermes Ronchi: dalla fiducia in Dio la vera forza.

Le tre tentazioni di Gesù nel deserto, sono le tentazioni dell'uomo di sempre. «Le grandi tentazioni non sono quelle di cui è preoccupato un certo cristianesimo moralistico, non sono quelle, ad esempio, che riguardano il comportamento sessuale, ma quelle che vanno a demolire la fede» (O. Clément). C'è un crescendo nelle tre prove: vanno da me, agli altri, a Dio. La prima tentazione: pietre o pane? Una piccola alternativa che Gesù apre, spalanca. Né di pietre né di solo pane vive l'uomo. Siamo fatti per cose più grandi; il pane è buono, è nel Padre Nostro, è indispensabile, ma più importanti ancora sono altre cose: le creature, gli affetti, le relazioni. È l'invito a non accontentarsi, a non ridurre i nostri sogni a denaro. Non di solo pane vive l'uomo! Il pane è buono, il pane dà vita, ma più vita viene dalla Parola di Dio. Poi il tentatore alza la posta. Da me agli altri: io so come conquistare il potere! Tu ascoltami e ti darò il potere su tutto... È come se il diavolo dicesse a Gesù: Vuoi cambiare il mondo? Allora usa il potere, la forza, occupa i posti chiave. Vuoi salvare il mondo con niente, con l'amore, addirittura con la croce? Sei un illuso! Cosa se ne fa il mondo di un crocifisso in più? Vuoi avere gli uomini dalla tua parte? Assicuragli pane, autorità, spettacolo, allora ti seguiranno! Ma Gesù vuole liberare, non impossessarsi dell'uomo, lui sa che il potere non ha mai liberato nessuno. Il male del mondo non sarà vinto da altro male, ma per una insurrezione dei cuori buoni e giusti. Il diavolo chiede ubbidienza e offre potere. Fa un commercio, un mercato con l'uomo. Esattamente il contrario di come agisce Dio, che non fa mercato dei suoi doni, ma offre per primo, dà in perdita, senza niente in cambio... L'ultimo gradino è una sfida aperta a Dio, demolisce la fede facendone l'imitazione: «Chiedi a Dio un miracolo». E ciò che sembra essere il massimo della fede, ne è invece la caricatura: non fiducia in Dio ma ricerca del proprio vantaggio, non amore di Dio ma amore di sé, fino alla sfida. Buttati verranno gli angeli. Gesù risponde «no»: «Io so che Dio è presente, ma a modo suo, non a modo mio. Dio è già in me forza della mia forza». E gli angeli mi sono attorno con occhi di luce. Dio è presente, è vicino, intreccia il suo respiro con il mio. Forse non risponde a tutto ciò che io chiedo, eppure avrò tutto ciò che mi serve. Interviene, ma non con un volo di angeli, bensì con tanta forza quanta ne basta al primo passo. (Letture: Deuteronomio 26,4-10; Salmo 90; Romani 10,8-13; Luca 4,1-13)

mercoledì 17 febbraio 2010

LA conversione

 La parola d'ordine di questo giorno e che ci accompagnerà per tutta la Quaresima è: "Convertitevi e credete al vangelo". Ma cosa significa convertirsi?

Convertirsi significa cambiare rotta, cambiare riferimenti, orientare diversamente speranze e sicurezze per la vita. Credete al Vangelo, cioè ascoltate la novità, la bella notizia! Ma quale bella notizia si può mai attendere ancora in un mondo che sembra sazio, cioè autosufficiente e orgoglioso della propria autonoma secolarità; oppure disperato e rassegnato a non aspettarsi più niente di buono, a non credere a più nessuno, a non alzare più di tanto il tiro delle proprie aspettative? Il Vangelo stimola un sussulto di coraggio e di speranza: coraggio per prender coscienza dei propri limiti (e deviazioni) e speranza che è possibile ancora qualcosa di diverso. Non per promessa di uomini, ma per iniziativa di Dio che ha preso a cuore una umanità destinata alla morte per sospingerla alla vita.
Perché appunto questa è la bella notizia, il fatto nuovo che risolleva il mondo: "Il Regno di Dio è vicino, è qui". La storia volta pagina, Dio entra nella vicenda umana e vi istaura una sua signoria. L'ultima parola non è la più morte ma la vita, non è più l'ingiustizia ma il giudizio, non più la menzogna ma la verità. Il bene e il male non è più misurato dalla prepotenza o dall'interesse soggettivo, ma dal riferimento ormai oggettivo a Dio, fondamento e giudice delle scelte degli uomini. Una risorsa gratuita di perdono e di vita è offerta all'uomo che si aggrappa dentro i naufragi di questo mondo all'arca di salvezza fatta dal legno della croce di Cristo! L'unico Signore ormai è quel Cristo "che salito al cielo ha ottenuto la sovranità sugli Angeli, i Principati e le Potenze" (I lett.); dove per principati e potenze si intendono i padroni del mondo di oggi, e le forme occulte del male (satana... e tutti i "malocchi" di cui la gente ingenua ha paura!) che sembrano condizionarci e dominarci tanto!
"Il tempo è compiuto". E' una parola teologicamente intensa. Significa che l'umanità e la sua storia hanno raggiunto il colmo, il loro compimento, la realizzazione delle loro più profonde aspettative; che non sono tecnologiche o informatiche... o che altro, ma il bisogno di vita che scavalchi la morte, e in un certo senso una vita piena.. come quella di Dio (cfr. Gen 3,5). Ebbene, questo è il fatto nuovo, questo è il Regno di Dio venuto tra noi: un uomo, un primo uomo, primogenito tra molti fratelli, non caso unico, Gesù di Nazaret, ha già raggiunto proprio come uomo e con il suo corpo risorto, quel posto "alla destra di Dio" (I lett.) che è l'immagine della appartenenza piena alla famiglia di Dio in Casa Trinità. Dove è andato a prepararci un posto.
Quaresima, annuncio della bella notizia che rivoluziona il mondo, perché solo questa novità che va oltre ogni aspettativa può affascinare l'uomo serio alla ricerca di una speranza; e quindi convincerlo a "convertirsi"! Annunciamo il Regno per incantare l'uomo, altrimenti nessuno vorrà accogliere l'invito a "fare Quaresima"!
Tratto da Qumran


******

Le ceneri


Noi ti benediciamo, o Dio, in questo giorno che comincia, per il periodo

santo della Quaresima, che tu ci concedi in preparazione alla Pasqua.

Portaci, attraverso il digiuno, ad avere fame di te e a non essere schiavi

delle creature. Insegnaci, attraverso la pratica dell'astinenza, a

dividere i nostri beni con coloro che ne hanno bisogno. Aiutaci,

attraverso la preghiera e il silenzio, a trovare nella croce di tuo Figlio

il nostro riposo e la nostra gioia

(Pensieri di Fenelon per la Quaresima).



martedì 16 febbraio 2010

Quaresima 2010

VERSO LA PASQUA

Con il mercoledì delle ceneri, inizia la quaresima, un tempo forte dello spirito durante il quale siamo chiamati a fermarci a riflettere per cercare di capire a che punto siamo nel nostro cammino di fede. In particolare quest'anno, siamo chiamati a CAMMINARE SULLE VIE DELLA GIUSTIZIA come esigenza di riscoprire ciò che è proprio dell'uomo, ciò che è essenziale, e quindi ciò che egli cerca e desidera sopra ogni cosa.

Riporto il testo integrale del messaggio del Santo Padre per la Quaresima.

«L'ingiustizia viene da noi»

“Ciò di cui l’uomo ha più bisogno non può essergli garantito per legge” ma “per godere di un’esistenza in pienezza, gli è necessario qualcosa di più intimo che può essergli accordato solo gratuitamente: potremmo dire che l’uomo vive di quell’amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza”. Il messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima è una riflessione “sul vasto tema della giustizia” che invita a comprendere “come e più del pane” l’uomo ha “bisogno di Dio” perché “sono certamente utili e necessari i beni materiali - del resto Gesù stesso si è preoccupato di guarire i malati, di sfamare le folle che lo seguivano e di certo condanna l’indifferenza che anche oggi costringe centinaia di milioni di esseri umani alla morte per mancanza di cibo, di acqua e di medicine -, ma la giustizia ‘distributiva’ non rende all’essere umano tutto il ‘suo’ che gli è dovuto”.

Una “tentazione permanente dell’uomo”, ricorda il Pontefice, è “quella di individuare l’origine del male in una causa esteriore” e “molte delle moderne ideologie hanno, a ben vedere, questo presupposto: poiché l’ingiustizia viene ‘da fuori’, affinché regni la giustizia è sufficiente rimuovere le cause esteriori che ne impediscono l’attuazione”. Tuttavia questo modo di pensare, come ammonisce Gesù, è “ingenuo e miope” perché “l’ingiustizia, frutto del male, non ha radici esclusivamente esterne” ma “ha origine nel cuore umano, dove si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male”.

Il Santo Padre sottolinea che “l’uomo è reso fragile da una spinta profonda, che lo mortifica nella capacità di entrare in comunione con l’altro” e “aperto per natura al libero flusso della condivisione, avverte dentro di sé una strana forza di gravità che lo porta a ripiegarsi su se stesso, ad affermarsi sopra e contro gli altri: è l’egoismo, conseguenza della colpa originale”. Sono proprio Adamo ed Eva che “sedotti dalla menzogna di Satana”, ricorda il Papa, afferrano “il misterioso frutto contro il comando divino” e sostituiscono “alla logica del confidare nell’Amore quella del sospetto e della competizione” e “alla logica del ricevere, dell’attendere fiducioso dall’Altro, quella ansiosa dell’afferrare e del fare da sé” sperimentando “come risultato un senso di inquietudine e di incertezza”. Dentro al “cuore della saggezza di Israele troviamo un legame profondo tra fede nel Dio che ‘solleva dalla polvere il debole’ (Sal 113,7) e giustizia verso il prossimo”, spiega Benedetto XVI, e “la parola stessa con cui in ebraico si indica la virtù della giustizia, sedaqah, ben lo esprime” significando “da una parte, accettazione piena della volontà del Dio di Israele; dall’altra, equità nei confronti del prossimo” soprattutto “del povero, del forestiero, dell’orfano e della vedova”. I “due significati sono legati”, ribadisce il Papa, “perché il dare al povero, per l’israelita, non è altro che il contraccambio dovuto a Dio, che ha avuto pietà della miseria del suo popolo” e “per entrare nella giustizia è pertanto necessario uscire da quell’illusione di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è l’origine stessa dell’ingiustizia”.

“Quale è dunque la giustizia di Cristo?”, si domanda il Santo Padre: “È anzitutto la giustizia che viene dalla grazia, dove non è l’uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri” e “il fatto che l’‘espiazione’ avvenga nel ‘sangue’ di Gesù significa che non sono i sacrifici dell’uomo a liberarlo dal peso delle colpe, ma il gesto dell’amore di Dio che si apre fino all’estremo, fino a far passare in sé ‘la maledizione’ che spetta all’uomo, per trasmettergli in cambio la ‘benedizione’ che spetta a Dio”. La giustizia divina, precisa il Pontefice, è “profondamente diversa da quella umana” perché “Dio ha pagato per noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto, un prezzo davvero esorbitante” ma “di fronte alla giustizia della Croce l’uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che l’uomo non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso”.

In questo senso, prosegue il Papa, “convertirsi a Cristo, credere al Vangelo” significa “uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza - indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia” e “si capisce allora come la fede sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio” perché “occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del ‘mio’, per darmi gratuitamente il ‘suo’”. Conclude Benedetto XVI: “Grazie all’azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia ‘più grande’, che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10), la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare. Proprio forte di questa esperienza, il cristiano è spinto a contribuire a formare società giuste, dove tutti ricevono il necessario per vivere secondo la propria dignità di uomini e dove la giustizia è vivificata dall’amore”.


Buona Quaresima a tutti voi!

sabato 13 febbraio 2010

Beati voi poveri, guai a voi ricchi!

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 14 FEBBRAIO 2010 - (LUCA, Lc 6,17.20-26) - VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C).


In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Commento a cura di Ermes Ronchi
Davanti al Vangelo delle beatitudini provo ogni volta la paura di rovinarlo con le mie parole: so di non averlo ancora capito, continua a stupirmi e a sfuggirmi. «Sono le parole più alte del pensiero umano» (Gandhi), parole di cui non vedi il fondo. Ti fanno pensoso e disarmato, riaccendono la nostalgia prepotente di un mondo fatto di bontà, di sincerità, di giustizia. Le sentiamo difficili eppure amiche: perché non stabiliscono nuovi comandamenti, sono invece la bella notizia che Dio regala gioia a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua felicità. Beati: parola che mi assicura che il senso della vita è nel suo intimo, nel suo nucleo ultimo, ricerca di felicità; la felicità è nel progetto di Dio; Gesù ha moltiplicato la capacità di star bene! Beati voi, poveri! Non beata la povertà, ma le persone: i poveri senza aggettivi, tutti quelli che l'ingiustizia del mondo condanna alla sofferenza. La parola «povero» contiene ogni uomo. Povero sono io quando ho bisogno d'altri per vivere, non basto a me stesso, mi affido, chiedo perdono, vivo perché accolto. Ci saremmo aspettati: beati perché ci sarà un capovolgimento, perché diventerete ricchi. No. Il progetto di Dio è più profondo e più delicato. Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno, già adesso, non nell'altro mondo! Beati, perché è con voi che Dio cambierà la storia, non con i potenti. Avete il cuore al di là delle cose: c'è più Dio in voi, siete come anfore che possono contenere pezzi di cielo e di futuro. Beati voi che piangete. Beati non perché Dio ama il dolore, ma perché è con voi contro il dolore; è più vicino a chi ha il cuore ferito. Un angelo misterioso annuncia a chi piange: il Signore è con te, è nel riflesso più profondo delle tue lacrime, per moltiplicare il coraggio, per farsi argine al pianto, forza della tua forza. Dio naviga in un fiume di lacrime (Turoldo): non ti salva dalle lacrime, ma nelle lacrime; non ti protegge dal pianto, ma dentro il pianto. Per farti navigare avanti. Guai a voi ricchi: state sbagliando strada. Il mondo non sarà reso migliore da chi accumula denaro; le cose sono tiranne, imprigionano il pensiero e gli affetti (ho visto gente con case bellissime vivere solo per la casa) Diceva Madre Teresa: ciò che non serve, pesa! E la felicità non viene dal possesso, ma dai volti. Se accogli le Beatitudini la loro logica ti cambia il cuore, sulla misura di quello di Dio. E possono cambiare il mondo. (Letture: Geremia 17,5-8; Salmo 1; 1 Corinzi 15,12.16-20; Luca 6,17.20-26).

giovedì 11 febbraio 2010

Beata Vergine di Lourdes

L'11 febbraio 1858, a Lourdes, la madre di nostro Signore Gesù Cristo, appariva per la prima volta a Bernadette Soubirous, un'umile e povera ragazza di quattordici anni,
Desidero fare memoria di questo evento con una preghiera che Sua Santità Giovanni Paolo II recitò proprio davanti la grotta di Massabielle.


Preghiera alla Madonna di Lourdes

Ave Maria, donna povera e umile, benedetta dall'Altissimo
Vergine della speranza, profezia dei tempi nuovi,
noi ci associamo al tuo cantico di lode
per celebrare le misericordie del Signore,
per annunciare la venuta del Regno
e la piena liberazione dell'uomo.
Ave Maria, umile serva del Signore,
gloriosa Madre di Cristo!
Vergine fedele, dimora santa del Verbo,
insegnaci a perseverare nell'ascolto della Parola,
a essere docili alla voce dello Spirito,
attenti ai suoi appelli nell'intimità della coscienza
e alle sue manifestazioni negli avvenimenti della storia.
Ave Maria, donna del dolore, Madre dei viventi!
Vergine sposa presso la Croce, Eva novella,
sii nostra guida sulle strade del mondo,
insegnaci a vivere e a diffondere l'amore di Cristo,
a sostare con Te presso le innumerevoli croci
sulle quali tuo Figlio è ancora crocifisso.
Ave Maria, donna della fede, prima dei discepoli!
Vergine Madre della Chiesa,
aiutaci a rendere sempre ragione della speranza che è in noi,
confidando nella bontà dell'uomo
e nell'amore del Padre.
Insegnaci a costruire il mondo dal di dentro:
nella profondità del silenzio e dell'orazione,
nella gioia dell'amore fraterno,
nella fecondità insostituibile della Croce.

Giovanni Paolo II

mercoledì 10 febbraio 2010

Pubblico un articolo tratto dall'editoriale samizdatonline. Appena ieri è stato il primo anniversario della morte di Eluana.

 Eluana un anno dopo: sapevamo..

Sapevamo
Già sapevamo che non era vero che fosse magra, denutrita, calva, piena di piaghe di decubito. Eravamo a conoscenza del fatto che non si era mai ammalata in tanti anni a letto. Che non era attaccata a nessuna macchina. Già sapevamo che respirava da sola, che era vigile, occhi aperti, che sembrava reagire agli stimoli.
Sapevamo anche che da alcuni era accudita e amata.
E che da altri invece questa sua vita - perchè vita era - era invece odiata. Tanto che hanno a lungo, a lungo e con insistenza cercato di farla morire. Riuscendoci, alla fine. Morta di morte naturale, quella morte naturale che arriva quando ti tolgono il necessario per vivere.
Adesso ci dicono che forse quella consapevolezza che pareva mancare forse c'era, si era manifestata. Che forse, adesso, un anno, un solo anno dopo ci sarebbe stata la maniera di capirlo meglio. Se non si fosse riuscito ad ucciderla. Oggi, dopo un anno. Chissà tra venti.
Qualcuno ha anche detto che quello che è accaduto è ciò che lei avrebbe voluto. Lei, Eluana, che quando la portavano via si fece venir una crisi tanto forte da espellere il sondino. Che emetteva suoni, urlava come poteva, mentre stava morendo. Se non una donna, certo non un vegetale. I vegetali non tossicono. Non si agitano. Forse un animale, ecco, un animale. Agitata come un animale. Quando capisce, quando sa che lo stanno portando al macello.
Berlicche socio di SamizdatOnLine

Ad un anno dalla morte di Eluana c'è qualcuno, tra i politici soprattutto, che ha suggerito il silenzio alle parole per rispetto della famiglia di Eluana. A mio avviso, questa dichiarazione può essere condivisa solo in parte e ne spiego le motivazioni. E' vero che nessuno di noi ha il diritto di giudicare l'agire di un padre e di una madre che per tanti anni hanno sofferto nel vedere la propria figlia vivere in condizioni strazianti. Peppino Englaro è un padre che ha  agito senz'altro credendo di fare il meglio per la figlia e ha agito da essere umano avendo della vita una visione che non va al di là di questa dimensione (quella umana). Ma c'è qualcosa di più grande e di irrinunciabile che sfugge a molti che la pensano allo stesso modo di questo padre: il cristianesimo ha portato nel mondo una novità che ci porta a guardare oltre il nostro essere semplicemente uomini e donne. Noi siamo chiamati ad essere non semplicemente umani, ma CRISTIANI, cioè imitatori di Cristo che per amore nostro, morendo in croce,  ha dato la sua vita . Segno allora che la vita umana ha un VALORE DI DIMENSIONI INESTIMABILI se un Dio, facendosi uomo, è arrivato a tanto.  Allora tutto cambia! Anche una vita vissuta come quella di Eluana acquista un senso molto grande perché viene considerata comunque un DONO del quale nessuno e poi nessuno è proprietario. Un dono di cui solo chi ne è l'autore può disporre. L’eutanasia, ha detto il santo Padtre,  «colpisce al cuore il principio cristiano della dignità della vita umana», e sulla difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale, la Chiesa cattolica non potrà mai accettare alcun tipo di compromesso. Come possiamo noi cristiani tacere  su questi fatti? A mio avviso è più che mai necessario ricordare Eluana perchè la sua morte, avvenuta come tutti  sappiamo, faccia riflettere tante altre famiglie sul vero senso della vita per fare in modo che non avvengano più morti di questo genere. Non possiamo permettere che Eluana sia morta invano e invito tutti coloro che si professano cristiani ad alzare la voce (anche nei blog) per dire con fermezza NO all'eutanasia e Si alla vita dal suo concepimento al suo termine naturale.

domenica 7 febbraio 2010

Giornata per la vita

Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 32a Giornata Nazionale per la vita


“La forza della vita una sfida nella povertà”

Chi guarda al benessere economico alla luce del Vangelo sa che esso non è tutto, ma non per questo è indifferente. Infatti, può servire la vita, rendendola più bella e apprezzabile e perciò più umana.

Fedele al messaggio di Gesù, venuto a salvare l’uomo nella sua interezza, la Chiesa si impegna per lo sviluppo umano integrale, che richiede anche il superamento dell’indigenza e del bisogno. La disponibilità di mezzi materiali, arginando la precarietà che è spesso fonte di ansia e paura, può concorrere a rendere ogni esistenza più serena e distesa. Consente, infatti, di provvedere a sé e ai propri cari una casa, il necessario sostentamento, cure mediche, istruzione. Una certa sicurezza economica costituisce un’opportunità per realizzare pienamente molte potenzialità di ordine culturale, lavorativo e artistico.

Avvertiamo perciò tutta la drammaticità della crisi finanziaria che ha investito molte aree del pianeta: la povertà e la mancanza del lavoro che ne derivano possono avere effetti disumanizzanti. La povertà, infatti, può abbrutire e l’assenza di un lavoro sicuro può far perdere fiducia in se stessi e nella propria dignità. Si tratta, in ogni caso, di motivi di inquietudine per tante famiglie. Molti genitori sono umiliati dall’impossibilità di provvedere, con il proprio lavoro, al benessere dei loro figli e molti giovani sono tentati di guardare al futuro con crescente rassegnazione e sfiducia.

Proprio perché conosciamo Cristo, la Vita vera, sappiamo riconoscere il valore della vita umana e quale minaccia sia insita in una crescente povertà di mezzi e risorse. Proprio perché ci sentiamo a servizio della vita donata da Cristo, abbiamo il dovere di denunciare quei meccanismi economici che, producendo povertà e creando forti disuguaglianze sociali, feriscono e offendono la vita, colpendo soprattutto i più deboli e indifesi.

Il benessere economico, però, non è un fine ma un mezzo, il cui valore è determinato dall’uso che se ne fa: è a servizio della vita, ma non è la vita. Quando, anzi, pretende di sostituirsi alla vita e di diventarne la motivazione, si snatura e si perverte. Anche per questo Gesù ha proclamato beati i poveri e ci ha messo in guardia dal pericolo delle ricchezze (cfr Lc 6,20-25). Alla sua sequela e testimoniando la libertà del Vangelo, tutti siamo chiamati a uno stile di vita sobrio, che non confonde la ricchezza economica con la ricchezza di vita. Ogni vita, infatti, è degna di essere vissuta anche in situazioni di grande povertà. L’uso distorto dei beni e un dissennato consumismo possono, anzi, sfociare in una vita povera di senso e di ideali elevati, ignorando i bisogni di milioni di uomini e di donne e danneggiando irreparabilmente la terra, di cui siamo custodi e non padroni. Del resto, tutti conosciamo persone povere di mezzi, ma ricche di umanità e in grado di gustare la vita, perché capaci di disponibilità e di dono.

Anche la crisi economica che stiamo attraversando può costituire un’occasione di crescita. Essa, infatti, ci spinge a riscoprire la bellezza della condivisione e della capacità di prenderci cura gli uni degli altri. Ci fa capire che non è la ricchezza economica a costituire la dignità della vita, perché la vita stessa è la prima radicale ricchezza, e perciò va strenuamente difesa in ogni suo stadio, denunciando ancora una volta, senza cedimenti sul piano del giudizio etico, il delitto dell’aborto. Sarebbe assai povera ed egoista una società che, sedotta dal benessere, dimenticasse che la vita è il bene più grande. Del resto, come insegna il Papa Benedetto XVI nella recente Enciclica Caritas in veritate, “rispondere alle esigenze morali più profonde della persona ha anche importanti e benefiche ricadute sul piano economico” (n. 45), in quanto “l’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica” (n. 44).

Proprio il momento che attraversiamo ci spinge a essere ancora più solidali con quelle madri che, spaventate dallo spettro della recessione economica, possono essere tentate di rinunciare o interrompere la gravidanza, e ci impegna a manifestare concretamente loro aiuto e vicinanza. Ci fa ricordare che, nella ricchezza o nella povertà, nessuno è padrone della propria vita e tutti siamo chiamati a custodirla e rispettarla come un tesoro prezioso dal momento del concepimento fino al suo spegnersi naturale.

IL CONSIGLIO PERMANENTE

DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

"...d'ora in poi sarai pescatore di uomini"

V Domenica del Tempo Ordinario (Anno C).

di Don Antonello Iapicca da segni dei tempi

Vangelo Lc 5,1-11
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

IL COMMENTO
Un Maestro insegna e cambia la vita. E' la storia del mondo. La Chiesa comincia a nascere da quel giorno sul lago di Galilea, da una barca che era di Pietro, e diventa quella di Gesù. Ne prende possesso e vi si siede, come un Re sul suo trono, come lo Sposo che entra nella sua casa. Da quel momento Pietro non sarà più lo stesso, la barca solcherà altri mari, le reti pescheranno altri pesci. Ed una parola a segnare il confine, una chiamata che rimbalza immediatamente in una missione. Nessuna chiamata è mai fine a se stessa; Dio chiama e invia, sempre. Spesso ci equivochiamo, ci disperdiamo contemplandoci nello specchio d’un disperato Narciso deluso, esattamente come Pietro dinnanzi all’enorme squilibrio tra lui e Gesù; più spesso ci afferriamo alla chiamata e ne facciamo ragione di vita, cercando successo e chiamandolo zelo. Ma non è così. Gesù prende possesso della nostra vita, del fondamento della nostra vita, delle nostre fibre più intime, come ha fatto con Pietro entrando nella sua barca, che era il suo sostentamento, il suo cibo, la sua vita. Gesù ci cerca, vuole esattamente noi, come ha voluto Pietro e la sua barca in mezzo a tante altre, come ha voluto gli altri Undici: “Scelse quelli che egli volle”. E’ la volontà di Dio che emerge prepotente e si posa, irresistibile, su ciascuno di noi. E’ il cuore e il fondamento della chiamata: la volontà di Dio. Chi era Pietro, che cosa avesse fatto, quale il suo carattere, le sue predisposizioni, i suoi sentimenti, nulla ci è dato sapere. Aveva una barca, quindi era un pescatore, e tanto è bastato. Così come per ciascuno di noi, inutile cercare caratteristiche, idoneità, prerogative interiori o intellettuali. Nulla, non sono importanti. E per Pietro neanche sembra avere avuto importanza l’essersi scoperto e denunciato peccatore. Gesù lo rialza in tutta fretta, pescandolo dentro allo stupore e al senso d’indegnità che lo aveva fatto precipitare per terra. Umiltà fondamentale in ogni chiamata e ministero, ma non decisiva, non in quel momento almeno. Dovrà scoprire che quel sentirsi peccatore dinnanzi al miracolo stupefacente era ancora un semplice abbozzo; sperimenterà per via, con Gesù, la discesa alla verità, allo sfarinarsi delle sue presunzioni di fedeltà e amicizia, sino alle lacrime che solcheranno il suo viso esattamente nello stesso luogo dove Gesù lo aveva incontrato e lo aveva pescato. Quel giorno, risorto dalla morte, lo pescherà di nuovo dal fondo della sua debolezza, che diverrà roccia ferma incastrata nella misericordia di Dio. Da quel giorno sarà Pietro il pescatore e pastore di uomini, abbandonato all’amore del Maestro, esperto di misericordia e di fede, quella incrollabile che ha visto pescare nel suo cuore atterrito la speranza e il desiderio purissimi che vi si nascondevano. Gesù prende dunque possesso della barca di Pietro e ne fa la sua sinagoga, il trono per la sua parola e il suo compimento. La Chiesa è anche questo, il luogo della Parola proclamata e sempre compiuta. E’ la predicazione di Gesù che cambia le sorti di quel mare che non aveva dato pesci. E’ la Parola di Gesù che squarcia la notte e la fatica inconcludente di esperti pescatori rendendo quel mare sterile un seno fecondo. Così è per la Chiesa: la predicazione scuote la notte del mondo, richiama gli uomini come pesci in cerca di cibo. Senza la predicazione non può esservi alcuna missione. Quando la Chiesa dimentica il suo ministero fondamentale, la stoltezza dell’annuncio del Vangelo, si riduce a istituzione sterile, capace di opere meritorie, ma non di pescare uomini dal fondo della morte. La Chiesa è semore guardata da Gesù, e Pietro è ogni giorno di nuovo pregato di scostarsi un poco da terra, perchè è sempre in agguato la tentazione di ormeggiare la Chiesa ad un molo che sembra dare sicurezza; Gesù non può insegnare mentre la folla fa ressa intorno, per questo la Chiesa non può legarsi alla terra ferma: essa è nel mondo ma non è del mondo. Quanto moli suadenti e pericolosi si nascondono sul suo e sul nostro cammino: quelli che sembrano assicurare cittadinanza nel mondo, condizione che subdolamente si insinua come necessaria ed inevitabile per evangelizzare; e allora ecco presbiteri che dismettono l’abito, e con esso molte, troppe sante abitudini; ecco le attualizzazioni e le traduzioni della Scrittura che sono tradimenti che ne diluiscono il vigore salvifico; ecco la paura del rifiuto, dello scandalo, dellìessere segno di contraddizione cambiare il vino in acqua, lo splendore della Verità nel grigio degli accomodamenti relativistici; ecco i compromessi con i linguaggi e i criteri mondani, e strutture e uffici stampa e riunioni e commissioni, e mezzi e strumenti che presto si trasformano in armature pesanti e ingombranti come quella che soffocava Davide; per affrontare Golia, il principe di questo mondo, occorre essere sempre liberi, scostati da terra pr senza abbandonarla, ed in mano le cinque pietre di Davide, i cinque Libri della Torah, la Parola di Dio insegnata da Gesù. E’ questa l’unica che realizza ciò che annuncia. Dal buio di una notte di fatiche sbattute contro il fallimento s’erge una Parola che si fa creatrice: nel nulla crea, ed è subito abbondanza. L’impossibile si fa possibile. E supera ogni desiderio e speranza. Abramo desiderava un figlio, Dio gli dona una discendenza. Pietro sperava del pesce per vivere, il Signore gliene dona da far quasi affondare la barca. Abramo desiderava essere padre nella sua famiglia, Dio lo fa Padre di una moltitudine immensa, un Popolo che giunge sino all’eternità; Pietro desiderava essere un buon pescatore, il Signore lo fa pescatore di uomini. La promessa di Dio supera sempre la sua fama, il compimento della sua volontà genera sempre infinito stupore perchè non solo colma l’angusta misura dei desideri umani, ma la dilata in spazi infiniti. Così è la chiamata di Dio, prende la mia vita e la trasforma in benedizione per tutti; sembra qualcosa di molto personale è invece affare che riguarda il mondo intero e la sua felicità. La vita di ciascuno di noi, quando è afferrata dal Signore, smette d’essere una matassa arrotolata su se stessa, nevrosi e angosce su come stare al mondo per essere accettato e amato; diventa una fonte di acqua viva a dissetare tutti, un seno di misericordia per chiunque si imbatta nelle nostre esistenze; non ci apparteniamo più, diveniamo la barca dove ormai è seduto Gesù, il Maestro che ama, salva, perdona; chiamati da Lui diveniamo un dono di Grazia per tutti. E’ il mistero più profondo della Chiesa: una barca tra mille, povera, debole, fragile, è il sacramento di salvezza per tutte le Nazioni. Il fallimento che precede l’incontro con Cristo è parte integrante della Volontà di Dio, è la preparazione all’esplosione della sua Grazia. E’ sempre stato così nella Scrittura: Abramo, Mosè, Davide, e poi le donne sterili, sino a Maria, senza peccato, ma fragile, piccola, vergine, come il nulla più santo della terra ad accogliere il tutto più Santo del Cielo. Nella barca di Pietro, come nella vita di ciascuno di noi, si compie di nuovo il mistero dell’incarnazione; quella barca come la casa di Nazaret, come ogni ora della nostra vita. C’è il nulla ad accogliere il Signore, ed è proprio quello che Lui desidera. Forse per questo ha scelto quella barca; nelle altre aveva forse scorto qualche pesce, piccolo frutto degli sforzi umani. Ma Lui aveva da sempre pensato a Pietro, al più fallito, ed in lui a tutti i falliti della storia, a ciascuno di noi. Quella notte di pesca infruttuosa è notte benedetta, come la notte del Sepolcro di Gerusalemme, come le notti della Creazione, del sacrificio di Isacco, dell’Esodo, del Messia, come recita il Poema delle Quattro Notti del Targum al libro dell’Esodo. Quante volte Pietro avrà ascoltato questo commento che traduceva nella sua lingua aramaica il brano dell’esodo che riguarda la Pasqua: «La prima notte, quando Jahvè si manifestò sul mondo del creato; il mondo era confusione e caos e le tenebre ricoprivano la superficie dell’abisso e la parola di Jahve era la luce che brillava: ed egli la chiamò Prima notte. La seconda notte, quando Jahvè si manifestò ad Abramo vecchio di cento anni e a Sara, sua moglie, di novanta anni perché si adempisse la Scrittura. Come mai Abramo a cento anni sta per generare e Sarà, sua moglie, a novanta sta per partorire? E la chiamò Seconda notte. La terza notte, quando Jahvè si manifestò agli Egiziani nel mezzo della notte: la sua mano uccideva i primogeniti degli Egiziani e la sua destra proteggeva i primogeniti d’Israele, perché si adempisse ciò che dice la Scrittura: il mio figlio primogenito è Israele e la chiamò Terza notte. La quarta notte, quando il mondo giungerà alla sua fine per essere sciolto: le catene di ferro saranno spezzate e le generazioni dell’empietà saranno distrutte e Mosè verrà dal deserto e il Re Messia dall’alto. È la notte della Pasqua per il nome di Jahve, stabilita e consacrata per la salvezza di tutte le generazioni di Israele. Questa è la Quarta notte». La notte dunque come un seno gravido di vita. Il segno che Gesù compie sarà lo stesso che compirà, nel medesimo luogo, dopo essere risuscitato dalla morte, e aver compiuto la sua pasqua. I pesci, immagine degli uomini che la Chiesa pescherà nei secoli, sono liberati dalle catene di ferro, è dunque giunto il Messia. “E’ il Messia” griderà Pietro quella mattina di Pasqua, riconoscendolo proprio da quel segno; “è il Signore, lo aveva profetizzato quando mi ha chiamato e ha preso la mia vita”. La notte apre il cammino al Signore, sempre. Per questo il Vangelo di questa domenica ci invita ad alzare lo sguardo e a prendere il largo di uno sguardo di fede; esso guarda oltre la superficie, e vede già nella notte la bendizione del giorno. Prendere il largo significa avere questo discernimento, senza il quale non si tolgono gli ormeggi e si resta ancorati alla paura. Il discernimento che si addice alla Chiesa e ai cristiani, che non conosce disperazione, che spera contro ogni speranza pur vedendo, con gli occhi della carne, morte e fallimento ovunque. Ma proprio dove il mondo vede solo macerie e cerca responsabili e capri espiatori in una spirale di violenze e rancori, la Chiesa incontra lo sguardo commosso del Signore, e lascia che le sue Parole rimbalzino attraverso le sue e rechino ovunque vita e risurrezione. Non può temere Pietro dinnanzi alla sua debolezza, neanche dinnanzi ai suoi peccati. Il Signore ha tratto vita laddove non ve n’era, e quel lago senza pesci non era altro che l’immagine della sua stessa vita. Della nostra vita. Ma basta una Parola di Gesù sulla quale gettare le reti eappare il miracolo. La Chiesa, e ciascuno di noi, conoscendo a fondo d’essere totale impedimento e nulla più, fondata esclusivamente sulla Parola di Dio può lasciare tutto e seguire il Signore. I mezzi e gli schemi di prima, le sicurezze e i criteri non sevono più. La Chiesa è Lui, è la sua Parola, il suo potere che si realizza nei sacramenti e nella predicazione, la comunione (secondo la parola greca utilizzata alla fine koinonoi) di quelli che erano stati umanamente solo soci in affari e che son diventati fratelli oltre la carne. Con il Signore possono gettarsi nel mondo a catturare vivi, come dice con forza l’originale greco del verbo pescare, tutti coloro che, nel mondo e nelle generazioni, giaccono morti nella notte.



giovedì 4 febbraio 2010

LA SCELTA

Articolo tratto dal quotidiano Avvenire

Finge un aborto per far nascere la sua bambina

I suoi genitori avrebbero voluto farla abortire, ma lei ha gridato il suo "no" nel modo più coraggioso. Adesso stringe tra le braccia la sua bambina che, ignara di tutto, chiude i pugnetti e sorride. Miriam (il suo è un nome di fantasia) ha 25 anni e una volontà di ferro. Ha scelto la vita andando contro la volontà dei genitori, contro i benpensanti, contro i pregiudizi. Ora ne è fiera ed è lieta di raccontare al mondo la sua gioia, perché nessun’altra donna si trovi costretta a rinunciare a una nuova vita.
La sua è la storia di una ragazza di un paesino della provincia siciliana. Proviene da una buona famiglia, studia all’Università, ma, durante una relazione con un uomo di cui preferisce non parlare, scopre di essere incinta. È spaventata, eccitata, emozionata. L’idea di interrompere la gravidanza non la sfiora nemmeno. Così, come racconta il "Giornale di Sicilia", si confida con i genitori, ma trova un muro di vergogna e dissenso. «Devi abortire, non sei sposata, non possiamo perdere la faccia», le dicono. Miriam non riesce neppure a replicare, non ci vuole credere, si sente terribilmente sola. Ma non perde la ragione e nemmeno il coraggio. «Ho amato la mia creatura sin dal concepimento – racconta con emozione, ancora coricata nel letto di ospedale –. Ho una solida vocazione genitoriale e non potevo permettere a nessuno che la scintilla di vita che si era accesa nel mio grembo venisse spezzata».
Ricorre allora a uno stratagemma. Simula un aborto spontaneo, cosicché non è necessario recarsi in ospedale. Poi, quando i genitori si sono rasserenati, cerca di trovare un’altra strada per far crescere quella vita. Riflette, si rivolge ai servizi sociali attraverso il Centro aiuto alla vita del suo paese, chiede di essere aiutata a continuare la gravidanza. La informano che a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, esiste il centro di accoglienza "Don Pietro Bonilli", gestito dalle suore della Sacra Famiglia, nato proprio per ospitare le donne in difficoltà. Quasi due anni fa Niscemi era salito agli onori della cronaca per una terribile storia di violenza da parte di tre minorenni che massacrarono e gettarono in un pozzo una ragazza di 14 anni, Lorena Cultraro. Oggi, a pochi giorni dalla Giornata per la vita, diventa il luogo della speranza.
Miriam pensa che sia la Provvidenza a indicarle quella strada. Così, dice ai genitori che deve andare in una città lontana per motivi di studio e, invece, va a Niscemi dove trova suor Genoveffa Calì e suor Provvidenza Orobello a braccia aperte. La più anziana, suor Genoveffa, diventa una seconda mamma per Miriam: la conforta, la sostiene, le dà la forza per andare avanti e non demoralizzarsi, le è vicina al momento delle doglie del parto. Il 26 gennaio scorso Miriam si ricovera all’ospedale di Niscemi "Suor Cecilia Basarocco", dove viene alla luce la piccola Gianna, una bellissima bambina paffuta e piena di capelli corvini. Miriam ha voluto darle il nome di Santa Gianna Beretta Molla, che strenuamente ha difeso la vita della creatura che portava in grembo. La gioia è infinita, indescrivibile. Ma Miriam, poche ore dopo il parto, viene colpita da una forte emorragia. La sera stessa l’équipe del dottore Giovanni Di Leo interviene per bloccarla. Adesso stanno bene sia la mamma che la figlia. Nella stanza del reparto è un viavai di suore, volontarie, nuove amiche di Miriam.
Fanno a gara per cambiare pannolini, mettere la tutina alla piccola, cullarla. «Questa ragazza ha mostrato una fragilità e una forza incredibili. È vero che il Signore non abbandona i deboli», commenta suor Provvidenza, 38 anni, responsabile della casa. E racconta il lieto fine della storia. «Dopo la nascita di Gianna, Miriam ha voluto chiamare i suoi genitori ai quali aveva nascosto dove si trovava realmente e per quale motivo - aggiunge suor Provvidenza -. Papà e mamma sono rimasti sbalorditi, ma sono venuti subito a trovarla. Pochi giorni fa, nonni, mamma e nipotina si sono riabbracciati».

Alessandra Turrisi